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Natale: Riflessioni sulla Cristianità

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Benvenuto Bambin Gesù. Il Natale è sempre stato per noi (pubblichiamo anche su carta da 25 anni) momento di riflessioni – possibilmente non vane – sul giorno più importante della cristianità, assieme a quello della Resurrezione.

Contestato – assurdo – dai nuovi nemici della Chiesa di Roma, il Natale è un evento mistico e poetico anche per i non credenti. Molta poesia è presente nelle stesse sacre scritture, sia del Vecchio, sia del Nuovo Testamento. Essere cristiano, però, significa credere nel messaggio di Gesù Cristo, rispettarlo e seguirlo. Non è facile. Ma c’è una condzione, che è al contempo un fine e una via, quasi uno strumento: amare Gesù e sentirlo vicino. E’ bello giungere a credere nell’Angelo custode, chiamare questo impagabile amico e chiedergli aiuto per sentire Gesù vicino, parlargli e ascoltarlo.

Il messaggio del “Gesù dei Vangeli”, il solo Messia che conosciamo, con tutto il resto del Nuovo Testamento, è forte, decisivo: qualcuno lo ha definito addirittura violento. Lo è nell’imporre una morale difficile, anche in contrasto con i diffusi atteggiamenti umani, basati sull’affermazione dell’Io, sul paludamento autoritario e pomposo, in contrasto con l’apertura, addirittura l’amore verso …il prossimo. Cioè verso tutti gli altri, ma a partire dal vicino: prossimo, accanto, next door…

Questo riferimento – di chiaro senso filosofico – al cosiddetto numero due, rispetto al numero uno, che siamo noi stessi, ma aperto all’infinito verso tutto il resto, conferma l’affermazione della molteplicità del cosmo rispetto ai tentativi di ridurre i problemi al semplice, addirittura all’unità, che è propria (un sol gesto, la mela) del peccato originale.

Da questa accettazione della molteplicità, in cui rientrano sia il Bene – cioè l’amore e il dovere – sia il Male – cioè l’ignoranza, l’errore, il peccato, la malattia, la catastrofe – consegue anche la considerazione (e il rispetto) per “l’altro”, che diventa il diverso, il differente, gli altri, l’umanità, il pianeta, il cosmo…

Come nasce il Male? Chiariamo una volta per tutte quella che è – secondo la nostra linea – la migliore definizione teologica: il male è il margine di miglioramento che Dio stesso ha imposto a se stesso, coinvolgendo gli uomini chiamandoli alla vita. Questa è il premio di inestimabile valore, che porta la ragione umana fuori dal nulla, dal non essere all’essere. Da qui nascono la conoscenza, la gioia e la sofferenza, che sono presenti nell’umanità in onorevole empatia con il Creatore. Per questo Dio aiuta gli uomini di buona volontà e li ha amati fino al punto da mandare Suo Figlio per salvarli …dall’errore di Adamo. La delusione del Creatore nell’assistere al ripetersi di quell’errore – perché tutti i peccati somigliano al primo – non lo ha spinto alla resa, se ha ispirato i profeti e inviato il figlio a chiarire il suo messaggio. Gesù, il più santo dei santi, più che un profeta, termine e ripartenza della storia, ha ispirato poi tutti i santi che sono seguiti e vogliono somigliargli: un cristianesimo senza santi è una fede mal compresa…

In tempi in cui qualcuno si chiede dove sia mai Dio al momento dei cataclismi e dei grandi peccati dell’umanità – vittorie del …diavolo – questa spiegazione teologica risulta fondamentale. Prima di riflettere sui suoi motivi e le conseguenze logiche, il pensiero si muova – con l’umiltà che Gesù stesso ha insegnato – sul terreno pratico. E Gesù, vero uomo, fu un uomo pratico: esemplificò spesso con la parola e con i fatti. Il pensiero, dicevamo, vada a tutti coloro che, colpiti dalla malattia, dall’invalidità, dal cataclisma, reagiscono trovando modo di pregare, la forza e l’umiltà della fede. Interpretano così – come altrettanti primattori in scena – la parte del Redentore. Il suo insegnamento.

Tutto ciò è assurdo? Tertulliano, imitato da molti filosofi disse per primo, da Padre della Chiesa: “Credo quia absurdum est”, cioè lo credo proprio perché è assurdo. Di recente Massimo Cacciari, il sindaco filosofo ha detto: “Il cristianesimo è basato su una serie di paradossi. Io non credo, ma accetto chi lo fa e vorrei credere”. Questo è il miglior atteggiamento che i cosiddetti laici possano assumere. Ma non si confonda il laicismo, che è una posizione “tecnica” del pensiero, un atteggiamento che equivale a proporsi come “aconfessionale” nei confronti di un approfondimento, un ragionamento, una scienza con una posizione atea radicata nel pensiero. Questa è essa stessa una “confessionalità”, una fede negativa, rispetto alla quale si rischiano atteggiamenti bigotti e manichei. Lo constatiamo giornalmente…

Ma parliamo di cose belle. Il bambin Gesù è il Re dei re, ma si fa trovare nella paglia di una stalla. Gli canteremo in tanti il tradizionale “Tu scendi dalle Stelle…” e le altre mille canzoni natalizie in tutte le lingue del mondo. Gli altri – sempre di meno in proporzione ai viventi – facciano come credono. Colgano l’occasione dell’ennesimo natale per convertirsi un po’. Non guasta, per pensarla con Cacciari… Abbiamo detto un po’ e non è una battuta. Ciò che dobbiamo evitare è, sia di immaginare un Dio antropomorfo, sia di assumere un atteggiamento “deomorfo”. Questi – i rischi maggiori – consistono nell’immaginarci seduti accanto a Dio e chiederci come avremmo fatto il Mondo al posto suo. E’ impossibile sapere come sia Dio, che poeticamente il retaggio biblico ci fa immaginare come un vecchione su una nuvola: pensiamolo così, per pura umiltà, accettando che sia stato Dio, pur imperscrutabile, ad antropomorfizzarsi al punto da incarnarsi in Gesù. Del resto chi crede non può dubitare che Dio, nel donarle la vita, abbia anche dato all’umanità qualcosa di sé, creando un’alleanza e un progetto salvifico che riguarda in qualhe modo il cosmo intero, l’intero Universo…

Un altro rischio è quello di chi pretende da sé la perfezione divina. Perché quel probabile margine di possibile perfezionamento che è il male si trova sia nel Creatore che nel Creato. Un errore dei musulmani è quello di credere che sulla Terra nulla avvenga se non per “volere di Dio”. Basti pensare al dono della libertà – che è insita nella creazioone e nel dono della vita, oltre che implicita nella scelta fra l’errore e la virtù, il peccare e il non peccare – cui consegue l’impegno di farne buon uso. Ma “la pretesa” di una rapida perfezione, da se stessi e dal mondo, è catastrofica. La presunzione porta al rischio di una “auto squalifica”, alla rinunzia a procedere sulla “buona strada” e costituisce anche l’errore del platonismo. Un Dio perfgetto, ci avrebbe dato – come dicevano Parmenide e Zenone – un mondo già perfetto a portata di mano? L’ideale e la meta, bisogna concepirli, ma poi confrontarli con la realtàvicina, concreta, fatta di spazio, di tempo e di molteplicità, di bene e di male dentro e fuori dal genere umano, come dicevamo. La strada è irta di difficoltà. Il cosmo è così com’è: il Bene lotta contro il Male. La vittoria sul traguardo della storia non è assicurata, la fede indispensabile.

(Germano Scargiali)

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