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La Cina di Xi Jinping issa la bandiera del libero mercato

Xi Jinping

Nel mare mosso che percorre il quadro politico odierno ad ogni livello, dagli Usa all’Inghilterra e da Bruxelles all’Italia, fino al problema delle provincie (abolite per errore), fino a Roma città (in mano alla giovane sindaca che rifiuta le olimpiadi), un paio di dati emergono, a valle dell’elezione di Trump e della promessa pacificazione nientemeno che con Putin, cioè Usa – Russia. Niente hai detto…

In questo incredibile momento di transizione, in cui uno Shakespeare redivivo tornerebbe a dire che attorno a noi succedono grandi cose, la voce del presidente cinese Xi Jinping, nel discorso di apertura del World economic forum a Davos, ha parlato, rilanciandola, di globalizzazione e snocciolato dati economici contro chi l’ha additata come una delle “colpevoli” della mala distribuzione della ricchezza cui assistiamo e verso la quale il mondo sembra “lanciato”. In particolare Xi ha professato gran fede nei pregi dell’economia di mercato: necessarimente libero. Questa lezione doveva proprio venire all’Occidente da un comunista dell’Est del mondo? Dieci anni fa o meno sarebbe sembrato incredibile!

Noi, in aggiunta, riguardo la vexata questio della distribuzione della ricchezzza calcolata in percentale “secca”, senza badare a dati come la “moda” statistica, confrontata con il livello medio necessario al benessere (quanti stanno abbastanza bene in occidente?) osserveremmo solo che una squilibrata distribuzione della ricchezza sarebbe un male minore in un mondo comunque abbastanza “felice”. E non si può escludere tale possibilità, visto che il “sistema” tecnologicamente avanzato tende a produrre tutto il necessario, anzi molto di più di quanto necessiti. E la storia recente della rivoluzione industriale dimostra che la ricchezza prodotta viene comunque divisa alle masse…

È stata, però, la sempre più vituperata quanqiuhua – proprio la globalizzazione appunto – il tema di punta del discordo di Xi. L’ha difesa, lodata e rilanciata, come una vera e propria filosofia dell’apertura e del libero mercato.

Di fronte alle pulsioni protezionistiche che investono l’Occidente e che Donald Trump ripropone dall’America, è nientemeno che il Partito (formalmente) comunista cinese ad issare la bandiera del libero mercato.

Era prevedibile, si sapeva, ma a Davos ne abbiamo visto la consacrazione politica e simbolica.

Fidatevi della Cina – è come se avesse detto Xi al gotha economico mondiale – il carro continueremo a trainarlo, supplendo anche a chi si è stancato”.

Il presidente ha portato l’esempio del suo Paese che, grazie alle riforme e aperture inaugurate da Deng Xiaoping quasi 40 anni or sono, ha liberato dalla povertà 700 milioni di cinesi. Ma ha anche riconosciuto che bisogna correggere il modello proteggendolo da due minacce: insostenibilità e diseguaglianze.

Il suo programma di massima si riassume in quattro punti.

Primo: il presidente cinese, dopo aver guidato il paese che inquinava di più al mondo, si dice sensibile al disinquinamento in modo primario. Probabilmente ha capito qual business si trovi dietro le teorie (scientificamente non comprovate) del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Enumera, poi, l’invecchiamento della popolazione e l’impatto negativo delle scienze informatiche e dell’automazione sul lavoro.

“Necessitano nuove industrie e nuovi modelli di business, per creare nuovo lavoro”. Osservazione ineccepibile: Xi Jinping si è speso nel parlare di innovazione, la chiave per creare nuovi driver di crescita economica.

Secondo: trovare un modello di cooperazione per cui ogni paese abbia il diritto alla crescita e al contempo possa curare i propri interessi, ma non a danno degli altri. Da qui, secondo lui, il sì all’apertura e il no al protezionismo, “…è come chiudersi in una stanza buia. Si tiene fuori il vento e la pioggia, ma anche l’aria”. “Nessuno vincerebbe una guerra commerciale”, ha aggiunto Xi come chiaro messaggio a Donald Trump.

Terzo: Occorre riformare il sistema di governance economica globale. I mercati emergenti – di cui la Cina si considera capofila – devono secondo Xi avere più rappresentanza nelle grandi istituzioni sovranazionali. Infine bisogna trovare un modello di sviluppo bilanciato, cercando il bene comune e concedendo un accesso generalizzato alle opportunità.

In tale ottica mondiale, sempre mirata alla globalizzazione “buona”, il presidente Xi non rinunzia a un tocco cinese, dando centralità a un approccio dai tratti morali di tipo confuciano: occorrono “impegno, frugalità e imprenditorialità”.

Non è credibile, del resto, che Donald Trump, ammiccato così familiarmente, ma risolutamente dal Xi Jinping voglia aprire a Taiwan per chiudere alla Cina, né al protezionismo tanto da chiudere al mega mercato cinese. La Cina, grande produttore di tutto continua ad evolversi anche come grande consumatore… Il confronto economico cui mira Trump, tendendo la mano all’ultimo “nemico”, cioè Putin, è un confronto di collaborazione e non di sopraffazione. Trump è anche contrario a “questa” Europa – sbagliata che ha causato una crisi di rigetto come la Brexit. Vuole anche lui un’altra Ue. Ben sperare, dunque, non è peccato…

La risposta da parte Usa (un portavoce di Trump) non si è fatta attendere: “Noi non vogliamo seguire una poliutica commerciale contro la cine, né fare una guerra di mercato alla Cina. Miriamo solo alla rivalutazione economica del ceto medio e ad accordi con gli stati esteri che non penalizzino nessuno”. In altri termini, l’amministrazione precedente americana avrebbe troppo largheggiato…

Tornando alla “allegra bailamme” del momento, alla imprevedibilità della storia che ci avvolge, è il colmo, è grottesco, che sia proprio uno stato che ha vissuto la rivoluzione comunista/marxista a richiamare il mondo verso i pregi e la dovuta attenzione ai vantaggi del libero mercato!

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