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Totò il comico l’attore il folletto la sua favola

Totò e Peppino, una coppia irresistibile, non strettamente legata come altre, ma capace di un comicità composta - in bilico fra la commedia e la farsa- che sapesse a volte far riflettere e persino muovere l'animo.
Dopo la fame e relative gags, grazie all'avvenenza della figlia e al fidanzato ricco arriva la pasta (la nota scena Miseria e nobiltà)

Dopo la fame e relative gags, grazie all’avvenenza della figlia e al fidanzato ricco arriva la pasta (la nota scena Miseria e nobiltà)

Con Fabrizi nei tartassati

Con Fabrizi nei tartassati

Fu anche uno dei volti più caricaturati: si prestava...

Fu anche uno dei volti più caricaturati: si prestava…

 

 

Ecco come amava apparire nella vita.

Ecco come amava apparire nella vita.

 

 

Edoardo lo stimava. Totò recitò testi di suo padre fra cui Turco Napoletano e soprattutto Miseria e nobiltà

Edoardo lo stimava. Totò recitò testi di suo padre fra cui Turco Napoletano e soprattutto Miseria e nobiltà

 

Con Mario Castellani, altra sua storica spalla.

Con Mario Castellani, altra sua storica spalla.

Con la moglie Franca Faldini compagna d'una vita dopo amari trascorsi amorosi

Con la moglie Franca Faldini compagna d’una vita dopo amari trascorsi amorosi

 

In Uccellacci uccellini di Pasolini. PPP testimoniava che Totò in scena riacquistasse la vista.

In Uccellacci uccellini di Pasolini. PPP testimoniava che Totò al ciack riacquistasse la vista.

E’ una moda dire che la critica si accorga di un artista solo dopo la sua morte. Nel caso del comico Totò, niente c’è di più falso. Chi avrebbe osato – ve lo dice un over …qualcosa – dire che Totò non fosse bravo. Eravamo tutti convinti della grandezza del Principe Antonio De Curtis che, con la degnazione che si confaceva al lignaggio – ma questa sembra anche una delle tante favole e gag che dal teatro trasferì nella vita e vice versa – recitTotò principe comicoava testi di Edoardo Scarpetta (Turco napoletano), era l’ideale interprete di Miseria e nobiltà, faceva di un asso come Peppino De Filippo la sua ineguagliabile “spalla”, aveva conosciuto Pirandello, fu scelto da Pasolini, lui ormai vecchio, per immortalare l’anziano eterno “folletto”, un pazzariello fuori napoli, che esorcizza “Uccellacci uccellini” e quasi l’aria intorno di una realtà incantata quanto malata: da esorcizzare, appunto, come la vita…

Lasciamo allo snobismo dei cronisti di maniera e dei critici “gran traduttori dei traduttor d’Omero” le trite osservazioni di cui sopra. Anche di Franchi e Ingrassia ci si accorgeva che fossero attori valenti. Adesso, rivedendo i loro film, ci si accorge di più che la gente rideva in sala, senza necessariamente essere stupida…

Val la pena di passare subito a Totò, l’attore e l’uomo. Mai, forse, la maschera fu tanto legata al volto; e fu questo, probabilmente, il vero motivo del grande e incondizionato successo di Totò. E’ normale che un artista, scrittore, poeta, pittore o attore che sia, porti in arte se stesso, la propria vita, le esperienze di quello che in Francia chiamano le metier de vivre… Ma Totò porta su alte vette tale ruolo dell’uomo che certamente visse d’arte, ma, prima ancora, visse.

La storia di Totò inizia nella Napoli disperata, chissà, non importa qui se fra i quartieri spagnoli o nelle zone degradate presso il golfo o nella periferia. Di quel mondo, come Scarpetta e i Defilippo, portò il ricordo nel cuore, sentendone sempre il dolore e al contempo la magia.

Per paradosso – e lui li amava tanto – era per quel che risulta di nobile origine. Così i dati anagrafici: nato come Antonio Vincenzo Stefano Clemente dalla palermitana Anna Clemente e dal marchese Giuseppe De Curtis. Fu poi adottato nel 1933 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas di Tertiveri e divenne Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro-genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, “solo per gli amici” Antonio de Curtis (Napoli, 15.2 1898, Roma, 15 aprile 1967). Fu il legame giuridico con il padre adottivo a consentirgli di fregiarsi a pieno diritto dinastico del titolo, appunto, paterno. Non fu un modo per prendere in giro il mondo come meritava? Adesso che, grazie al successo e al denaro, lui poteva tutto? Chi lo sa? E’ certo che si fece chiamare Principe, come aveva sempre desiderato, ma è ancor più certo che gli innumerevoli ammiratori e la cronaca gli attribuirono entusiasti il titolo di Principe della risata. Già, fin qui l’eterna favola del clown prima dentro e poi fuori scena, del “ridi pagliaccio!” Pochi, però, come Totò, sono riusciti a sdoppiare i due ruoli.

Era, infatti, destinato appunto a diventare Principe, come lui – fatta fortuna – volle fortemente dimostrare. Tale lo faceva l’intelligenza, l’umanità e, neanche a dirlo, lo spirito. Ma Totò veniva “dal nulla” nel vero senso della parola. Evidentemente, però, come altri aveva la finzione scenica nel sangue. Come altri grandi attori recitò prima nella vita che sulla scena, fingendosi un altro, fingendosi il più commosso dei partecipanti al funerale di …uno sconosciuto.

Come Franchi e Ingrassia, iniziò a recitare per strada, ma giovanissimo prese a calcare le scene dei teatrini di una Napoli e poi di Roma in cui imperversava positivamente il teatro di Edoardo Scarpetta, delle sue opere, portate in palcoscenico per primi dai suoi tre figli naturali: Edoardo, Peppino e Titina. Due diverranno suoi amici, il terzo sarà la sua eccezionale spalla. Tutto ciò, assieme alle foto che lo ritraggono abbracciato con Edoardo, personaggio non certo facile, sono un chiaro segnale che, se ci fosse stato – e ci fu – barba di critico che torcesse il naso davanti al contenuto dei suoi film, estendendo anche il giudizio interlocutorio al valore della sua arte, sarebbe stato un… Si può dire cretino…

D’altro canto in America è noto il detto che “chi sa fare fa e chi non sa fare critica o racconta, al limite insegna”. Oppure val la pena di ricordare – con tutto il rispetto – la gag di Massimo Troisi: dopo morti gli artisti vengono di solito rivalutati, i critici mai…

Totò presto calcò il palcoscenico e …la sua favola d’attore ebbe inizio. Era un folletto, un po’ folle sul serio, portava in scena questa sua follia, fu “o’ pazzariello’ per eccellenza, un burattino quando voleva. Persino Pinocchio. Famose le sue performance in palcoscenico quando saliva su di esso. Come per i grandi comici …non c’erano problemi. Era subito spettacolo. Il pubblico rideva e ammirava: la sua mimica, quella che tutti conosciamo, ammiriamo, abbiamo imparato ad amare. Era passato il giorno in cui aveva chiesto “a prestito” la sua prima gag a Nino Taranto…

Chi scrive ricorda un “pargoletto” che appena aveva imparato malamente a parlare. Era mio figlio. Mi sento chiamare: “papà, vieni, vieni, questo fa lidere”. Con quella erre che non ancora non era neanche alla francese, ma proprio una deliziosa elle. Ora sento un altro “pargoletto” che lo chiama papà e mi viene da piangere e da …lidere. Chissà se questa terza generazione amerà Totò. Certamente sì. Un bravo folletto lo portiamo tutti dentro di noi. Da sempre e per sempre…

Ma, soprattutto, amò il cinematografo bianconero e poi anche “color”, dopo il primo, intitolato appunto: Totò a Colori. Era in Italia il tempo della Ferrania-color, ma recitò anche in Technicolor. A lanciarlo fu Giuseppe Jovinelli, un grosso nome nell’ambito del teatro a Roma. Giunse, quindi, al cinema in un’occasione particolare: doveva girarsi un San Giovanni decollato con Angelo Musco, ma il grande attore catanese venne meno. Un amico di Jovinelli disse che aveva visto in scena un giovane promettente: fu il suo primo film e, come no, il suo primo successo.

Rivelò subito le sue caratteristiche di “tombeur de femmes“, ma non fu fortunato in amore fino in fondo. Anzi. Soprattutto gli inizi furono drammatici. La sua prima compagna fu una soubrette bellissima e molto giovane che morì di morte naturale, provocando in lui il dolore che è facile immaginare. Dopo qualche tempo incontrò la sua prima moglie: erano molto gelosi l’uno dell’altro. Ma già il successo aveva baciato Totò e girava per i teatri di tutta Italia. Lei, la bellissima soubrette Liliana Castagnola, era anche lei quantomeno una ribelle: era stata espulsa dalla Francia per aver indotto due amanti al duello… Sia le pretese dell’impresario, sia il comportamento asfissiante della gelosa Lily, fece sì che Totò non la portasse in tournée, anche se avrebbe potuto partecipare allo spettacolo: lei si suicidò per la disperazione, lasciandogli un’accorata lettera. Più o meno: “muoio disperata, se tu fossi qui mi salveresti, lo so, sapresti farlo. Oggi mi perseguitano i gatti neri, che buffa coincidenza…”

Visse a lungo di avventure sentimentali, finché non conobbe la splendida compagna della sua vita, Franca Faldini, che divenne sua moglie per tutta la vita, fedele oltre la vita. Lei ebbe una volta una sbadata, a fonte delle tante di Totò: pare sia stato così che l’attore ebbe l’ispirazione per la grande canzone Malafemmena, presto divenuta uno degli “inni” di Napoli e d’Italia.

Franca Faldini, la sua elegante compagna, divenne giornalista e scrittrice. Dopo la morte dell’impareggiabile attor comico, scrisse nel 1977 il libro “Totò, l’uomo e la maschera”, realizzato insieme a Goffredo Fofi.

Il comico, il folletto, allegro, sarcastico, ma anche all’occasione pensoso e triste, era divenuto un mito. L’agiografia ne aveva fatto un simbolo, si era puntualmente allontanata dalla figura reale di Totò. Com’era? Nel libro la Faldini raccontò sia il profilo artistico, sia la vita dell’attore fuori dal set, con il chiaro intento di smentire alcune false affermazioni riportate da scrittori e giornalisti riguardo alla sua personalità. Già, Totò, il genio, la fantasia, la mimica, il mordente, gli occhi, le smorfie, l’ironia, la curiosità, la maschera triste… chi sono, nella realtà, i personaggi tanto amati e così famosi?

La favola è d’obbligo in questi casi, nasce spontanea, non c’è altro appiglio. Umano troppo umano, da un lato, mitico troppo mitico, dall’altro…

Totò si distinse anche al di fuori della recitazione, anche con opere di bene, ma – in arte – lasciando contributi come drammaturgo, poeta, paroliere, cantante. Sapeva “recitare a soggetto” come pochi altri. L’improvvisazione italiana e napoletana si sommava all’improvvisazione sua personale, alla battuta facile, per lui, che nasceva frase dopo frase, espressione dopo espressione, battuta dopo battuta.

Il mito si alimentò, dopo, con il sopraggiungere di uno stato di sofferenza agli occhi, probabilmente stressati dalla luce dei riflettori e, si disse, dagli anti dolorifici e dagli antibiotici di cui aveva abusare, sempre per essere pronta a dire formalmente o col pensiero al suo pubblico la famosa frase del ìla Commedia dell’arte: “non chiedo niente per me, né doni, né denaro, ma solo l’applauso del mio caro pubblico che son qui sempre per servire“. E ciò che per gli attori coincide con il giuramento d’Ippocrate per i medici.

Ma la storia non si fermò mai. Il mito volevamo dire. Vedrete perché… Il male agli occhi lo aveva colpito proprio a Palermo e il Giornale di Sicilia, allora presente nelle case, nei barbieri, nei bar di tutta la città, titolò più o meno: Colpito da cecità, il comico Totò sul palcoscenico del Politeama. Mi pare ieri. Ero ragazzino, restai impressionato, mi mancò il fiato. Ha ricordato il fatto di cronaca in un recente volumetto rievocativo il giornalista Giuseppe Bagnati.

Ma, anche in stato di cecità, Totò compiva poi, recitando quando poteva, una sorta di “miracolo di San Gennaro”: riacquistava o sembrava riacquistare la vista quando recitava. perciò il suo ultimo impresario teatrale lo citò per inadempienza contrattuale: mostruoso! Era vero che Totò si dava forza, di tanto in tanto, specie davanti alla cinepresa che faceva sentire il suo rumore e gli consentiva degli intervalli. Allora, sul set, ma talvolta persino in brevi apparizioni sulla scena, si muoveva, volgeva il capo, guardava soprattutto quell’obiettivo che lo aveva guardato a su volta, scrutato, da cui si era fatto ispezionare, come in gigantografia, perché il pubblico scoprisse i segreti del suo volto e del suo cuore, per tutta la vita, nei suoi innumerevoli film. Sì, era sempre lui, come tutti i grandi, veramente grandi, un folletto anche miracoloso. Fino all’ultimo istante…

Germano Scargiali

(Al comico Totò, con affetto, da spettatore, uno dei tanti, nel 50esimo anniversario della sua scomparsa).

 

 

 

 

 

 

 

 

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