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La Speranza progettuale di Tomàs Maldonado e la fuga dall’alienazione

Progettazione moderna di ambiente cittadino

Il Domani è un antico tema di curiosità e di studio, ma il presente, oggi incerto per antonomasia, appare adesso come “il problema dei problemi” ed attrae l’interesse di giovani e vecchi. D’altronde, è noto dal tempo dei greci che il presente non esiste …o quasi. Il passato, invece, non esiste più. Ne consegue che sia di fondamentale interesse il progettare, perché è il solo modo di occuparsi di qualcosa che – comunque – verra in esistenza…

Da sempre la comunità umana – ed anche le comunità particolari – ha vissuto, del resto, in un ambiente costruito in buona parte da sé stessa. Stiamo estendendo, però, il concetto di ambiente al di fuori di quello che da alcuni decenni è andato affermandosi sotto il profilo naturalistico, con la relativa ecologia propriamente detta. Tali problemi hanno sconfinato nell’ideologia, diventando essi stessi un’ideologia in sé, tale centralità si attribuisce al “problema”… Si allarghi, invece, il concetto alla realtà civile e culturale, ai modi e ai costumi, anche a rischio di ingigantire il tutto. Sarà, probabilmente, il modo migliore per “sdrammatizzare” il tutto, uscendo nella sclerosi in cui sembrano – addirittura – crogiolarsi coloro che hanno perduto …altri appigli ideologici. La nostra volontà è – infatti – quella di introdurre nell’ambiente una buona dosa di serenità: di questo c’è, certamente, bisogno. 

Tutto ciò intendiamo focalizzare, pur incentrando il discorso sull’individuo, ed è da questo che guardiamo al di fuori : non c’è dubbio che, comprendendo il tutto, il contributo del comportamento umano risulti decisivo sul tipo di ambiente in cui la comunità vive e sta per vivere. Ridurre, però, l’ambiente ad una creazione del pensiero, risulta certamente riduttivo. Non è così: l’ambiente ha una propria realtà. Tanto è vero che, sia nel tempo, sia nella logica, l’ambiente preesiste al pensiero.

Tuttavia, la piena consapevolezza dell’esistenza di un “ambiente” con riferimento al “fatto” di essere circondati e condizionati da un territorio, che ci appartiene e cui apparteniamo, che abbiamo costruito e che ci condiziona, è abbastanza recente. Di solito si parla di tutto ciò come una conquista. Né si può dire che tutti “la posseggano” allo stesso modo, la affrontino dallo stesso angolo di visuale e con intendimenti analoghi e tantomeno concordi…

Antropizzazione a Londra in Oxford street. Eppure Londra nasce da progetti di urbanizzazione all'avanguardia dal tempo del "big fire" che la distrusse nel 1666
Antropizzazione a Londra in Oxford street. Eppure la capitale inglese nasce da progetti di urbanizzazione all’avanguardia dal tempo del “big fire” che la distrusse nel 1666.

Alcuni spunti sul tema sono ben forniti da Tomas Maldonado, industrial designer e docente presso varie università all’estero, apprezzato da altre come “Fellow” ed anche premiato, stabilitosi poi in Italia fra Torino e Milano… Indicazioni, citazioni ed esempi, presi dalle sue opere sono motivo di riflessione, per portare avanti scelte ed opinioni anche differenti da quelle cui giunge lo stesso Maldonado…

Maldonado parla di “speranza progettuale”, della capacità di progettare come indispensabile momento, se si vogliono preparare condizioni di vita (ambiente nel senso più lato) migliori, non ponendo certo in secondo piano, ma – in linea con il costume odierno – valorizzando l’ambiente fisico e “i tre componenti basilari del sistema biotico: l’acqua, l’aria, il suolo”.

Tomàs Maldonado, nato a Buenos Aires (1922, vivente) sostiene il recupero del ruolo dell'intellettuale come guida della coscienza collettiva.
Tomàs Maldonado, nato a Buenos Aires (1922, vivente) sostiene il recupero del ruolo dell’intellettuale come guida della coscienza collettiva.

Maldonado, in linea con l’impostazione culturale di Palermoparla, si accorge dei limiti della cultura hegeliana ed apprezza, pur fra le irrisolte problematiche, le strade intraprese da altri pensatori come Vico, ma soprattutto dal cosiddetto “evolversi del pensiero dopo Hegel”. E’ già, del resto, un concetto “da liceo” che Hegel abbia rappresentato la conclusione del “modo tradizionale di filosofare”. 

 

Per quanto Hegel Feuerbach e Marx ci abbiano aiutato a comprendere il nesso dialettico fra società e realtà sociale, restano da approfondire i discorsi aperti da C.S. Pierce sul tema della funzione segnica delle strutture ambientali o da Nietzsche, con la profonda carica demistificatrice, quasi …allergica ad ogni dogma che celebri la passività e l’acquiescenza dell’uomo nell’universo. I pensatori da approfondire sono da allora HusserlFreud e i rappresentanti del moderno empirismo, i filosofi dell’esistenza. Ciò servirà ad approfondire, associarsi o negare i loro assiomi.

Friedrich Nietzsche nei suoi aforismi scatenò il proprio sarcasmo contro la speranza e certi buoni sentimenti. Ciò cozza, però, contro il reale contenuto della sua inedita filosofia.
Friedrich Nietzsche nei suoi aforismi scatenò il proprio sarcasmo contro la speranza e certi buoni sentimenti. Ciò cozza, però, contro il reale contenuto della sua inedita filosofia.

Secondo noi, da un’eccessiva adesione al platonismo, culminata con l’Illuminismo e con Hegel (e i seguaci della destra e sinistra hegeliana), si passa facilmente ad una visione contraria, decadente della vita umana, definita e ridefinita in funzione delle contingenze e delle situazioni ambientali e mai con l’ausilio di categorie assolute. Ma si fugge da una prigione, “una camera chiusa e senza finestre”, come l’idealismo con le illusioni che lo accompagnano, e si rischia di finire in un’altra trappola, come un po’ è avvenuto alla società più moderna e come ci si può attendere che avvenga di regola nell’umana condizione, portata ad oscillare fra opposte posizioni…

Da quanto appena detto, infatti, il passaggio alla “idolatria” per il laicismo – inteso  alla fine quasi come una “religione altra”, se non come apostasia – il passo è breve. 

Si giungeperò, in questo modo, oltre quella soglia “fatale” che conduce al relativismo etico, che scambia la libertà con l’arbitrio: di fatto l’azione si fa a questo punto dipendere da scelte ambientali “di fatto”, che finiscono per svuotarsi anch’esse di contenuto. Esse sono sì “libere” ma – purtroppo – nell’ambito di tanti paradigmi e coniugazioni il cui comun denominatore è, spesso, sotto le più svariate forme null’altro che il mero consumismo. Forme anche non immediatamente riconoscibili. Perché il peggio è che anche il sistema impone quelle scelte per propria necessità (che diviene persino necessità comune) preparando – non potendone fare a meno – null’altro che una serie continua e ben variegata di “insidie mirate”. Le scelte restano vincolate – infine – più alle mode che all’osservazione e al ragionamento… 

Eppure, in partenza, il pensiero post hegeliano avrebbe voluto e dovuto essere proprio il contrario. Così infatti, dovrebbe essere e vorremmo che fosse… L’idealismo spingeva, infatti, l’individuo verso mere idee, che rappresentavano (in quella logica) la pur variegata realtà del mondo, ma idee erano e tali molto spesso restavano… L’uomo moderno rischia di non seguire più nulla, neppure le idee, ma solo i consigli strillati o bisbigliati dai persuasori, dai media, dagli opinion leader…

Oltre a ciò, l’idealismo aveva, però, “il difetto” di vedere la perfezione “prossima e raggiungibile” in accordo con la primaria lezione di Parmenide: perfetto, infatti, sarebbe di per sé il creato, o come opera di Dio o per il fatto di esistere come tale da sempre e di sopravvivere all’uomo. L’errore – perché mai? – avrebbe potuto essere, a quel punto, solo umano… Se riflettiamo tale mentalità è ancora ben viva “tra noi” ed è frequente chi – più o meno – teme che l’umanità possa solo guastare il creato. Ma anche l’umanità fa parte del creato che, per di più, ha donato ad essa l’intelligenza. La conoscenza è il vertice della creazione, il massimo plafond… Quindi la contraddizione è evidente e macroscopica…

Tali nostre osservazioni ci riportano a ciò che lo stesso Maldonado indica come “il problema di tutti i problemi dell’uomo moderno“, cioè – al contempo – del pensiero post hegeliano: è “il conflitto fra libertà e necessità”.

Lo studioso, parlando di questo conflitto, afferma che il solo condizionamento plausibile dovrebbe essere quello che proviene dal …contributo straordinario della scienza ecologica, sempre intesa in quel senso ampio che comprende sia natura, sia cultura (scientifica, letteraria e antropologica, aggiungiamo per esser chiari). Il concetto di “ambiente umano” trae, solo in tal modo, la propria opportuna origine dal pensiero filosofico moderno, ma anche dalla descrizione letteraria ed artistica (Freud) dell’ambiente stesso, trasformando la nozione scientifica in un fatto di sensibilità, un contributo tecnico scientifico in un fatto di percezione.

E’ questa “…la ricchezza di osservazione – osserva Maldonado – che rileviamo dall’opera di autori come Henry James, Dostoevskij, Proust, Kafka, Italo Svevo e Joyce (ma aggiungiamo Erzra Pound) e …costituisce un materiale sul quale, da questa particolare angolazione, si dovranno in futuro avviare studi e (quindi) rilevazioni accurate”.

James Joice con la moglie.
James Joice con la moglie. Ha rivoluzionato il “racconto” e lo stile giornalistico.

Di grande utilità è anche la mole formidabile del materiale di visualizzazione ambientale accumulato dalla fotografia, dal cinema e dall televisione. 

Da tutto ciò nasce la possibile consapevolezza ambientale che discende da tutto ciò che proviene dalle strutture tangibili, che condizionano psico – somaticamente il comportamento umano, individuale e sociale, sotto forma di strutture fisiche a livello di città, edilizia, oggetti d’uso etc, i quali concorrono a dare forma e contenuto al “nostro intorno”.

Contro ogni nichilismo valgono alcune osservazioni. Per quanto la consapevolezza di far parte ed essere circondati da un ambiente cui specificamente apparteniamo sia una conquista abbastanza recente, una cosa tuttavia è chiara e incontestabile: l’uomo non può vivere e sopravvivere, né l’ha mai fatto, senza “la prioezione concreta”. Secondo Maldonado, …coloro che vogliono scartare (ai nostri tempi) la proiezione concreta, non solo fraintendono il passato, ma compromettono l’avvenire.

Il titolo del suo libro “La speranza progettuale” assume; così, un significato di elementare comprensione.

Si ritorna a Giambattista Vico per cui la nostra realtà ambientale – sia in generale che nei particolari – è il risultato di ciò che il pensatore napoletano definisce come la “capacità di fare”. Ciò vincola in Vico il verum ed il factum fino alle massime finali: “verum est factum” e “verum est ipse factum”. 

Maldonado fa una interessante distinzione nell’ambito della sua critica alla alienazione oggi ricorrente, ma vista come posizione mentale fuori dal tempo. Sempre nell’ottica del progettare e della progettazione, egli definisce anzitutto il fare senza progetto: questo è il gioco. Per converso definisce il progettare senza fare: questa è l’utopia. Per questa progettazione lo scopo fondamentale non è la realizzazione immediata. 

Il ragionamento è questo, anche se è ovvio come occorra distinguere l’utopia dalla “ricerca” pura, per la quale è normale che i risultati tecnico scientifici non siano ancora prossimi e, a volte, molto lontani. Per cui siamo fuori da questa ipotesi…

L’alienazione– ci sembra elementare – è invece una tipica conseguenza della esasperazione della mentalità idealistica, una sua degenerazione neppure tanto rara…

 

Condorcet, enciclopedista, fu un pensatore eclettico, un grande matematico ed al contempo un umanista.
Condorcet, enciclopedista, fu un pensatore eclettico, un grande matematico (calcolo infinitesimale) ed al contempo un umanista. (Vedi articolo alla voce Cultura).

Vale l’esempio di ciò che accadeva a Condorcet rinchiuso nel carcere rivoluzionario, che lo stesso Maldonado riporta. Una situazione paradossale, visto che era un uomo appartenuto ai quadri ufficiali, già col Re e poi con la Rivoluzione. Aveva persino proposto bozze della nuova costituzione e importanti norme entrate subito in vigore…

Si sa, infatti, come Condorcet – da illuminista girondino – potesse, in attesa della ghigliottina, proseguire tranquillo nella stesura del suo “Esquise d’un tableau historic des progrès de l’esprit humain” dopo che Robespierre – illuminista quanto lui, ma giacobino – aveva instaurato il …terrore. Condorcet non vedeva, probabilmente, un nesso preciso fra le sue idee e i drammatici effetti che esse stesse avevano concorso, in buona parte, a provocare. Né, forse, era molto turbato dal fatto che egli stesso ne venisse travolto in quei giorni… Continuava, invece, a pensare e comporre, attorno al “progresso dello spirito umano” nel corso del tempo.

Se questo non è un esempio negativo in sé, anzi, ha un risvolto positivo, tuttavia esemplifica fino in fondo a che cosa possa condurre la mentalità idealistica: una scollatura fra la realtà e l’immaginazione (idee, appunto). Non dimentichiamo che, se di alienazione, si parla, l’idealismo è ampiamente degenerato, nei due secoli passati, in ideologie, conducendo al suicidio dei romantici, ad una esasperazione del concetto di patria e, infine, al sogno marxista. Sono tre errori che, forse, dovevano eser compiuti, com’è vero che – con tutti i mali che comporta – l’atteggiamento empiristico che guiida il mondo moderno, pur con i suoi problemi, è la sola strada che …produce.

Da qui torniamo al titolo del libro che ci ha tanto incuriosito: La speranza progettuale.

E’ ovvio che per Maldonado progettare sia “tutto”. Quando parla del gioco e dell’utopia come le due facce dell’alienazione (vivere senza progettare e progettare senza realizzare), finisce per non svuotare d’importanza il passaggio logico dalla alienazione e da quella esperienza, al fine, però, di assodare come la “proiezione concreta” sia indispensabile all’uomo e che questa – se ben intesa – rappresenti un punto d’arrivo se non una vera e propria conquista, cioè la conqusista per eccellenza.

Non lo è, almeno da sola, ma …il bisogno umano di proiezione concreta, come dicono i suoi propugnatori, è il risultato della recente tradizione prima utopistica, poi illuministica e, dopo ancora, razionalistica. Ma la forma “vincente”, cioè quella che è emersa, è da ricercarsi nel quasi maniacale e aggressivo attivismo e utilitarismo della cultura occidentale in genere e della società borghese in particolare. Il limite di tutto ciò consiste, invece, nella situazione “moderna” che vede il dialogo farsi più desueto e difficile. Perché la sopraffazione di un nuovo “oscurantismo manicheo” sembra rendere gli individui più inclini ad individuare dietro a tutte le idee e le parole un nascosto committente

A questo punto della storia, però, il rischio è che venga meno anche “il principio della speranza”, quasi fosse …il “residuo fossilizzato” di un’antica ideologia sentimentale.

Questo è il risultato della forzata laicizzazione della società, del materialismo imposto comunque alla mentalità corrente, che finisce per essere ben più legata al concreto di quanto non potessero esserlo nel Settecento Condorcet Robespierre. Il primo, da filosofo, avrebbe voluto comunque escludere il sussistere un ateismo di Stato. Il secondo, d politico e da illuminista radicale, voleva affermare e proponeva un teismo “per tutti” di tipo, appunto, illuministico. Si potrebbe osservare che, se i due assunti “ideali” erano ugualmente plausibili, Robespierre aveva – di fatto – il potere di mandare a morte l’amico. Condorcet, invece, no… 

Il laicismo inteso come mentalità e “moda” diventa, poi, un credo: come detto sopra un oscurantismo manicheo. Questo coincide con una negazione assoluta. Assieme viene negata la speranza ed è grave. 

Qui ci si soccorre di nuovo Maldonado, quando afferma che uscire dall’alienazione diventa impossibile, perché la progettazione, che è la base dell’azione, “diventa superflua” nel momento in cui non si ha più niente in cui sperare, né niente, quindi, neppure da dirsi. Ecco una riconferma della difficoltà stessa del dialogo…

Il progettista, secondo Maldonado, finisce pe avere come simbolo Sisifo, in cui vede “l’esatta raffigurazione allegorica del progettista senza speranza”.

Riecheggiano, ancora un volta, le parole del titolo, perché la speranza progettuale è un fondamento, uscendo dal quale il rischi è grosso. E le “trappole” stanno dappertutto, perché …nella polemica contro la società dei consumi si finisce di solito con il sacrificare globalmente anche la speranza progettuale. Alcuni critici spingono tali osservazioni fino all’ambito specifico delprogetto industriale edel design. Non si tratta di ricercare il problema solo in vaghi apsetti culturali, prischici e sentimentali, am c’è di più: secondo loro ambedue le arti, non più adeguatamente apprezzate, sarebbero degenerate in mestiere. B. Zevi, nel suo articolo apparso si L’Espresso, giunge ad esemplificare che “L’orco conformista ha mangiato l’architetto”. 

A rigore la civiltà industriale senza i progettisti sarebbe impensabile. Eppure Zevi Argan ritengono che la progettazioni di modelli industriali e il design siano divenuti solo parte di una modalità subalterna e minore. Si finisce, però, per tornare a Croce ed alla sua estetica, secopndo la quale ciò che non si riconosce come volontà d’espressione non è Arte, intesa come fenomeno culturalmente valido.

Come si vede l’idealismo, cacciato dalla porta, è come se tornasse dalla finestra: è quel fascino e quella capacità di persuasione che tanti danni ha provocato nella storia…

Siamo, comunque, in bilico, sulla lama di un rasoio. Non può accettarsi altra conclusione che la più incerta… Se riteniamo la “Cultura” soltanto figlia del nostro libero e mero pensiero, cadiamo nell’utopia. Se – invece – riportiamo il tutto sul terreno di ciò che da Galileo agli empiristi, passati attraverso il crivello virtuale dei moderni pensatori post hegeliani, ancora neppure ben compresi, giunge fino all’utilitarismo scientista, all’abuso dello strumento statistico, al culto ossessivo del laicismo o alle forme materialiste di religione “sociale”, agli slanci senza regole a favore della libertà di scelta, finiamo in un’altra trappola. Forse quella oggi più pericolosa.

Moralmente, insomma, il rischio è grande. Il relativismo etico, da noi già additato, è la trappola che si tende alla comunità civile e all’individuo che, proprio perché prigioniero di troppo grandi realtà – ha di più la tentazione di gratificarsi con comportamenti che giungono nei casi peggiori fino all’auto mutilazione (in senso lato).

In ogni caso, d’accordo con quanto sostanzialmente afferma Tomàs Maldonado, ciò che non bisogna perdere è la speranza progettuale. Inquadrando anche il tutto in una visione ecologica, ma naturalistica, ambientale, sociale e civile: è questo il solo modo per affrontare l’alba.

Germano Scargiali

 

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