Il Bronx? E’ dietro l’angolo

Il sotto-quartiere più alienante dello Zen. E’ quello “più nuovo”. Lo hanno ribattezzato San Filippo Neri per esorcizzarne il nome, ma che cosa si fa per renderlo più vivibile?

 I Bronx di casa nostra sono a pochi passi da noi ne ho appena visitato uno. Ieri pomeriggio mi trovavo in un quartiere periferico di una città siciliana di cui non faccio il nome perché non ha nessuna importanza per ciò che mi accingo a scrivere.

Esempi di degrado dappertutto: traffico caotico, macchine seppellite dalla polvere parcheggiate nello stesso posto chissà da quanto tempo, panchine messe nell’ampio marciapiede, dove potresti anche sederti se non fosse per quel senso di repulsione che producono le superfici sudice. Muri sbrecciati ma anche facciate di palazzi appena rinnovate e dipinte con colori sgargianti che si fanno notare, come una bottega di barbiere che sfoggia un nome americano e due baffoni sotto la scritta ‘barbershop’. Dentro si vedono dei giovani con il taglio di capelli alla moda, un ciuffo ben vistoso che sembra quello di un ananas fresca su una testa a cocomero con le parti laterali ben rasate. Vedi anche persone di colore che hanno lasciato qualche paese africano per venire nel mondo colorato della società del benessere: donne coi pantaloni con grandi buchi che mettono in mostra a chiazze le gambe; sicuramente non avrebbero mai indossato niente di simile nella loro terra d’origine. Qui lo fanno perché è la moda, come lo fanno anche ragazze e qualche signora perché questa moda è stata lanciata dalla cantante Madonna.

Con o senza toppe: è la codificazione della povertà e "condivisa". Ma è solo formale: i jeans "pomiciati" e bucati, ma griffati, costano un occhio e lo sa chi li vede indosso a qualcuno. Nella psiche è anche un modo per "i brutti" di snobbare la bruttezza e per i belli di sfidarla.: sono brutto, ebbene? Oppure: sono bello anche così, vero?
Con o senza toppe: è la codificazione della povertà e della sciatteria “condivise”. Ma è un fatto solo formale: i jeans “pomiciati” e bucati, ma griffati, costano un occhio e lo sa bene chi li vede indosso a qualcuno. Nella psiche questo è anche un modo per “i brutti” di snobbare la bruttezza e per i belli di sfidarla.: sono brutto, ebbene? Oppure: sono bello e fine anche così! Vero?

Anche i giovani girano coi pantaloni strappati come se fossero reduci di una rissa. Quando avevo la loro età, negli del dopoguerra, questi spettacoli non si vedevano perché anche i poveri avevano dignità da vendere e uno strappo ai pantaloni veniva sistemato per bene e non mostrato con vanità. La miseria non era ancora trendy. Anzi c’erano delle bravissime sarte che “sarcivano” così bene il tessuto strappato da fare scomparire le ferita, con la stessa bravura di un chirurgo plastico.

Erano tempi in cui non mi fu possibile indossare un jeans perché mia madre mi diceva che quel tipo di pantalone lo portavano gli zingari. Mi rassegnai, tanto allora i jeans della prima generazione non erano quei capi eleganti che diventarono molti anni dopo quando gli stilisti li cominciarono a confezionarli con delle ottime stoffe, che non erano affatto ruvide, e ne fecero un capo di abbigliamento veramente trend.

Negli anni Settanta i miei studenti di un istituto superiore del centro Sicilia cominciarono ad utilizzare la candeggina per sbiancare alcune parti dei jeans per dare l’impressione che si erano consumati con l’uso. Sono particolari che appresi per caso dalla voce di due ragazzi che ne parlano durante l’intervallo: uno spiegava all’altro come ottenere degli ottimi risultati. Lo strappo ostentato non era ancora apparso all’orizzonte ma vedere quei jeans ingialliti nelle gambe e nei glutei mi faceva ritornare alla mente il periodo della povertà dignitosa. Chiesi qualche anno fa ad un sarto come fosse possibile spacciare come moda quei tessuti così rovinati, più strappati di quelli che si buttano nei bidoni dell’immondizia. Mi disse che bastava che qualche personaggio dello spettacolo indossasse qualsiasi stravaganza e già creava ‘la moda’. Di fronte a queste scene che si possono vedere in tutte le città ed anche nei piccoli paesi, mi sono chiesto più volte dove fosse andato a finire il senso estetico ed anche il senso critico. La testa è stata messa sotto il vuoto pneumatico. Un fallimento di tutte istituzioni educative e della cultura familiare che si trasmetteva di generazione in generazione.

Scena di povertà nella Londra del dell'80 prima dell'innescarsi della Rivoluzione industriale vera e propria. E' l'immagine di un carcere in cui finiva la povera gente per piccoli reati comuni (piccoli furti al mercato etc).
Scena di povertà nella Londra del dell’80o prima dell’innescarsi della Industrial revolution.  E’ l’immagine di un dormitorio al coperto. Sulla destra le scarpe e delle griglie per eventuali abiti in più (che non ci sono). Un “ospite” ha anche una capra. La povera gente finiva spesso anche in galera per piccoli reati comuni (piccoli furti al mercato etc).

Nel quartiere del nostro racconto c’è anche una chiesa con annesso oratorio e locali per un’associazione; la facciata è ben pulita e l’interno ben sistemato. Dal punto di vista estetico nulla da eccepire: sembra piovuta dal cielo. Nelle strade si snodava un corteo che accompagnava il feretro in chiesa. In prima fila, accanto alla macchina una ragazza di quindici-sedici anni passava il tempo con lo smartphone. Gli altri parenti del defunto non avevano facce tristi ma stavano in silenzio; nessuno redarguì la giovane col telefonino. Mi sentii un pugno allo stomaco.

La facciata della bottega del barbiere era pitturata di recente e aveva un cilindro girevole con due bande colorate che sta ad indicare l’attività che una volta, dal lontano Medioevo fino a metà novecento, questi artigiani svolgevano diversi compiti: estirpavano denti cariati, usavano le sanguisughe per abbassare la pressione e curavano anche le infiammazioni e la scabbia. Il cilindro richiama il bastone che il barbiere faceva stringere con le mani al paziente quando effettuava l’intervento per contrastare il dolore mentre la cupoletta – una volta era di bronzo – che sta sopra raffigurava la bacinella che raccoglieva il sangue che scorreva durante il salasso. Non penso che il titolare del salone conosca le origini e il significato dell’insegna che ha fatto mettere nella facciata della sua bottega né che gli interessi più di tanto.

Un ragazzo spinge lo scooter in panne, percorrendo una scorciatoia verso casa. L'immagine si apre avarie interpretazioni. Allegra non è. Il quartiere è Librino.
Un ragazzo spinge lo scooter in panne, percorrendo una scorciatoia verso casa. L’immagine si apre a varie interpretazioni. Allegra non è. Il quartiere è Librino.

Sempre nel quartiere, a tutte le ore, girano piccoli calessi trainati da puledri. Ieri ne ho visto uno che ha bloccato per alcuni minuti il traffico veicolare perché l’animale si ostinava a restare fermo sebbene il padrone tentasse di convincerlo col frustino. Alla fine il puledro ha capito che era meglio finirla con lo sciopero e tutto è continuato in modo caotico ma scorrevole.

Avevo posteggiato per pochi minuti la macchina in una traversa della strada principale accanto a una scuola e al ritorno ho dovuto subire i rimproveri di un signore che coi gomiti poggiati alla finestra aveva da ridire in quanto l’auto aveva occupato uno spazio segnato dalle strisce bianche. Non ho risposto perché il quartiere è off limits con gente disposta ad attaccare briga ad ogni momento. Guardavo l’uomo che ripeteva il suo mantra ma ho fatto finta di non sentire e me ne sono andato. Questo comportamento si chiama saper vivere. Mi venne in mente quanto, tempo fa, mi raccontò mio figlio che veniva importunato da un ragazzo mentre con la moto aspettava che il semaforo passasse al verde. A gesti fece finta di essere sordo e ciò scoraggiò il giovane che lo disturbava e la cosa finì lì.

Un’altra volta, vicino a casa mia, una persona anziana mi ripeteva che il camion degli operai che mi stavano facendo dei lavori non poteva occupare quel suolo pubblico. ‘Lo sa che il camion non può stare qui?’ una prima volta, poi una seconda volta, alla terza  ‘ Ma che fa non mi risponde?’ Al che, con molta calma, proferisco ‘Lei ha il diritto di parlare?’ Tutto tronfio ‘Sì, certo!’ ‘ Ed io quello di non rispondere’. L’anziano se ne andò senza controbattere, l’avevo messo all’angolo in modo perentorio ma educato. Sono scene di ordinario fastidio urbano che alcune persone arrecano senza motivo, forse per scaricare l’aggressività di cui sono dotate.

Per chiudere la serata restando in tema, ma la cosa è accaduta per caso, mio figlio mi invita a vedere l’ultimo film di Antonio Albanese ‘Come un gatto in tangenziale’. Inizia con la scena del comico che parla al Parlamento europeo sul tema del recupero delle periferie. Il deputato era molto convinto e si aggiornava con libri e riviste. Tornando a Roma trova la figlia ad aspettarlo e gli chiede venti euro. Glieli dà con piacere e la vede allontanarsi assieme ad un coetaneo che gli ha appena presentato. Gli amici gli dicono che il quartiere dove abita il ragazzo è il più degradato della città e ciò gli suscita grandi timori. Perciò inizia a seguire con la macchina segue il bus che porta i due giovani nel quartiere della periferia romana. Nel traffico caotico è costretto a fermarsi ma una donna che sta dietro si infastidisce e gli rompe il vetro con la mazza da baseball. Molto frastornato raggiunge la figlia nell’appartamento di un palazzo che sfoggia tutte le scene del degrado, compresa quella della gente che dorme nei pianerottoli perché a casa c’è troppo caldo. Mi sembra di rivedere alcune scene del pomeriggio.

Pippo Algozzino

Cumuli di rifiuti all'Albergheria a Palermo. Il quartiere è sede di un gran mercatino di abiti r oggetti usati ed è teatro di tutto: stupri, furti, violenze...
Cumuli di rifiuti all’Albergheria, rione storico a Palermo. Il quartiere è sede di un gran mercatino di abiti r oggetti usati ed è teatro di tutto: stupri, furti, violenze… Per l’antica “Città murata – centro storico – dove ci troviamo, c’era un’improbabile richiesta perché diventasse patrimonio Unesco
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