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SPECIALE #CANNES71 #6 – 8/19 MAGGIO 218 (DAYS 2&3): Il Festival portavoce dei diritti umani

Il primo degli italiani alla Quinzaine ci racconta Gaza City

(da Cannes Luigi Noera – Le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival de Cannes)

Dopo il deludente inizio con il film di Asghar Farhadi riscopriamo la vera natura del Festival di Cannes che è da sempre portavoce dei diritti umani. Se il messaggio sia trasmesso attraverso storie private o pubbliche non ha importanza. Infatti nei primi due giorni sia nelle due selezioni del Concorso, sia Fuori Concorso, ma anche nelle sezioni indipendenti collaterali della Semaine de la Critique e Quinzaine tale nobile caratteristica viene fuori prepotentemente. Tra l’altro alla Quinzaine il giovane regista palermitano Stefano Savona ci racconta una storia intima dai territori occupati in Palestina del quale in appreso riferiamo.

Ma partiamo dalla selezione in Concorso dove un giovane regista A. B. SHAWKY alla sua prima esperienza con un toccante lungometraggio YOMEDDINE dai toni di road movie ci mostra le diversità ed il senso di solitudine che ne consegue. I due protagonisti sono un anziano lebbroso copto ed un ragazzino nubiano orfano tra i quali c’è un rapporto empatico che li accomuna. Da sempre hanno vissuto ai margini della società egiziana senza mai uscire dal recinto dove sono relegati dalla società civile che li vede come diversi e quindi non graditi. I due lasciano per la prima volta i confini del lebbrosario e intraprendono un viaggio attraverso l’Egitto per cercare ciò che resta delle loro famiglie, scoprendo una società civile diversa da quella che immaginavano. L’altro film del russo  KIRILL SEREBRENNIKOV ci mostra in bianco e nero con LETO (L’ÉTE) e con l’inquadratura 4:3 cosa avviene nella Russia degli anni ’80 prima della perestrojkacnell’ambiente punk pop di allora. I giovani qualsiasi dimensione politica li circondi esprimono gli stessi ideali. Da una storia intima di una band in cerca di successo, il manifesto politico a cui Gorbaciov si è dovuto arrendere poco prima della caduta del muro di Berlino. Infatti non è un film politico ma Leto ha comunque una dimensione politica perché il boom della scena musicale durante gli anni ’80 a Leningrado scatenò un vento di libertà. Sempre a i margini della seconda Guerra Mondiale e della spartizione dell’Europa tra i due blocchi il film ZIMNA WOJNA (COLD WAR) di PAWEL PAWLIKOWSKI ci mostra la Polonia comunista degli anni Cinquanta/Sessanta dove due giovani artisti (lui compositore e lei cantante) si amano fino in fondo tra le pieghe delle avversità della cortina di ferro. A prima vista la prima parte del film sembra senza sentimenti i quali sbocciano prepotentemente nella seconda parte. Riflettendo meglio ci sembra un escamotage del regista sul clima senza sentimento degli anni del nuovo potere comunista. Anche Fuori Concorso il film scritto a più mani 10 YEARS THAILAND dei giovani registi ADITYA ASSARAT, WISIT SASANATIENG, CHULAYARNON SRIPHOL,APICHATPONG WEERASETHAKUL applaudito in sala che con metafore in una collezione di cortometraggi immaginano la Thailandia tra dieci anni. La speranza che accomuna tutti è che in 10 anni, in Thailandia, si creino riflessioni che possano portare alla pace. Tutto questo in una Thailandia attualmente in mezzo a grandi cambiamenti e incertezze.

Di altro tono il film di mezzanotte ARCTIC diretto da JOE PENNA che in un paesaggio lunare al circolo polare artico mostra la natura umana e la sua umanità. Quando c’è da scegliere l’essere umano opta per l’empatia e l’aiuto verso l’altro. Il protagonista pilota d’aereo a seguito di un atterraggio di fortuna si ritrova nel nulla e quando sta per essere salvato dai soccorsi accade qualcosa di inaspettato. Tanta suspense, l’incontro con l’orso bianco e tanti altri dettagli tengono lo spettatore a riflettere sul senso della vita.

Come sempre l’altra sezione in concorso Un Certain Regard offre invece una varietà di linguaggi e generi cinematografici che però affrontano sempre temi sui diritti umani. Ne è la prova il film di apertura di SERGEI LOZNITSA che con DONBASS ritorna a descrivere quello che avviene sotto gli occhi degli europei del terzo millennio in una regione dell’Ucraina orientale appunto il Donbass. In realtà non è la storia di una regione, un paese o un sistema politico. Si tratta di una crisi dell’umanità e della civiltà in generale. Riguarda ognuno di noi. Nel Donbass, i valori fondanti sono sovvertiti: la guerra viene scambiata per pace, la propaganda viene assunta a verità e l’odio è scambiato per amore. E allora cosa resta della vita che non è altro che morte Lo spiega con immagini sconvolgenti il regista che tanto stimiamo. Il secondo film in concorso viene dal Kenia dell’esordiente WANURI KAHIU il quale con RAFIKI è stato pesantemente osteggiato in patria tanto è che non è potuto intervenire al Festival. La storia tra due ragazze che vivono a Nairobi nelle quali scatta un’attrazione omosessuale. Kena e Ziki sono due ragazze molto diverse tra loro. Kena vuole diventare infermiera mentre Ziki ama danzare e trascorre le sue giornate in compagnia dei suoi amici. Una denuncia di quanto ancora ci sia da lavorare nel continente africano sui temi della diversità raccontato con la leggerezza di una commedia dai toni sgargianti. Altro genere dallo svedese ALI ABBASI che con GRÄNS (BORDER) mostra una storia nordica tra il grottesco e il noir, ma anche di solitudine. Una donna lavora come guardia di confine ed ha un particolare talento a percepire i sentimenti delle persone scoprendo malfattori di vario genere. Un giorno però si trova di fronte ad una persona che non riesce a decifrare. Invece ANTOINE DESROSIÈRES presenta una commediola

À GENOUX LES GARS (SEXTAPE) sulla gioventù magrebina che non si discosta da quella occidentale con tratti ironici e una bella fotografia a colori accesi. Yasmina cerca di nascondere un filmato di cui è protagonista la sorella Rum. Se si diffondesse sarebbe la fine per loro.

Nelle sezioni indipendenti segnaliamo il primo degli italiani alla QUINZAINE STEFANO SAVONA che con SAMOUNI ROAD ci porta nella periferia rurale di Gaza City, dove la famiglia Samouni si prepara a celebrare un matrimonio. Amal, Fouad, i loro fratelli e i loro cugini hanno perso i loro genitori, le loro case e i loro ulivi. Il quartiere in cui vivono è in fase di ricostruzione. Cercano di ricostituire la loro vita ma soprattutto un compito ancora più difficile di ricostruire la propria memoria. Attraverso i loro ricordi, Samouni Road dipinge un ritratto di questa famiglia prima, durante e dopo l’evento che ha cambiato le loro vite per sempre. Invece alla Semaine de la Critique il primo lungometraggio del regista ungherese Zsófia Szilágyi che in una storia intima Egy Nap (One Day), esplora l’arco delle 24 ore della vita di una coppia nella quotidiana routine. La donna nell’inesorabilità della vita di ogni giorno, tra il lavoro, la casa ei suoi figli cerca di trovare una sorta di equilibrio quasi impossibile.

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