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L’Europa si accorge finalmente dell’ errore?

Una delle tre sedi del Parlamento europeo: non hanno badato a spese...

Era tempo che ciò avvenisse, ma sembra che l’UE, per quanta severità voglia ancora imporre all’Italia, si sia resa conto che il rigore da solo non giova a ridurre il debito, anzi, penalizza il Pil con un doppio effetto negativo. …E il debito aumenta.

L’avevano capito intuitivamente anche i bambini, ma forse i il discorso che stiamo per fare può risultare chiarificatore…

Continua a non capirlo Junker?

L’intransigenza sul rapporto debito-pil, accettando pro forma quella che è una mera invenzione teorica, cioè qualcosa che non s’era mai sentita prima dell’UE – può essere assecondata agendo su tutti e due i parametri: o diminuiamo il debito o aumentiamo il pil.

Ciò che l’Europa continua a chiedere a Italia, Spagna, Grecia, ma anche Germania e Francia, è di ripianare il debito agendo sulla leva del fisco e della spesa pubblica (opere, welfare etc): più fisco, meno spesa pubblica! Bravo l’asino!

E’ chiaro che tutto ciò penalizza il pil, la crescita e rende meno ricca la base di reddito sulla quale le imposte vengono calcolate. Quindi lo stato, già nel medio per non dire nel lungo incassa – anche – meno. Nel frattempo avrà penalizzato il tenore di vita dei suoi cittadini: è esattamente ciò che avviene. E’ elementare: i danni sono tre, meno investimenti, meno tenore di vita, meno introito per il fisco…

Solo adesso, arrendendosi alla osservazione del dato sul debito che, con la politica del rigore continua ad aumentare, anziché decrescere, sembra che anche l’Europa si stia convincendo che, per far calare il debito, sia più opportuno stimolare il Pil che non chiedere sacrifici alla comunità sociale…

E’ un debito – intendiamoci – che è stato contratto allo Stato e non dai privati. Ma “fa comodo” al”potere statale” assecondare l’errore socialista che identifica lo stato con la nazione (i cittadini). Da questo errore tecnico, materiale e morale, mettiamo spesso in guardia i nostri lettori…

Ma a dire tutto ciò, già attorno al 1910, era Maffeo Pantaleoni, padre degli economisti italiani (da noi spesso nominato) e maestro di Vilfredo Pareto che resta il solo economista italiano tuttora citato nel mondo.

“Imporre una politica di rigore in momenti di recessione è da idioti” è una delle massime più note di quel geniale economista, noto anche per essere stato fra i primi propugnatori dei diritti delle donne…

Ancora, però, l’UE litiga letteralmente con Tria, Conte, Salvini e Di Maio che vogliono che l’Italia faccia la parte del bimbo che grida al re nudo…

Ma ecco uno stralcio – finalmente chiaro – preso dal Sole 24Ore. Quindi un parere autorevole per antonomasia. Risale al “lontano” 2016 e reca la firma di Vito Lops…

Lo adattiamo appena al linguaggio del nostro giornale: solo minime limature…

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“…Analizzare un Paese unicamente in base al rapporto tra debito pubblico e Pil può essere tremendamente fuorviante e riduttivo. Questo parametro – per quanto oggi venga ancora considerato come un mantra anche dall’Unione europea per orientare le politiche fiscali ed eventuali ammonimenti nei confronti dei Paesi che hanno un indebitamento governativo elevato – andrebbe ponderato per altri parametri: come ad esempio il tasso di risparmio privato, il livello dei consumi e degli investimenti di un Paese. Senza dimenticare il debito privato e il debito estero. E senza dimenticare che il debito pubblico corrisponde a credito privato. 

Dunque è un luogo comune credere alla favola che in Italia, ad esempio, ciascun cittadino nasca con un debito di 35mila euro o che in Germania il debito in pancia ai nascituri sia superiore a 20mila euro cadauno.

Chi crede a questa favola dimentica che il debito, oltre ad essere il credito di qualcun altro (cittadini risparmiatori compresi) non va estinto, ma deve essere semplicemente reso sostenibile nel tempo.

Solo miscelando tutti questi ingredienti si può arrivare a quantificare il reale Stato di salute dell’economia di un Paese. In buone parole, limitarsi a giudicare la rischiosità o la credibilità di uno Stato solo in funzione dal rapporto debito/Pil non è corretto.

Come spiegare poi che in Europa vale ancora la regola di Maastricht secondo cui il debito/Pil non dovrebbe superare il 60%?

Come spiegarla ancora oggi quando il debito/Pil dell’area euro ha superato il 90%, per mettere una toppa alla bolla del debito privato scoppiata con la grande crisi finanziaria del 2008?

Il debito/Pil analizzato in modo isolato conta poco. Tanto più che i dati sconfessano uno dei tanti luoghi comuni che circolano sul debito pubblico: quello che i Paesi con un più alto debito pubblico pagherebbero interessi più alti per sostenerlo. In uno studio Chen Zhao, co-Director della Ricerca Macro Globale di Brandywine (Gruppo Legg Mason), dimostra che così non è, anzi è esattamente l’opposto: “…Una corrente di economisti è solita considerare il livello del debito di un Paese come una delle principali cause di tensione del proprio sistema finanziario”.

Nella realtà, non vi è evidenza di una relazione diretta tra debito e tassi di interesse ed anzi, la correlazione tra le due variabili è negativa dal momento che i Paesi che presentano un debito meno elevato sono in realtà quelli con un livello dei tassi di interesse più elevato e viceversa”.

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“Questa” Unione Europea, come diciamo sin dalla vigilia, è stata tutta un errore. Ci si è decisi ad impegnarsi in una totale ristrutturazione della politica economico finanziaria, inventando un mostro come l’Euro, senza accorgersi che – come è avvenuto – potesse non funzionare. Perché non ci sono dubbi che andrebbe dismesso, ma è pur vero che allo stato attuale, ciò sia drammaticamente difficile…
Mantenerlo è follia: è andato a guastare un sistema basato sulle politiche monetarie delle banche centrali di “veri stati“, supportate da contatti internazionali. Era un sistema “che funzionava” e che era stato la colonna portante finanziaria della grande crescita economica che durava dagli anni ’60 o,meglio,da tutto il dopoguerra.

Ma il motivo che ci faceva “inorridire” allora era che questa ristrutturazione, costosa e rischiosa, avveniva in un momento in cui gli stati europei erano in recessione economica. Perché si ha un bel dire della crisi della bolla del 2008… Ma la crisi era evidente e sentita già da 1990. Nei primi anni di quel decennio si usava dire: “però finirà presto”, memori di anni di crescita eccezionale.

Ma quella crescita era stata bloccata da ostacoli frapposti dall’esterno, da potenze estere (Urss), da politiche affrettate e premature, da volere – da parte dei governi – affrettare i tempi con il welfare, ritenendo anche che il denaro pubblico potesse essere all’infinito oggetto di malversazione.

La maldestra azione dimani pulite” fece altro danno, cioè più male che bene, colpendo spesso chi comunque aveva prodotto e produceva, scoraggiando gli investimenti, facendo del fisco e dei controlli i protagonisti del mercato al posto della spinta produttiva…

Un’Europa basata sulla mera moneta comune, senza una comune politica, ma soprattutto senza condivisi interessi comuni non può mi funzionare: gli stati sono in lotta fra loro non per mera mentalità, bensì perché per la sussistenza di rivalità economiche. Ed è il peggio: l’UE, si dice, ci ha liberato dalla guerra. Ma oggi le guerre in tutto il mondo civile sono soltanto economiche. La rivalità è dovuta paradossalmente alle affinità: producono le stesse cose, hanno similari industrie manifatturiere e si contendono il primato e i mercati. Ricordano il Re di Spagna e il Re di Germania che andavano d’accordo solo su un punto: ambedue volevano la Francia.

Germano Scargiali

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Nota. L’errore di agire solo sul debito, chiedendone un saldo comunque lontanissimo nel tempo e nella logica delle cose, senza agire o agendo meno sul Pil, nasce sempre dalla visione statica della ricchezza disponibile della logica social comunista. Tale logica ritiene che la ricchezza solo una “cosa” da dividere in parti. La ricchezza sarebbe in un cassetto o su un tavolo: Non una realtà -come è – estremamente dinamica e dipendente dalle idee e dalle regole applicate nella produzione e nella logica del mercato.

Per quanto incredibile e paradossale, anni di demagogia che vede tutta la realtà economica basata sulla volontà “cattiva” di negare ad un parte della comunità dosi della ricchezza disponibile fa ancora sì che uno stato come l’Italia venga visto non per la validità del sistema produttivo, ma per la capacità di ripianare un debito che – in realtà – è una costruzione cartacea e praticamente “ideale”. Un debito dello Stato e non dei cittadini che lo stato potrebbe riconvertire monetariamente o ripianare con mosse politiche. Perché tacciono (non tutti) gli economisti? Quelli veri, intendiamo…

L’Italia produce di tutto e di più. La sola cosa che conti è che qualcuno adeguatamente consumi. Le contraddizioni fioccano: Da qui a mettere in dubbio il welfare dei vecchietti ne corre…

 

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