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Stiglitz, economista da Nobel: il Covid 19? E chi ti dice che sia una disgrazia?

Joseph Stiglitz, Nobel Prize winner American economist and a professor at Columbia University Joseph E. Stiglitz during his presentation entitled "Can Illiberal Democracies Create Shared and Sustained Prosperity?" at the Danube Palace in Budapest, Hungary, Monday, Nov. 10, 2014. (AP Photo/MTI, Attila Kovacs).

I premi Nobel per l’economia non sono mai stati ‘teneri’ con l’Unione Europea, con la politica monetaria dell’Euro, con il patto di stabilità. Ricordate Klugman? …L’UE e l’Euro sono una follia. E’ quel che noi diciamo: Questa Europa ha rotto i due più ‘bei giocattoli’ che avevano accompagnato la Rivoluzione industriale e l’affrancarsi del mondo evoluto dalla fame sette ottocentesca ben dipinta da V. Hugo,  Charles Dickens, Manzoni: ha abolito la sovranità monetaria degli stati dell’Unione – vere nazioni (e non come l’Unione stessa) sia economicamente, sia moralmente – e ha imposto di sanare il debito pubblico di ciascuno stato – presente da sempre, instaurando ‘il rigore’, cioè l’opposto di ciò che si sarebbe dovuto fare per rilanciare le economie nazionali, già sofferenti al momento del trattato di Lisbona e degli altri istitutivi dell’UE. Come fanno i singoli stati a sanare il debito senza ‘crescere’ e senza colpire il tenore di vita del rispettivo popolo? 

Ci voleva Joseph Stiglitz, economista americano con incarichi operativi nel settore, premio Nobel nel 2001, per ‘gettare un sasso in piccionaia‘ proprio in giorni di Coronavirus.

Vuoi vedere che l’UE si dà ‘una svegliata’ e – come lui consiglia – rivede radicalmente nel suo rigore antieconomico il Patto di stabilità? Ogni male – del resto- non vien per nuocere, come afferma un adagio vecchio quanto il cucco!

L’Europa viveva decenni d’oro, tanto da pensare ad unirsi per fare di tante nazioni la Grande Nazione Europea, pur decidendosi in un momento di ‘calo’ dell’economia…

Tutto ciò avveniva prima del decisivo avvento dei ‘ragionieri’. Dei loro calcoli astrusi, delle piccole furbizie. Quelle secondo le quali si affermava di voler guardare ai veri fondamentali di ciascun Paese – l’Alert mechanism – per poi dimenticare il tutto e concentrarsi solo sulla regola del debito o del rapporto deficit – Pil.

Come se la soluzione potesse essere racchiusa, come ancor oggi taluni sostengono, solo in un rapporto numerico, in grado di escludere ogni altro riferimento di politica economica. Una vera barbarie, se vista con gli occhi di un retroterra culturale, quale quello continentale, che è unico al mondo. Forzatura che contribuisce a spiegare le reazioni che si sono, poi, avute in quasi tutti i Paesi. Il forte calo del tenore di vita, la sotto occupazione, la crisi del welfare. Ciò, assieme alla stanchezza per le logiche ideologico marxiste, sta contribuendo ai progetti di un sovranismo vincente che, alla fine, stanno convincendo, o meglio costringendo, forse, gli ortodossi ad aprire gli occhi, prima di perdere completamente la partita.

Il vecchio Patto di stabilità, nel nuovo format del Fiscal Compact, non ha fatto altro che accentuare tutte le relative contraddizioni. Riducendo quello spirito di solidarietà – lo si è visto in modo clamoroso nella gestione dei flussi immigratori – che, negli anni d’oro della costruzione europea, aveva permesso ad una grande moltitudine di individuare e progettare i valori fondanti la nuova realtà. Nello spirito di Parigi, come patria di quell’illuminismo che – nel male e nel bene – aveva segnato gran parte della storia universale: aveva certamente schiarito le idee, anche quelle di segno opposto alla ‘faciloneria’ della Revolution.

Ciò s’era visto nelle libertà di Londra‘, come monito agli eccessi di statalismo. Nella stessa Germania, dopo le grandi ferite delle due guerre mondiali. Ciò progettando una loro definitiva archiviazione. Mentre Roma rimaneva quella città eterna da visitare, almeno una volta nella vita.

Tempo fa avevamo interpretato nel nostro piccolo Palermoparla un nuovo sentimento europeo finalmente indirizzato ad una revisione degli errori commessi: dopo anni di mugugni spesso sfociati nel risentimento, ci era sembrato da alcune cronache politiche che la Commissione europea aprisse all’ipotesi di una revisione del Patto di stabilità e crescita.

Ma questa è “l’ultimora” più saliente in materia di scienza economica…  Adesso Joseph Stiglitz afferma che Covid-19 ci consegnerà una crisi economica peggiore del 2008: almeno allora sapevamo cosa fare…”. Ma ragiona, poi, in modo sorprendentemente ottimistico.  Aggiunge, mentre in Italia esce il suo ultimo libro “People, power and profits – Progressive Capitalism for an Age of Discontent”, che il coronavirus è un’emergenza che potrebbe anche darci delle lezioni positive, ammesso che le sappiamo imparare, come l’importanza delle “connessioni” tra Stati nell’epoca della globalizzazione, della “azione collettiva” e della ‘scienza’. Soprattutto, da strano uomo di sinistra, argomenta: …è un’emergenza che non fa bene all’estrema destra, “che ha una filosofia di base non adatta a rispondere ad una sfida come questa”. 

Infine Stiglitz  – strano uomo …di sinistra – esprime una speranza  sospetta: … ciò potrebbe anche fermare Donald Trump, alle prossime presidenziali Usa. Stiglitz – però – si rivela, a questo punto, decisamente di parte: Donald Trump è il paladino del valore aggiunto, cioè dell’economia reale. I suoi avversari sostengono ‘il fango di Washington’ (Secondo Trump, cioè indubbiamente i …paladini degli interessi usurari. Sono i ‘principi dell’alta finanza‘, finanzieri, grandi oligarchie bancarie e monopolisti della globalizzazione. Su questo punto Stiglitz è coerente: quando parla della globalizzazione lo fa …solo in positivo. I singoli stati dovrebbero soltanto adeguarsi… Ma – diciamo noi – ci vuol poco, così, a facilitare quel processo di mondializzazione che costituisce il vero ‘spauracchio‘ degli anni a venire!

Più che mai, nel mondo in cui viviamo, sembra che tutto sia vero, ma contenga sempre un po’ del …contrario di tutto.

Germano Scargiali

Nota

L’abbiamo indicato come ‘uno strano uomo di sinistra‘. Lo è, probabilmente, all’americana. Laddove i socialisti si auto definiscono da sempre come ‘I Democratici‘, ma soprattutto ‘I Liberals‘. Stiglitz ci sembra, appunto, in contraddizione con quanto afferma in politica, …un economista più liberale dei liberali. Ma, temiamo: fino al punto che …il troppo stroppia. Come può mai definire, infatti, Donald Trump come un illiberale? Non è rafforzando il muro (già costruito da Obama) con il Messico che si diventa illiberali. Né tendendo la pacificatrice mano della trattativa a Russia, Cina e Korea del Nord.

Ma economicamente Stiglitz – liberale come tutti i Nobel dell’economia – non sottovaluta certo l’Italia. La vede come una potenza con diritto di parola tra le grandi. E disserta sui problemi …interni della Penisola più importante del Mediterraneo

Ecco come.

 ‘No, non puoi non costruire gli ospedali perché sfori sul bilancio’. Questa è una questione di vita o di morte per molti italiani. Non puoi mettere a rischio gli italiani solo per difendere delle regole che, tra l’altro, non hanno mai avuto giustificazioni economiche. Sono arbitrarie. Che qualcuno debba addirittura morire per rispettare questi numeri mi sembra davvero il colmo”.

Che le sue parole vadano in cielo. O, per lo meno, fino a Bruxelles.  (G.S.)

Nota 2

A parte il fallimento economico fatto registrare fino ad oggi, l’Europa vive in un assurdo socio culturale. Non ha realizzato una unità simile a quella di ‘uno stato‘. Impone una moneta unica governata da un regime mai collaudato prima. Esso non funziona ‘anche’ perché le economie degli stati componenti non trovano alcuna armonia. Rimangono ben concrete le rivalità dovute a contrastanti interessi assolutamente scoordinati. In politica estera l’UE non esiste: i singoli stati si presentano ancora individualmente nelle trattative con il resto del mondo. L’Europa non coltiva una vera cultura comune e potrebbe farlo solo …leggendo i libri di storia, i testi di letteratura e di arte. Visitando i monumenti e riunendo l’arte figurativa in un immaginario museo comune. Non fa nulla di tutto questo. Non organizza neppure un vero intervento coordinato per una presenza tesa allo sviluppo dell’Africa. In quegli sconfinati territori in cui l’America fa guerra dal secolo scorso perché non vi …mettesse le mani. Inclusa la prepotenza con cui essa tiene l’Africa in profondo sottosviluppo, contentandosi di cederla persino alla Cina. Ciò prova, se ce ne fosse, bisogno, anche il pieno fallimento della politica occidentale che era ‘partita bene’ col piano Marshall, la cui riuscita andò oltre i propositi degli Usa (che se ne rammaricarono). Altri fragorosi fallimenti, quelli della Nato e dell’Onu. Non meno di quello del comunismo in Urss. (G. Scargiali)

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