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Covid-19 Tutti i segreti illustrati dall’esperto Dott. Pasquale Quartararo

È caccia alle mascherine in Cina e non solo. Il Coronavirus ha scatenato i timori per il contagio e da giorni è iniziata la corsa per comprarne una. Ma non sempre questa precauzione risulta efficace o è necessaria: l'Organizzazione mondiale della sanità infatti, nelle sue linee guida sull'uso delle mascherine, ne consiglia l'uso solo a chi presenta sintomi di malattie respiratorie o sta assistendo una persona che li ha

COVID-19: come affrontarla? Quali prospettive? Intervista all’infettivologo palermitano Dott.Pasquale Quartararo.

Raccolta e commentata dal Dott. Guido Francesco Guida, dirigente medico cardiologo all’Ospedale Guadagna.

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Tutta l’Italia è oggi nella morsa e nel timore dell’infezione da nuovo coronavirus. Un’epidemia mai così intensamente vissuta per lo meno a memoria degli ultimi 50 anni. Una nuova infezione, altamente contagiosa e dagli esiti imprevedibili soprattutto nelle classi di età avanzate di cui la nostra nazione per fortuna è ricca. E verso cui non esiste un vaccino. Una epidemia vissuta con pathos e discreta consapevolezza soprattutto a causa dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione, social in primis, che adesso seguono collettività e singolo 24 ore su 24. Presa coscienza, dopo diversi tentennamenti, del problema sono state adottate delle misure.

Talora sottovalutate e considerate con insofferenza anche perché la nuova condizione limita la libertà individuale e collettiva, principali conquiste dell’uomo moderno. Tra i tanti problemi che si affacciano al nuovo orizzonte preoccupa il fatto che, mentre in qualche modo l’epidemia accenna ad una stabilizzazione in alcune regioni del nord che, per tradizione, hanno strutture ed organizzazione sanitaria all’avanguardia, i casi crescono in modo esponenziale al sud Italia.

L'infettivologo palermitano Pasquale Quartararo

L’infettivologo palermitano Pasquale Quartararo protagonista dell’intervista da noi pubblicata in 2 puntate.

Abbiamo così intervistato sul tema, attraverso alcune domande inviate via email l’otto marzo scorso,  il dott. Pasquale Quartararo dirigente medico della UOC di Malattie infettive del Policlinico Universitario di Palermo che, con la sua più che trentennale competenza nel campo delle malattie infettive, ha vissuto ed acquisito esperienze uniche e talune, per fortuna, irripetibili che lo hanno reso un professionista appassionato e competente nel settore.

Ricordiamo, tra le sue tante esperienze professionali, malattie come la TBC, le epatiti e l’infezione da HIV in una struttura sanitaria ormai non più attiva come l’ospedale “Guadagna”, comunemente nota a Palermo come il “Lazzaretto” di manzoniana memoria – volgarmente Spasimo – ma che, se ben promossa negli anni ’80 del secolo scorso, alla comparsa dell’infezione da HIV/AIDS, sarebbe potuta divenire lo “Spallanzani della Sicilia”.

Sappiamo che la comunicazione su Internet, ed ancor più sui social, impone, per essere seguita, concetti brevi rapidamente acquisibili, ma poiché il tema è molto attuale ed interessante e riteniamo debba essere affrontato nel modo più esaustivo possibile abbiamo deciso di dividere l’intervista in due parti che daremo in due giorni consecutivi.

Dott. Quartararo, sappiamo che lei tiene a puntualizzare che risponde in qualità di libero professionista competente sul tema e per questo le chiediamo un contributo di conoscenza per i cittadini e i lettori del nostro giornale, assillati dal momento particolare e spesso resi insicuri dalle tante fake news…

Che tipo di virus è il SARS-CoV2, comunemente detto coronavirus, quali le sue caratteristiche e la sua aggressività?

I coronavirus, chiamati così per la presenza sulla loro superficie di strutture proteiche a forma di punta che conferiscono il caratteristico aspetto a forma di corona, sono comuni in molte specie animali (come i cammelli e i pipistrelli) dove causano malattie respiratorie, gastrointestinali, epatiche e neurologiche. In alcuni casi, se pur raramente, possono modificarsi e fare quello che è definito il salto di specie, cioè acquisire la capacità di infettare l’uomo per poi adattarsi alla trasmissione interumana e diffondersi nella popolazione.

Ma che cosa sono esattamente i coronavirus?

Dei 7 coronavirus umani conosciuti finora e comuni in tutto il mondo, alcuni sono la causa del “raffreddore comune”, quelli più recenti isolati nel nuovo millennio sono il MERS-CoV causa della Middle East Respiratory Syndrome e quello più noto, il SARS-CoV, causa della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) nel 2003.

Il nuovo coronavirus SARS-CoV-2, isolato e sequenziato a metà gennaio di quest’anno a Wuhan, in Cina, è un virus nuovo imparentato con l’agente responsabile della SARS, infatti condivide con questo il 79,5% della sua sequenza genica e per il 96,2% quella di un coronavirus dei pipistrelli. Ha come caratteristica principale quella di condividere con il coronavirus della SARS lo stesso recettore ACE-2, l’enzima 2 di conversione dell’angiotensina, per l’ingresso nelle cellule.

Una volta legati alle cellule ospiti, penetrano al loro interno e ne modificano il loro comportamento. Questo processo fa sì che si attivi una risposta immunitaria e, soprattutto, infiammatoria da parte dell’organismo infettato, che cerca di sbarazzarsi del virus.

Quale differenza con il virus della ‘normale’ influenza?

La differenza con il virus dell’influenza è che quest’ultimo può colpire una popolazione che già ha memoria immunologica (o per episodi di malattia precedente o per la vaccinazione annuale) e generalmente si replica nelle cellule della parte più alta dell’albero respiratorio dando al massimo una broncopolmonite (rari sono i casi di polmonite da virus influenzale).

E il Covid 19?

Il SARS-CoV2 invece è un virus nuovo, cioè trova una popolazione completamente priva di protezione anticorpale. Non abbiamo vaccini, non abbiamo farmaci, e questo virus, purtroppo, ha la caratteristica in alcuni casi di arrivare fino alle ultime propaggini dell’albero respiratorio, cioè agli alveoli, dove scatena una eccessiva risposta infiammatoria che è la causa dello sconvolgimento dell’architettura di quell’area delicatissima del polmone dove avvengono gli scambi gassosi determinando quindi in questi soggetti una insufficienza respiratoria severa causa del ricorso alla ventilazione assistita.

Come si propaga e quanto può vivere all’esterno di un organismo?

Gran parte delle nozioni sulle modalità di trasmissione del SARS-CoV-2 sono mediate dalle conoscenze sugli altri coronavirus patogeni per gli esseri umani e dai dati finora disponibili sull’epidemia in Cina, sui focolai e i casi sporadici segnalati nel resto del mondo.

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Premesso che il virus non ha le gambe e siamo noi le sue gambe, le modalità di trasmissione interumana di questo virus sono:

  • per via aerea, attraverso la saliva e l’aerosol delle secrezioni delle vie aeree superiori veicolati da tosse e/o starnuti;
  • per contatto diretto ravvicinato, con la stretta di mano e toccando con le mani contaminate le mucose di bocca, naso e occhi;
  • per via oro-fecale.

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Si chiama flashmob Le regole sono semplicemente tre: spegnere tutte le luci in casa, affacciarsi alla finestra con una fonte luminosa e alla fine far partire un lungo e caldo applauso collettivo. Secondo gli organizzatori l’iniziativa è “Un piccolo grande gesto per far vedere al mondo tramite satellite che l’Italia è viva, che quello italiano è un popolo compatto e forte di fronte a ogni avversità. Solo uniti infatti si può sconfiggere anche il Coronavirus”.

Si chiama flashmob Le regole sono soltanto 3: spegnere tutte le luci in casa, affacciarsi alla finestra con una fonte luminosa e alla fine far partire un lungo e caldo applauso collettivo. Secondo gli organizzatori l’iniziativa è “Un piccolo grande gesto per far vedere al mondo tramite satellite che l’Italia è viva, che quello italiano è un popolo compatto e forte di fronte a ogni avversità. Solo uniti infatti si può sconfiggere anche il Coronavirus”.

Dunque quali precauzioni ‘serie’ dobbiamo adottare?

Per quanto esposto è così importante restare a casa il più possibile e uscire solo per le necessità, evitando comunque i contatti con altre persone.

Stando vicini a una persona infetta, respirando queste goccioline, il rischio di contrarre a propria volta l’infezione è maggiore ed è proporzionale alla gravità dei sintomi respiratori mostrati dalla persona ammalata o infetta. Deve essere ricordato che la “stretta prossimità” fra contatti è da intendersi indicativamente come una distanza entro i 2 metri.

Quanto è probabile il contaggio toccando qualcosa di infetto?

Più raro ma possibile è il contagio per aver toccato qualcosa di infetto. L’analisi di 22 studi mostra la persistenza dei coronavirus su superfici non porose come acciaio inossidabile, vetro o plastica per un massimo di 9 giorni. Uno studio preliminare su Sars-Cov-2 invece indica una persistenza di 2-3 giorni. Comunque bisogna anche dire che i coronavirus sono molto facili da inattivare, basta la candeggina diluita, l’alcool e i gel disinfettanti a base di alcool.

Il buonsenso? L’igiene?

Alla luce di tutto ciò, il buonsenso vuole che anche in questa emergenza l’attenzione all’igiene delle superfici sia superiore, specialmente negli spazi di condivisione e quelli dove la probabilità di venire a contatto con il virus è più alta come ospedali, mezzi pubblici, uffici, ascensori, bagni pubblici. Per questo vige la raccomandazione di evitare di toccarsi la faccia (bocca, naso, occhi) e di lavarsi spesso le mani con il sapone e/o disinfettanti a base di alcool o candeggina per almeno 20-40 secondi.

A quali agenti fisico-chimici (disinfettanti, ndr) il Covid-19 è sensibile?

L’inattivazione del virus è ottenuta nell’arco di pochi minuti con l’uso di etanolo (62-71%), perossido di idrogeno (0,5%) o ipoclorito di sodio (0,1%). Risultano meno efficaci il benzalconio cloruro (0,05-0,2%) e la clorexidina (0,02%).

Per quanto tempo sopravvive questo virus al di fuori del corpo umano?

E’ utile ricordare che la persistenza del virus sulle superfici, anche se va ovviamente evitata con pulizia e disinfezione accurate, è condizione necessaria ma non sufficiente per il contagio, infatti questo è correlato alla carica infettante e alle condizioni ambientali in cui il virus rimane più o meno vitale (per esempio secrezioni umide dove la vitalità è maggiore rispetto alle superfici inerti senza presenza di sostanze organiche e altre contaminazioni). Comunque la misura di contenimento più efficace nei riguardi della diffusione del virus resta il lavaggio delle mani.

Oltre ai gesti ben precisi e alla durata minima di un lavaggio raccomandati dagli esperti dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, ciò che fa davvero la differenza nel riuscire a contenere l’epidemia SARS-CoV2 è il sapone semplice. Infatti, questo prodotto, così diffuso, pratico ed economico, risulta essere particolarmente efficace nell’annientare il virus. Qualora non fosse disponibile, allora si consiglia di ricorrere ai gel disinfettanti che abbiano almeno il 60% di alcol. Infatti, sebbene quest’ultimo possa sembrarci più moderno e, di conseguenza, anche più efficace, rimane il sapone la migliore arma che abbiamo per rendere innocuo il coronavirus in quanto non solo lo elimina dalle mani, ma lo annienta, rendendolo innocuo.

Quali tessuti ed apparati predilige?

Il polmone è sicuramente l’organo più frequentemente coinvolto e la polmonite sembra essere la manifestazione più frequente. E’ sicuramente il danno diretto del virus sulle cellule mucipare e ciliate e, soprattutto, la conseguente risposta infiammatoria con incremento della permeabilità della parete dei vasi sanguigni e di quella alveolare che causa un quadro di edema polmonare che porta a morte il paziente.

Oltre alla polmonite, si verificano altre complicazioni?

Ancora non è chiaro perché alcuni pazienti presentano complicanze extra-polmonari, una delle ipotesi potrebbe farle correlare a condizioni preesistenti quali cardiopatie o diabete. Una volta che il virus entra nel flusso sanguigno, può arrivare a qualsiasi organo ed apparato.

Il fegato è uno di questi, infatti in tutti i casi più gravi è stato descritto un danno epatico importante con evoluzione anche verso l’insufficienza epatica che può essere ascritto sia all’azione diretta del virus e sia alla esagerata risposta infiammatoria dell’organismo.

E i reni?

Diversi studi hanno dimostrato che il grave danno renale possa essere causato da una diversa serie di cause, compresi ipotensione e shock, sepsi, trattamenti farmacologici o disturbi metabolici. Nei casi più gravi è la tempesta citochinica la causa di grave insufficienza renale. (Ricordiamo che le citochine sono sostanze proteiche di piccole dimensioni che si legano a specifici recettori o serrature presenti sulle cellule  e comunicano alla cellula un’istruzione specifica n.d.r.). Altre cause sono correlate all’uso di antibiotici, alla MOF, oppure a ventilazione meccanica prolungata.

Complicanze nervose?

Sì, anche il Sistema nervoso può essere interessato dal SARS-CoV2. infatti è stato descritto un caso, già positivo al tampone, con obnubilamento del sensorio associato ad altri sintomi tipici delle encefaliti virali e presenza del coronavirus nel liquido cerebrospinale.

Il virus può anche colpire il cuore?

La casistica cinese ha evidenziato che chi soffre di patologie cardiovascolari rientra tra le categorie più vulnerabili, magari perché iperteso, ed è maggiormente esposto a complicazioni gravi legate all’infezione da coronavirus.

Quali fra le carie cardiopatie sono le più esposte?

Nella casistica italiana la comorbidità più rappresentata è l’ipertensione (74,6%), seguita dalla cardiopatia ischemica (70,4%). E’ certo che la carenza di ossigeno legata alla scarsa attività degli alveoli polmonari “intaccati” dalla polmonite pesa parecchio. Ma la sensazione dei ricercatori è che possa esistere un “filo rosso” che in qualche modo “allarga” il tropismo del virus per le vie respiratorie anche al cuore.

Si parla di Enzima Ace

E’, appunto, l’enzima ACE2 che è finito sotto i riflettori. Infatti (siamo ancora nel campo delle ipotesi), un possibile legame che contribuisce a spiegare come mai nei cardiopatici il rischio legato al Sars-CoV-2019 sarebbe maggiore è dato dall’enzima ACE2 (enzima di conversione dell’angiotensina 2) che potrebbe giocare un ruolo sia nell’apparato cardiovascolare, entrando in gioco sia nella genesi dell’ipertensione che del diabete, che nel sistema immunitario.

Comeagisce ACE2?

ACE2 agirebbe infatti come recettore funzionale proprio per i coronavirus, per cui il SARS-CoV2 legherebbe la sua proteina “Spike”  proprio al recettore ACE2. Il gene ACE2 è associato alla formazione di un’angiotensina che determina vasodilatazione e contribuisce all’abbassamento della pressione arteriosa, svolgendo, in condizioni normali, un ruolo protettivo sul funzionamento del cuore. Tuttavia ACE2 potrebbe facilitare la diffusione di SARS-CoV-2 negli organi bersaglio, visto che è particolarmente presente nei polmoni all’interno degli alveoli.

Dunque,un’azione combinata cuore-polmoni…

Forse, anche (ma non solo) per questa “combinazione” di effetti su cuore e polmoni, i sintomi respiratori gravi, come tosse incessante e difficoltà di respiro, sarebbero più severi nei pazienti con malattie cardiovascolari, i quali peraltro potrebbero anche avere una maggiore secrezione di ACE2 rispetto alle persone precedentemente sane.

Altro sulle cardiopatie?

Lo stesso meccanismo, seppur non da solo, potrebbe anche entrare in gioco nel determinare la miocardite. Il meccanismo della lesione miocardica acuta causata dall’infezione SARS-CoV-2 potrebbe essere correlato all’ACE2. L’ACE2 è ampiamente espresso non solo nei polmoni, ma anche nel sistema cardiovascolare e, pertanto, le vie di segnalazione correlate all’ACE2 potrebbero avere un ruolo nelle lesioni cardiache. Altri meccanismi proposti di danno miocardico includono l’intensa reazione infiammatoria che si realizza in seguito all’infezione ed in risposta alla replicazione virale e alla disfunzione respiratoria con conseguente ipossiemia (carenza di ossigeno) causate dal virus.

Infezioni con questo tipo di virus sono comuni nel percorso di vita di un italiano e di un siciliano in particolare?

Certamente. I coronavirus li conosciamo da tanto tempo, perché esattamente come ha fatto questo nuovo coronavirus, altri suoi “cugini” hanno compiuto il cosiddetto “salto di specie” verso la specie umana tanti anni fa. Uno per esempio ha sconfinato nella nostra specie intorno al XVI secolo, un altro nell’800, un altro ancora più recentemente. Che fine hanno fatto questi coronavirus? Sono diventati più buoni, non più agenti patogeni pericolosi come quello attuale. Infatti questi “vecchi” coronavirus possono causare diverse malattie nell’uomo, principalmente infezioni del tratto respiratorio superiore e del tratto gastrointestinale.

Esistono portatori sani asintomatici?

Un articolo pubblicato su The Lancet ha messo in evidenza che sembra possibile l’esistenza di pazienti asintomatici, che stanno bene, non hanno febbre, ma possono diffondere il coronavirus. E secondo l’OMS questi sono la causa più frequente di diffusione del virus. E che il virus replichi bene anche in chi non ha sintomi, lo dimostra uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine. In particolare, lo studio descrive l’infezione in 18 individui, di cui uno senza sintomi. La cosa interessante è che, per la prima volta, sono riportati in modo puntuale alcuni aspetti riguardanti il virus. Per ogni paziente, infatti, è stata rilevata la carica virale presente nella mucosa del naso e della gola, in vari giorni successivi alla prima comparsa dei sintomi.

Che cosa si desume?

Ebbene, l’analisi di questi dati ha dimostrato che la quantità di virus raggiunge il picco subito dopo la comparsa dei primi sintomi, con livelli più alti nella mucosa del naso rispetto alla gola. I pazienti stanno ancora relativamente bene, ma hanno già livelli elevati di virus nelle prime vie respiratorie. Questo dato è drammaticamente diverso rispetto a quanto si osservava con la SARS, in cui il picco virale era raggiunto 10 giorni dopo la comparsa dei sintomi, quando il paziente stava già molto male o, nei casi più gravi, addirittura in rianimazione. E di conseguenza non poteva trasmettere l’infezione, se non a chi lo stava curando. Altro aspetto che emerge è che anche nel soggetto senza sintomi si raggiungono livelli di virus nelle mucose del naso e della gola paragonabili ai pazienti sintomatici. Anche lui, quindi, aveva tutto per trasmettere l’infezione.

Che cosa concludiamo da questo studio?

Una carica elevata di virus significa che una maggiore quantità di virus può, attraverso il muco o la saliva, raggiungere un individuo sano. Ovvero che vi è una più alta la possibilità di infettarlo. Questa probabilità è resa ancora maggiore dal fatto che livelli così alti sono raggiunti quando il soggetto infettato sta ancora relativamente bene (o addirittura non ha sintomi), ed è quindi ancora in contatto con gli altri, con il resto della società.

Chi ha avuto la malattia COVID-19, la supera e viene dimesso può continuare ad infettare nel senso che rimane un portatore sano? E se si, per quanti giorni?

Secondo lo studio pubblicato da Lancet un contagiato sarebbe in grado di trasmettere il coronavirus dagli 8 ai 37 giorni, con una media di circa 20 giorni.

Ora dobbiamo porci una domanda: cosa vuol dire essere “guariti” dalla Covid-19?

Secondo il Consiglio Superiore di Sanità, organo di consulenza tecnica e scientifica del ministero della Salute, dobbiamo distinguere tra paziente “clinicamente guarito” e “paziente guarito”.

Che cosa significa clinicamente guarito?

Un malato che ha avuto la Covid-19 si definisce “clinicamente guarito” se, dopo aver manifestato i sintomi associati all’infezione da Sars-CoV-2, diventa asintomatico. In pratica si parla di chi smette di avere sintomi dopo averli manifestati in maniera più o meno grave. Pur essendo clinicamente guarito, dunque asintomatico, il paziente può però ancora avere un test positivo al Sars-CoV-2. Diverso è il caso del “paziente guarito”, che non lo è solo dal punto di vista clinico, ma anche virologico. In questo caso, infatti, la persona, oltre a non avere più i sintomi della Covid-19, deve essere risultata negativa a due test per il coronavirus Sars-CoV-2, svolti consecutivamente, a distanza di 24 ore uno dall’altro.

Ma quando il virus scompare del tutto?

Quando il paziente è guarito. Allora di fatto il Sars-CoV-2 non è più rilevabile. In questo caso si parla di clearance, ovvero dell’eliminazione del virus. Questo vale sia in persone risultate positive e che hanno avuto la malattia sia in persone positive ma senza sintomi. Chi è risultato positivo, anche se asintomatico (dunque non malato), deve ripetere il test, secondo le raccomandazioni delle autorità, dopo 14 giorni (che è anche la durata della quarantena) dal primo test, per verificare che sia diventato negativo.

E’ sufficiente la quarantena da quattordici giorni?

Non è un caso che 14 giorni sia la finestra temporale che copre tutto (e oltre) il periodo di incubazione. La negatività confermata e ripetuta indica che non si è più contagiosi, e quindi non si rimane portatori sani. L’eliminazione del virus solitamente si accompagna alla comparsa di anticorpi specifici di tipo IgG per il SARS-CoV-2 prodotti dall’organismo. Questo è un passo importante perché si sviluppa un’immunità al patogeno.  Tali anticorpi hanno un carattere protettivo, ovvero sono in grado di difendere l’organismo da eventuali reinfezioni con lo stesso virus.

Le comuni terapie per le sindromi influenzali (antipiretici, decongestionanti, espettoranti, sedativi tosse etc…) possono modificare il decorso della malattia?

No, assolutamente no. Il trattamento sintomatico e di supporto dell’infezione da SARS-CoV-2 è mirato al controllo della febbre, alla reidratazione e al supporto della funzionalità respiratoria, come per altre polmoniti virali, con l’utilizzo di antibiotici solo in caso di sovrainfezione batterica.

Utili gli antipiretici?

Si discute sull’immediata autoprescrizione di antipiretici ai primi sintomi di febbre e malessere, in quanto potrebbe mascherare le prime manifestazioni dell’infezione da SARS-CoV-2 e ritardare la diagnosi differenziale.

C’è chi parla di efficacia nel prevenire la malattia di vit. C, omega-3 e bere molta acqua e cipolle? Lei cosa ne pensa?

Sono delle bufale che si trovano in giro sul web come catene di sant’Antonio. Vitamina C, bevande calde, gargarismi… sono tutte cose che al Coronavirus fanno il solletico. Una delle notizie che più ha viaggiato in rete è quella sulla vitamina C, con relativo invito a bere spremute d’arancia. “Nessuna evidenza scientifica”.

Altre bufale?

Una molto condivisa in rete è quella che invita a bere brodi. La notizia sarebbe accompagnata da una sorta di spiegazione scientifica: perché le alte temperature ucciderebbero il virus. Non serve assolutamente. Quella assolutamente inutile sia sotto il profilo scientifico che quello pratico è l’informazione sui gargarismi.  Si invita infatti a fare gargarismi con disinfettanti per evitare che il virus passi dalla trachea ai bronchi. ‘Tutte cose che non servono’.

Quanti tipi di mascherine abbiamo e per quanto tempo sono efficaci?

Le mascherine si dividono in DPI, “Dispositivi di Protezione Individuale”, e DM che sta per “Dispositivi Medici” o mascherine medicali. I DPI in commercio, di qualunque tipo o categoria, devono presentare la marcatura CE. Il campo della protezione delle vie respiratorie da rischio biologico è regolato dalla normativa europea UNIEN149 che classifica i dispositivi in FFP1, FFP2, FFP3, dove FF significa Semi-maschera Filtrante.

Dunque,  mascherine consigliate?

Le mascherine consigliate per chi si deve proteggere dal virus sono di classe FFP2 o FFP3, che hanno un’efficienza filtrante del 92% e 98%. Sono indicate per medici e sanitari che lavorano a stretto contatto con i malati di Covid-19 e ai familiari che li assistono, sono “sprecate” se utilizzate dalle persone infette e sono efficaci solo se indossate secondo una ben precisa procedura.

Chi non può indossarle?

Non sono consigliate a persone con la barba o gli occhiali, a causa dell’impossibilità di una perfetta aderenza al viso. La mascherina filtrante è dotata di guarnizioni ed è realizzata in materiale non filtrante. In pratica è a tenuta stagna. Monta anche un filtro per consentire la respirazione “pulita”. Le dimensioni del filtro si misurano con un coefficiente FFP: il quale più è alto e più sono strette le maglie, cioè maggiore protezione.

Quindi è utile?

SÌ. IMPEDISCE DI INALARE IL VIRUS. Le FFP1 (che qualcuno chiama in modo impreciso “antipolvere”) hanno, invece, un’efficienza filtrante del 78% e sono insufficienti per proteggere dal virus. Quindi l’azione di filtraggio è TOTALMENTE nulla. Quindi è utile? ASSOLUTAMENTE NO. Le “mascherine medicali” o mascherine chirurgiche, sono le più diffuse: evitano che il portatore diffonda il virus all’esterno, ma non proteggono adeguatamente dal contagio di provenienza altrui, soprattutto per la scarsa aderenza al volto. Sono quindi indicate per i malati, i soggetti immunodepressi (che sono più esposti alle infezioni), per chi lavora a stretto contatto con categorie a rischio contagio con molte persone sconosciute.

Una mascherina umida perde di efficacia?

Se la parte esterna dovesse essere “bagnata” con sostanze contaminanti, inspirando si ottiene un effetto aspirazione che porta dentro gli agenti patogeni. Inoltre, è aperta sui lati. Quindi è utile? Se siamo infetti o sospettiamo di esserlo, serve a proteggere gli altri. Per proteggere noi stessi E’ TOTALMENTE INUTILE. Ricordiamo anche che qualunque mascherina è monouso e andrebbe cambiata spesso, circa ogni quattro ore.

Continua domani

(Vedrai la seconda ed ultima parte alla voce Salute)

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