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Come Orlando ha ucciso Palermo

Il centro storico visto dall Cala: scomparsi i protagonisti della vita cittadina e le loro famiglie 'attive', presenti fino agli ultimi decenni del secolo corso. Palermo non è più 'lei'. Per l'errata politica cittadina è rimasta 'senza i palermitani'.Il centro storico visto dall Cala: scomparsi i protagonisti della vita cittadina e le loro famiglie 'attive', presenti fino agli ultimi decenni del secolo corso. Palermo non è più 'lei'. Per l'errata politica cittadina è rimasta 'senza i palermitani'.

Palermo senza turisti e senza palermitani. Così si presentava stamani. Se i turisti mancavano per il codazzo dell’epidemia, i palermitani mancano perché hanno dimenticato il centro storico, l’amata ‘Città Murata’ che fu.

Ma l’impresione di stamane è niente. Più grave è perché usiamo quel passato remoto ‘fu’ che riferiamo a tutta la Città Murata, ma anche a tutta Palermo.

Palermo è morta. Se avessero abbattuto i palazzi a cannonate sarebbe morta strutturalmente. Quella che è stata uccisa dalle chiusure selvagge, dalle Ztl (che ieri- per chi era informato – non funzionavano neppure) e dalle forzate zone pedonali, che escludono la presenza della maggior parte degli ‘adulti’, è la parte essenziale di una città: la sua realtà umana, antropologica, etnica.

I palermitani del centro non sono più quelli. Sonoaltri‘. I negozianti, gli artigiani, i commercianti in genere hanno chiuso bottega e spesso sono fuggiti via, in periferia o in altre città.

La Vucciria cara a Guttuso, che la immortalò su tela con semplicità da maestro, non esiste più da tempo. E’ diventato un bazar poco frequentato, a tratti deserto, in cui i prodotti caratteristici sono le spezie orientali. Il gelato di mellone rosso viene definito di Anguria, credendo forse che sia un adeguamento ai tempi moderni (alla globalizzazione?) ed è la parodia di quello d’un tempo. E’ inutile che la brioche ne contenga ‘tanto’ se non è buono: per chi sa come dovrebbe essere è una fatica mandarlo giù tutto… 

Palermo non esiste più, è un deserto, fisicamente e culturalmente. Specie se intendiamo la cultura in senso antropologico. Per non parlare della Cultura con la C maiuscola che non si sa più che cosa sia. Al punto che non è possibile tentarne un arricchimento. Perché non viene riconosciuta, né individuata e, quindi, eventualmente assimilata.

Facciamo spesso l’esempio della musica classica e del vino, materie in cui i siciliani teoricamente eccellono. Anzitutto da italiani e poi da isolani. L’esempio calza a pennello: l’ignoranza è crassa e si estende ancor di più ‘figuriamoci’ al resto del sapere. Né vale l’esempio di fenomeni individuali di punta. Non diciamoci che siamo la regione di Pirandello e tanto meno di Archimede o di Ettore Majorana. Oppure di Verga, Capuana, Tomasi di Lampedusa, Federico De Roberto. Pura retorica: “niente a che vedere” con la cultura media dei siciliani e dei palermitani in particolare.

Ma resta soprattutto il fatto inoppugnabile che la vera Palermo non esiste più, perché ha perso del tutto i protagonisti di quella realtà civica che era riconoscibile fino al secolo scorso, come figli e pronipoti del Risorgimento e della Bella Epoque.  Che cos’è, in effetti, una città se non una coesa realtà antropologica con dei ricordi, delle tradizioni? Si parla delle tradizioni con espressioni ‘orribili’ e fuoriluogo come ‘street food’, si confonde il fast food con il pane e panelle e quello con la milza o lo sfincionello. Poco a che vedere: il fast food si basa su una tecnica standardizzata e mirata a servire rapidamente – anche senza una preparazione approfondita del personale – cibo industriale precotto (o quantomeno pronto da mettere su una piastra) e riscaldato. Paragonarlo allarte di unmeusaro‘ o di unpanellaro‘ è vergognosamente riduttivo.

Per non parlare della vecchia arte dei gelati alla palermitana – ben diversi da quelli all’italiana – che va perdendosi definitivamente. Assieme ai nomi delle vecchie specialità della Marina o di via Pannieri. Solo in quest’ultima si gustava il vero ‘scorzonera e cannella’. Solo un mito ormai! Ma chi lo sa più, ricorda il gusto di allora?  Se pensate che non piacerebbe agli uomini e ai giovani d’oggi vi sbagliate di grosso!

La verità imnegabile è che Palermo non è più niente. E’ all’anno zero, tutta – eventualmente – da ricostruire.   

Germano Scargiali

(Nato e cresciuto nella Città murata)

Nota

Volete una prova – facile, facile – dell’attuale ignoranza delle tradizioni più elementari? Provate a chiedere – se voi lo sapete – quando una focaccia (parola anch’essa in disuso per la perdita della memoria storica) alla milza si dice schietta e quando si dice maritata.
Pubblicheremo la risposta corretta qui di seguito fra qualche giorno. Speriamo che qualcuno in più ricordi le parole d’invito che ‘il meusaro’ rivolgeva ai passanti a portata di voce. Pubblicheremo anche questa.

Risposta sulla focaccia (guastedda) maritata e schietta

La ‘focaccia classica‘ si compone di una pagnottina speciale (per tipo di lievitazione unica nel suo genere, morbidissima ma con poca mollica in partenza). Il condimento (la conza) è formata da formaggio (cecio cavallo a fili), ricotta e milza (espressoinell’ordine per definizione degli stessi guastiddari). Anzitutto la focaccia, in palermitano ‘guastedda‘, differisce dal ‘Pane c’a meusa che è prevalentemente unamezza mafalda speciale ripien solo di milza.

MilzaE’ una parola! Per quanto simangi quasiesclusivamnente apalermo e, dato il consumo cittadino, rifornimenti giungevno dagli scarti degli altri macelli siciliani, la milza è affiacata da fettine di polmone (molto meno saporito) e, nella ‘conza’ trdizionale dallo ‘scannarozzato‘: ‘cannarozzo’ (trachea e dintorni) riotto a pezzettini dal coltellaccio del macellaio. Lo scannrozzato è scomparso dalla consa da aluni decenni in qua.

Ed ecco la focaccia semplice: pane, formaggio e ricotta condita con la sugna (saime) sciolta del ‘tegame’ in cui cuociono milza, polmone e cannarozzo. Per maritarla, “racci a carne!”: compare la milza. Ed ecco la famosa ‘maritata’. Appunto, formaggio, ricotta e milza. In altri termini, l’eccezione era ‘la schietta’

Ogni allusione non è certamente fortuita. Anche in settentrione, certe minestre, cui si può aggiungere della carne, vengono solo allora dette ‘maritate’.

(G.S. Mi scuso per ilmio nome non palermitano, ma – come si vede – in realtà lo sono …molto)

1 Comment on "Come Orlando ha ucciso Palermo"

  1. Claudio Fogazza | 5 luglio 2020 at 8:52 | Rispondi

    restano solo alcuni negozi a conduzione familiare e proprietari dell’immobile, gli altri sono chiusi e comunque non troverebbero garzoni di bottega perché sono tutti a casa con l’assegno sociale dato per non fare nulla, a settembre quando scaduno gli assegni sociali chiuderanno tutti, ma ha chiuso anche la democrazia, l’autoritarismo ha preso il sopravvento e i cittadini sono diventati sudditi.

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