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Assolto Mannino: ci son voluti 27 anni!

Calogero Mannino (Ph. da Il Fatto quotidiano)

C’è voluta la Cassazione per scrivere la parola fine sulla lunga storia giudiziaria – una vera battaglia – che ha visto protagonista l’ex ministro Calogero Mannino. La Suprema Corte ha confermato l’assoluzione nel processo stralcio sulla trattativa Stato-mafia.

I supremi giudici della Sesta sezione penale hanno deciso: è inammissibile il ricorso dei pm di Palermo contro il proscioglimento di Mannino, che era stato emesso il 22 luglio 2019 dalla Corte di Appello di Palermo. L’ex ministro, che era stato assolto anche in primo grado, era accusato di minaccia a Corpo politico dello Stato.

Questa sentenza per l’ex politico democristiano ha messo fine …“all’ossessione persecutoria di alcuni pm ha messo su carta sin dal 1991 in diversi processi nei quali sono stato sempre assolto”.

Mannino ha sottolineato che tale sentenza riconosce la sua …estraneità alla cosiddetta ‘trattativa Stato-mafia’.

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Evidentemente i magistrati finora ‘professavano ignoranzasulla storia italiana recente: quella dei delitti di stato, di mani pulite, del primo golpe bianco, che portò alla defenestrazione di Bettino Craxi e all’elezione a presidente della repubblica di Oscar Luigi Scalfaro al posto di Arnaldo Forlani, che era la persona indicata dal fondatore del ‘Garofano’. Reo – fra l’altro – di aver cancellato falce e martello dal simbolo socialista e di aver eliminato la dottrina di Marx dalle linee guida del partito… Ma Craxi aveva altrecolpe‘, fra cui voler imprimere all’Italia una vera politica internazionale, che è sempre mancata e manca alla Repubblica… Di più: da capo del governo sembrava voler ‘scantonare‘ persino al difuori dei condizionamenti imposti dall’America in conseguenza della sconfitta (subita dall’Italia nella guerra).

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L’ex ministro Mannino, dopo il verdetto che ha posto fine alla sua battaglia durata oltre 25 anni, ha ribadito che la sua attività politica è stata caratterizzata …“da un impegno di contrasto alla criminalità e dalla piena mia adesione alla linea che lo Stato andava apprestando per affrontare il problema della mafia”.

La vicenda è stata paragonata a quella di Enzo Tortora, conclusasi, parò, tragicamente.

In particolare, la Cassazione ha dichiarato inammissibili i 19 motivi di ricorso presentati dalla Procura generale di Palermo. Calogero Mannino ha sottolineato un passaggio della sentenza della Corte d’Appello, secondo cui “doveva essere ucciso perché aveva lottato la mafia”. Pertanto, la ‘resistenza’ dei magistrati della Procura generale di Palermo non aveva per l’ex ministro alcuna consistenza… Inoltre, considera tale insistenza “ancor più immotivata se non artificiosa e pretestuosa sul piano del diritto”. Tutta la vicenda appare adesso come un vero e proprio corto circuito giudiziario, perché sono emerse due verità contrastanti: quella dei pm e quella dei giudici di Mannino.

Paradossalmente, l’imputato aveva scelto il rito abbreviato e si è ritrovato protagonista di una battaglia durata un quarto di secolo.

La palermitana Grazia Volo, l’avvocato che segue da sempre le vicende giudiziarie di Mannino, ha spiegato al Riformista che la conferma dell’assoluzione “…rappresenta la inevitabile conclusione di una sorta di ‘ossessione giudiziaria’ da cui ci si dovrebbe sottrarre…”

Nessuno restituirà a Mannino i 27 anni di sofferenze, le spese e i mancati guadagni, né alcun giudice – fra coloro che hanno sbagliato, portando avanti un’accusa visibilmente pretestuosa – subirà conseguenze di sorta.

Siamo all’ennesimo episodio di prevalenza dell’ideologia e del punto di vista politico rispetto ad una corretta osservazione della realtà. In questo caso ‘dei fatti’. Gravissimo: probabilmente, parte dei magistrati sono stati influenzati – scordando l’oggetto dell’accusa – dal loro personale giudizio, per cui Mannino era ‘comunque colpevole’ per la sua condotta politica e di vita. E’ questa una forte tentazione per un giudice, un errore da considerarsi elementare in materia, dal quale un magistrato deve risaputamente ‘guardarsi’!

Emerge un’evidenza: In Italia, anche se finisce per essere assolta, una persona, che ha dovuto affrontare un lungo processo, è comunque stata condannata. Peggio: anche un avviso di garanzia è un’aggressione. E’ stata concepito, come una tutela, ma invece, nel costume, anzi nel malcostume, italiano, diventa una sorta di gogna, anche perché, mediaticamente, l’indagato viene regolarmente indicato come la persona, contro cui si concentrano i sospetti…

A quando una riforma della giustizia? Berlusconi l’aveva annunciata, ma non gli è stato dato il tempo e nessuno ha più provveduto, per quanto se ne parli come d’abitudine… C’è chi osserva che un corto circuito ha colpito la giustizia italiana nel 1992. Un corto circuito, da cui l’Italia non è più venuta fuori

Gesse

Nota

E’ risibile come si ‘parli’ in Italia della ‘storica’ trattativa stato-mafia, una ‘formula‘ creata per girarci intorno e giocare con il suo significato. Si ‘nomina’ ma non se ne delineano i contorni: per sapere che cosa fu, da chi fu ordita e perché basta porre la nota domanda latina: “cui prodest?“. Già: qual’era il possibile movente? O meglio: qual è stato? Chi trasse giovamento e chi, invece, fu danneggiato dagli attentati, dal ‘periodo stragista’? Chi aveva interesse a concepire disegni di quel genere? Chi risultava vincente e lo risultò ugualmente poco dopo?  E chi, invece, stava per perdere un vecchio potere consolidato?

E’ chiaro che Craxi e i craxiani erano in un momentostella‘ e non avrebbero potuto che crescere, se il sistema non fosse stato messo in dubbio – come è avvenuto ‘ e destabilizzato: da un parte gli attentati, dall’altra ‘mani pulite’! Il risultato immediato fu l’eliminazione di Bettino Craxi che si stava chiaramente affermando l’astro nascente della politica italiana. Quella sarebbe stata ‘la nuova politica’. Tentò di portarla avanti, poi, Silvio Berlusconi, che, inaspettatamente vinse ‘lui’ le elezioni alla prima occasione. Certamente personaggi come Mannino e Dell’Utri conoscevano la realtà di quella parte della mafia che viene solitamente combattuta (non è certo ‘tutta’ la mafia contro la quale stavano puntando il dito Falcone e Borsellino). Ma non avevano alcun interesse a ….’rompere il mazzo di carte‘ con cui si stava giocando: Craxi stava andando al governo, Forlani alla presidenza della Repubblica e Berlusconi, il ‘braccio secolare’ nell’economia reale, avrebbe continuato a fare l’imprenditore con l’occhio benevolo del governo. Non avrebbe mai fatto il politico. La storia è andata altrimenti e ci  è abbastanza nota. Purtroppo. (Geri)

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Breve ‘chi è’ di Calogero Mannino

Nato ad Asmara (1939) da una famiglia di Sciacca, poi aPalermo, ha conseguito 2 lauree (Giurisprudenza e Scienze politiche). Passato attraverso Azione Cattolica, Acli, Cisl, è stato un politico consumato e famoso, molto vicino ai Mattarella. A Sciacca fu giovanissimo consigliere comunale e presidente dell’Ordine degli avvocati. Inizialmente un DC doc (la dizione gli si addice perché vinse un Vinitaly con il ‘suo’ passito naturale di Pantelleria marchiato Abraxas), fondò  nella tarda maturità politica – con atteggiamento irrequieto rispetto all’andazzo generale – più di un partito di ispirazione cattolica. Prediligeva la materia finanziaria, per cui fu prima assessore alle finanze in Sicilia e poi viceministro con Beniamino Andreatta. Ministro della Marina con Spadolini, dell’agricoltura con il Fanfani V, nominato commissario DC in Sicilia da De Mita. Guida i Trasporti con Goria e l’agricoltura con De Mita e prosegue con Andreotti. Contestò la legge Mammì sulle telecomunicazioni (raio tv), fu oppositore del governo Berlusconi IV, negandogli la fiducia e favorendone la caduta. Ha posto fine all suo impegno politico nel 2013, non ripresentandosi alle elezioni. Il processo contro di lui – appena dimostratosi pretestuoso – era già in corso

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La similare ‘vicenda’ di Bruno Contrada

La vicenda giudiziaria non può considerarsi – purtroppo – insolita in Italia  ricorda fra l’altro quella di un altro palermitano: Bruno Contrada, agente segreto e ufficiale di polizia in pensione italiano. E’ stato dirigente generale della Polizia di Stato, numero tre del Sisde, capo della Mobile di Palermo, e capo della sezione siciliana della Criminalpol.  Definito ‘uno 007 italiano, fu incriminato alla vigilia di Natale del 1992. Si innescò un’altra storia infinita, sempre giudiziaria. Dichiaratosi subito estraneo ai fatti contestatigli, rimase in prigione per 12 anni, vedendosi respinta la richiesta di revisione nel 2012, dopodichè finì di scontare lapena. Nel corso di brevi permessi non mancava di salutare – con aria serena e sorridente – gli amici di Alleanza Nazionale, partito per cui simpatizzava da sempre, amico di Paolo Borsellino. Chiaccherò un paio di volte anche con chi scrive queste righe: ‘ero allibito, percependo la pulizia della pesona oltre che ‘valore e saggezza’ del grande poliziotto‘.  Solo nel 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato lo Stato italiano poiché ha ritenuto che la ripetuta mancata concessione dei ‘domiciliari’ nonostante la grave malattia che lo affliggeva. Motivazione: palese incompatibilità del suo stato di salute col regime carcerario. 

Bruno Contrada ngli anni '70.

Bruno Contrada – lo 007 palermitano – negli anni ’70.

Lo sconcertante epilogo: giustizia è fatta. Nel 2015 la stessa Corte europea dei diritti umani condanna lo Stato italiano stabilendo un risarcimento per danni morali  perché non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa dato che, all’epoca dei fatti (1979-1988) il reatocontestato non era previsto dal codice. Inoltre il 14 ottobre 2017 il capo della Polizia Franco Gabrielli ha revocato il provvedimento di destituzione di Bruno Contrada, reintegrandolo come pensionato nella Polizia di Stato. La revoca della destituzione è retroattiva e parte dal gennaio 1993, data della rimozione dal servizio. Infine ‘per ingiusta detnzione‘  a Contrada, difeso dall’avvocato Stefano Giordano, sono stati liquidati 670mila euro (danni morali) dallo Stato italiano. Nessun magistrato è stato rsponsabilizzato per i gravi e marchiani errori commessi.

Nel ricordare gli incontri con Bruno Contrada, mi è tornato in mente un breve informale colloquio anche con Calogero Mannino: da grand’uomo lo vidi in grado di sorridere della propria vicenda certamente tormentata. Mi vennero in mente le ben note parole evangeliche “…Padre perdona loro perchè non sanno quello che fanno”.

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