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In Italia c’è il diritto all’aborto o l’obbligo? Perché oggi in tanti contro l’aborto? Per salvare vite umane ma anche perché le ideologie sessantottine non fanno più presa come una volta Oggi si guarda a un nuovo Welfare

In questi giorni si fa un gran parlare di aborto, ma vogliamo chiederci quali motivazioni spingano tanti uomini e tante donne (proprio queste, numerosissime, in verità) a contrastare la pratica dell’aborto?

La risposta è molto semplice, del tutto banale: perché vogliono salvare la vita di questi bambini e di queste bambine che verranno al mondo e potranno vivere la propria vita, se nessuno glielo impedirà.

La molla principale è l’amore. Non bisogna credere che l’esistenza dei volontari per la vita sia facile. Dedicano il proprio tempo agli altri, gratuitamente, lavorano, affrontano fatiche e sacrifici, talvolta persino correndo dei rischi, ma – alla fine – sono ripagati dal sorriso di una mamma e di un bambino che si abbracciano felici.

Quante volte le mamme che sono state incoraggiate a portare avanti la gravidanza li hanno ringraziati, li hanno abbracciati, si sono commosse…la gente comune sa quanti problemi vengono affrontati e risolti felicemente con pochi mezzi, tanta fatica, ma soprattutto tanto amore? Queste cose le sanno gli abortisti sfegatati? Lo sanno che non c’è mamma, neppure una, pentita di aver fatto nascere il proprio figlio? Sì, a volte, ci possono essere casi particolarmente difficili che si concludono con l’abbandono del neonato ai fini dell’adozione, ma anche questo è un esito felice perché quel neonato anziché finire in un cassonetto, sarà ospitato in un luogo sicuro e potrà avere una famiglia, anche se non sarà la propria.

Vogliamo, allora, suggerire agli abortisti convinti di scendere dal loro piedistallo e, con umiltà, di incontrarsi e parlare con i difensori della Vita per ascoltare le loro ragioni, ci piacerebbe che ascoltassero anche quelle donne che, rifiutando l’aborto, hanno affrontato con coraggio le proprie difficoltà, a volte anche molto gravi.

A sentire la maggior parte dei media sembrerebbe che il maggior desiderio delle donne sia quello di poter abortire con facilità, ogni volta che lo desiderano, ma quel che in realtà accade loro più spesso è che il nuovo esserino, che vive nel loro grembo, viene rifiutato proprio da chi, invece, dovrebbe accoglierlo: il marito, il compagno, la propria famiglia, per non parlare del datore di lavoro…

Per poter giudicare occorre conoscere la realtà direttamente piuttosto che per sentito dire e senza pregiudizi. Si parla tanto di difesa della donna, di realizzazione della donna, ma dov’è lo stato quando la donna, proprio per realizzare se stessa, un figlio lo vuole?

Al riguardo, vogliamo ricordare un personaggio molto noto, il medico abortista americano, Bernard Nathanson, che dopo tanti anni di pratiche abortive, tra l’altro per lui molto lucrose, cambiò radicalmente idea sull’interruzione della gravidanza, diventò antiabortista convinto e promotore di campagne prolife. Infatti, quando, con l’avvento dell’ecografia e degli ultrasuoni, osservando un feto, si rese conto personalmente di avere una vita davanti a sé e non un semplice ammasso di cellule, ebbe un vero soprassalto. Davanti a quella verità, un bimbo in movimento, tutte le sue convinzioni crollarono. Inizialmente, secondo lui, fu soltanto la ragione a farlo rinsavire, ma in seguito intervenne anche la mano di Dio e nel suo libro The Hand of God: A Journey from Death to Life by the Abortion Doctor Who Changed His Mind, del 1996 (“La mano di Dio: il viaggio dalla morte alla vita del medico abortista che ha cambiato idea”, riedito a Washington da Regnery nel 2001) egli lo racconta, narrando tutto di sé e di come un ebreo ateo, convinto abortista, verso la fine della sua vita divenne, invece, prolife e cattolico praticante.

Nathanson è un personaggio noto, un uomo che negli anni ’60 aveva condiviso con grande entusiasmo gli ideali dell’epoca: la ricerca della libertà più estrema soprattutto in campo sessuale, il rifiuto della famiglia e della religione, il ribellismo (spesso fine a se stesso). Il medico americano, come tante altre persone della sua generazione, credeva che la realizzazione di tali ideali avrebbe reso la società umana più felice, ma la sua stessa vicenda ha dimostrato, poi, che non è così.

Non vorremmo essere considerati degli oscurantisti, perché certamente alla base delle proteste di quegli anni c’erano anche motivazioni valide: eccessivo autoritarismo, rivendicazioni sociali, nuovi bisogni ai quali occorreva dare risposte, ma quelle che furono date non andarono, però, nella giusta direzione. Infatti, le critiche all’impostazione della famiglia tradizionale si tradussero nella distruzione della famiglia tout court, la liberazione sessuale in un libertinismo senza freni né regole, la rivolta contro il sistema autoritario nella nascita di un sistema ancora più opprimente del precedente. Distruggere è facile, costruire non lo è altrettanto.

Si trattava, infatti, di un’utopia con scarsi o nulli riscontri con la realtà effettuale, che non teneva alcun conto delle possibili ricadute nefaste sulla società tutta e in particolare sui più deboli, su quelle donne e quei bambini che, a parole, si diceva di voler difendere.       

La realtà effettuale, cioè concreta, cozza contro quella ideologica, non coincide con essa né lo può fare in fieri, cioè in divenire, neppure con tutta la buona volontà di media e opinionisti, pagati o meno che siano.

L’ideologia nata negli scorsi decenni, ma tuttora esistente, tra l’altro sosteneva che dando maggiori poteri allo stato (statalismo) la società ne avrebbe tratto grande giovamento.

Con il famoso motto “dalla culla alla bara” l’economista inglese William H. Beveridge, padre del “Welfare state”, aveva in mente, già negli anni ’40, un modello di sicurezza sociale statale che coprisse l’individuo da tutti i rischi possibili nel corso di tutta la sua esistenza, per l’appunto “dalla culla alla bara”.  Tale modello si sarebbe basato sulla creazione di un’apposita assicurazione pagata da tutti i cittadini che avrebbe protetto ogni cittadino da qualsiasi rischio: miseria, malattia, ignoranza, impoverimento. Solo i poveri non l’avrebbero pagata, ma in loro favore sarebbe intervenuto lo stato per integrare lo stanziamento necessario col proprio contributo. Il piano proposto da Beveridge per sconfiggere la miseria e risolvere alcuni tra i più gravi problemi della società, nei decenni successivi, ebbe molto successo in vari paesi del mondo e in particolare in Europa. Pertanto, molte riforme sociali furono attuate secondo tali principi.

Sarebbe dovuto servire a ridurre le disuguaglianze sociali, a garantire un reddito sufficiente per vivere in modo decoroso, a consentire insomma, per tutti, il pieno inserimento sociale.

I governi democratici insediatisi nel dopoguerra avevano anche delle motivazioni politiche per sostenere queste riforme sociali:

appoggiarle significava assicurarsi maggiore consenso nonché risultava utile per contrastare i totalitarismi, sia nazisti che comunisti, dimostrando che le riforme sociali risolvevano i problemi pacificamente, senza guerre né rivoluzioni.     

Il tempo, però, mostrò anche il risvolto della medaglia: infatti, certamente le intenzioni dei sostenitori del Welfare erano buone, ma la loro attuazione concreta molto meno.

Se osserviamo quanto realizzato per la scuola, per la sanità, per il lavoro, ad esempio in Italia, notiamo che, a fronte di enormi sprechi, di risultati positivi non se ne possano annoverare poi tanti.

Non solo guardando al passato, ma ancora di più al futuro, perché se lo stato italiano, fino agli anni ottanta, poteva ancora allegramente sprecare tanto aveva ancora la sovranità monetaria, l’attuale legislazione UE non può più consentirlo.    

Questi avvenimenti, uniti a tanti altri, hanno allontanato le masse dalle ideologie sessantottine Allo stato attuale, gli strati sociali più deboli, i giovani senza lavoro né prospettive, gli anziani con magre pensioni non sono più disposti a credervi e, di conseguenza, non si sentono emotivamente coinvolti, cambiando il proprio orientamento o allontanandosi del tutto dalla politica.   

Per concludere, nei decenni passati, si sono volute imporre, dall’alto, legislazioni definite “sociali” che non hanno, però, risposto alle reali esigenze della società, nonché oggi continuano ad essere suggeriti modelli di comportamento non corrispondenti alle più profonde aspirazioni degli esseri umani che sono sempre attuali: formarsi una famiglia e avere dei figli.

Lydia Gaziano Scargiali

 

 

 

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