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Iran Islam e velo Che significato dare alle proteste dilaganti nel paese mediorientale?

Le proteste scoppiate in Iran contro l’obbligo per le donne di indossare il velo sono, indubbiamente, il sintomo di un malessere che serpeggia già da tempo in quel paese.

Le donne stanno scendendo in piazza in tutte le città persiane e non solo. La novità è che persino nei villaggi si fa strada la protesta. Questa, in realtà, ha un significato più ampio di quel che potrebbe sembrare a prima vista: infatti, si stanno unendo alla contestazione anche molti giovani maschi, ma anche uomini maturi e donne anziane, che in tal modo non stanno chiedendo solo l’abolizione dell’obbligo del velo (hihab) per le donne, ma anche riforme sociali e democratiche.

Il paese attraversa una grave crisi economica, anche a causa dell’isolamento politico cui l’occidente lo ha costretto, e il governo in carica risulta sotto attacco. Perché, allora, non si decide a concedere ciò che le piazze stanno chiedendo a viva voce?

Evidentemente l’establishment iraniano ritiene che la protesta sia solo un pretesto per cambiare leadership e che, sulla strada della concessione dei diritti, si rischi di far crollare l’attuale potere degli Ayatollah.

Non sappiamo se il movimento per i diritti civili delle donne in Iran avrà successo o meno, quel che è possibile è che faccia anche da detonatore nei vicini paesi islamici dove l’oppressione nei confronti delle donne, nonché delle varie minoranze etniche o religiose, è fortissima. Un’apertura verso l’occidente “cosiddetto democratico” potrebbe essere una bella notizia, anche se va considerato il fatto che una parte di questa “sedicente democrazia europea”, di sinistra e progressista, di fatto, in questi anni si sia apertamente schierata a favore del partito islamico, della sharia e, persino, dell’imposizione del velo (con Francia e Gran Bretagna in testa) col rischio concreto di trasformare il libero occidente in una periferia dell’Islam più intollerante.   

Inoltre, a colpire è pure il fatto che, tra i vari paesi islamici, l’Iran è il più moderno e il più aperto nei confronti delle donne. Infatti, a differenza che in altri paesi dove vige la sharia, le donne possono studiare, lavorare, insomma inserirsi nella società, sia pure non con pieni diritti come gli uomini.

C’è chi pensa che come, ad esempio, i sostenitori dell’ateismo, il problema risieda nella religione (o nelle religioni in generale), così, abolendo le religioni, si eliminerebbero anche tanti problemi.

Pur rispettando chi sostiene questa tesi (che ha anche dei contenuti di verità), crediamo invece che le religioni in generale, e quella islamica in particolare, non siano portatrici solo di errori e problemi e il loro studio andrebbe approfondito, piuttosto è spesso il “Potere” a condizionarne e dirigerne l’operato a suo uso e consumo. La strada che porta i popoli verso la libertà è spesso tortuosa e in salita, passa attraverso lo studio e la cultura, quella vera, però, che non è mai esclusiva e settaria, se esclude il portato della tradizione popolare si condanna da se stessa.

E’ proprio quel che è successo in questi anni: la sinistra, in particolare europea, è partita come paladina dell’uguaglianza sociale ed economica tra le classi, protettrice della famiglia, delle donne, ed è finita a perorare la causa dei sostenitori della sharia. Non solo, ha messo all’angolo i cristiani, non solo politicamente, ma anche socialmente, abbandonandoli agli attacchi dei fanatici. Rischi che, oggi, corrono, nella cosiddetta libera Europa, anche gli ebrei. Questa è storia e se ora il club radicalchic, sconfitto alle elezioni italiane, nonché in gran parte della UE, piange se ne faccia una ragione: i ceti popolari non si sentono più rappresentati da quella parte politica.

Aggiungeremmo che neppure gli immigrati ci credono più, perché nessuna risposta i governi succedutisi in questi anni al potere in Italia, nessuno eletto dal popolo, hanno saputo dare alle richieste di integrazione e rispetto dei diritti umani che venivano avanzati da questa parte della società italiana.

Sì, perché anche gli immigrati fanno parte dell’Italia. Parliamo di quelli che studiano, lavorano, collaborano. Non vanno respinti se non sono criminali o in qualche modo pericolosi a sé e agli altri (attenzione che i “soggetti pericolosi” non lo sono solo per gli italiani nativi, ma anche per gli stranieri stessi), vanno integrati e sostenuti anche quando la loro unica “colpa” è quella di essere poveri. Non va osteggiata l’immigrazione regolare, ma solo quella illegale che comporta tanti rischi anche per gli immigrati stessi.

Lydia Gaziano Scargiali

 

 

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