Economia e Finanza in Italia e UE: fra l’interesse, l’ignoranza e l’europatacca!

Ora sono 50 cent. Cara vecchia “mille lire”, ci piaci anche gualcita: il tuo equivalente non si può dare neppure per elemosina. Ma stipendi e pensioni sono – più o meno – quelli di “allora”. Le imposte, frattanto, aumentano. In realtà la produzione industriale ed agricola continua ad essere enorme. Chi comprerà?
Erano 50 lire, ora la monetina dà solo fastidio in tasca anche ad un bambino.
Erano 20 lire, ci veniva 1 panino… La verità è che con 1 euro ci fai spesso quel che facevi con 100 lire. Le pensioni, però, sono sempre le stesse di allora.

Nell’Italia delle contraddizioni – poca cosa forse, rispetto a quelle dell’UE – si ascolta ormai di tutto. Specie in materia di economia finanziaria.  Qualcuno in Europa parla di diminuzione del “reddito nazionale“: torna questa dizione che era stata soppiantata da quella di …Pil. Ci sembra più chiara e utile: trattasi della somma di tutti i pagamenti comunque effettuati nel territorio. La stessa voce narrante – che apparteneva a un dirigente di livello Ue – …si accorge – e lo afferma in pratica – che “forse” gli italiani “sono stanchi” di vedere tale “reddito nazionale” diminuire. La verità è che sono molto diminuiti il tenore e la qualità della vita per la media della popolazione. Non è di questo che vogliamo – qui – parlare, ma -frattanto – all’uomo comune è interdetto il risparmio, inteso come la possibilità di conservare un po’ di ricchezza” per il futuro. E’ gravissimo, perché il risparmio, a maggior livello, è il primo l’alimento dell’investimento.

Ma la domanda sorge spontanea alla Lubrano: la cosiddetta “crescita” (automatica) insita nel sistema si era mai arrestata? Tecnicamente no! A rallentare “dovrebbe” essere solo la crescita. Come può arretrare il reddito? E come fa chi ascolta ad orientarsi? La Tv, i tecnici, le fonti – insomma – parlano arabo per la gente. O, forse, esprimono concetti che neppure loro stessi capiscono bene: ora questo, ora quello, in pratica dicono sia una cosa che l’opposto…

Attingiamo un po’ di storia della “economia finanziaria” del dopoguerra, quella in cui si verificò il “boom economico” sbocciato sorprendentemente in Italia, tanto che questa dizione, nata nella piccola penisola, che allora ospitava una nazione sconfitta dalla guerra, ma dove comunque erano nate le banche e la partita doppia nel Rinascimento, venne – però –  esportata come definizione e come concetto economico (da lì) in tutto il mondo…

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Nel sistema che prende vita con la Seconda guerra mondiale, la condizione di centro viene occupata da un solo Stato, quello egemone; mentre la periferia è costituita dalle economia di mercato del resto del mondo. Tale condizione, tuttavia, risulta del tutto vera se si osserva il carattere originale del sistema finanziario in sé, con il dollaro che venne imposto come moneta di riserva del mercato internazionale attraverso un trattato internazionale. Essa risulta, invece, parzialmente vera se si guarda alle modalità operative, alle attività dell’insieme degli intermediari finanziari che costituiscono il sistema stesso. L’egemonia americana, tuttavia, risultò essere, in ultimo, vincolata, in quanto l’egemone finì per essere inevitabilmente parte del progetto da lui stesso disegnato.

Se inizialmente le preferenze statunitensi furono rivolte ad un’economia fondata su scambi multilaterali, tale scelta fu abbandonata quando emerse la fragilità post-bellica delle economie europee e asiatiche; ad essa, quindi, si sostituì dal 1947 un processo di socializzazione di norme, orientamenti e preferenze con le maggiori economie capitalistiche. Con il sostegno di Wall Street, la promozione del Piano Marshall – ed anche con la creazione dell’OECE (Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea, attiva dal 1948 al 1961. Nacque il 16.4.1948 per controllare la distribuzione degli aiuti statunitensi del Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale)  – l’egemonia americana si realizzò pienamente creando un sistema di embedded liberalism, che consentì all’egemone di avere meno di quanto avesse immaginato, ma – comunque – più di quanto avesse potuto ottenere per mezzo di trattative istituzionali. Il disegno di egemonia vincolata ebbe nei cambi fissi, nel divieto della libera circolazione dei capitali e nella crescita dei settori finanziari ebbe lo strumento finalizzato alla crescita dei redditi: l’esito fu il grande aumento nel volume degli  scambi sul mercato internazionale, guidato dagli Stati Uniti. – Il sistema descritto ebbe dunque nelle istituzioni definite negli accordi internazionali di Bretton Woods la sua principale cornice istituzionale e operativa: esso si identificava con gli impegni di convertibilità valutaria e di stabilità finanziaria che con quegli accordi furono stabiliti tra gli stati aderenti. Non sorprende quindi osservare che esso andò rapidamente in frantumi quando quelle condizioni vennero meno. Quando cioèla convertibilità  delle valute in dollari e del dollaro in oro non fu più credibile, a fronte del volume dei dollari e delle riserve disponibili; la crescita delle economie di mercato socializzate, quelle del G-7, divenne debole o assente; infine, quando il costo uniforme delle materie prime e dell’energia non fu più sottoposto ad un controllo egemonico in grado di fissarne il prezzo. Nel tempo, tale sistema finanziario viene scandito in due fasi diverse, che possono avere nel ritorno alla convertibilità delle valute europee del 1958 una linea discriminante: la prima, caratterizzata dalla convergenza dei redditi e dalla crescita, tra il 1947 e il 1958; la seconda, determinata da una divergenza nei redditi, dall’inflazione e, infine, dall’inconvertibilità, tra il 1959 e il 1976.

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In questo articolo (e non solo) ciò che sosteniamo è che, di fatto, il “sistema” monetario andò avanti, in Italia come negli altri stati, indipendentemente dalla convertibilità in oro, che fu “sempre” soltanto “virtuale“, ma certamente servì (almeno e soltanto), assieme agli aiuti del Piano Marshall, a dare il via a quella “fantastica escalation” che culminò con il boom. Esso ebbe due  fondamentali decenni magici: il decennio 1960 e il decennio 1980. Anche se non c’è dubbio che, in base a quanto detto prima, i semi erano stati gettati subito dopo la guerra con il piano Marshall (ma anche con l’aiuto del grande progresso tecnologico e nella organizzazione del lavoro) e che il decennio 1970 fosse vissuto in una sorta di stand by come in attesa dell’ulteriore decennio di benessere e crescita del 1980.

Ci si accorge adesso – è sempre l’amata Tv che ci avverte – che gran parte degli italiani, persino fra i politici, rimpiangono (era ora!) il tempo in cui la lira veniva stampata dalla Banca d’Italia in “proporzione ai reali bisogni” dell’economia italiana… Questa volta il concetto è chiaro, anzi chiarissimo, perché bastarono – ci sembra – pochi mesi perché gli italiani – e non solo loro – la pensassero così… Grave, ma meno importante – secondo noi – persino di aver sostituito 1 euro a 2 mila lire, Comunque, se vogliamo: di male in peggio!

Val la pena di ricordare quella che era la “regola aurea” che – un po’ a sorpresa – funzionava egregiamente in ogni parte del mondo e d’Europa: la moneta, in realtà, veniva emessa in relazione alle necessità del mercato. Siamo ancora più chiari: se ne emetteva (o batteva) tanta quanta ne servisse agli scambi e alle cosiddette “transazioni”. Cioè, alle mamme per fare la spesa e agli affaristi per concludere affari, pagare ed essere pagati. Era un gioco basato sul nulla? Niente affatto. Era possibile, già allora, calcolare da parte delle banche centrali – vedi la B.d’Italia, governata da personaggi come Guido Carli, ma non solo lui – quanta moneta servisse …alla bisogna. Perché la moneta è un mezzo di scambio, oltre che una misura del valore, mentre principi come la parità aurea non sono valsi mai un soldo bucato, neppure al tempi in cui “l’oro era oro” ed esistevano monete coniate nel prezioso metallo. Parliamo anche di economie empiriche, come quelle della storia antica: Roma, Egitto, Assiri babilonesi, Incas… Oggi una moneta d’epoca antica in metallo vile non vale un soldo, perché se ne trovano tante negli scavi che i collezionisti ne sono pieni… Le cose non andrebbero così se si tornasse per un attimo ai tempi in cui avevano un valore virtuale attribuito dall’autorità dello stato e dalla zecca di emissione…

A che servono, dunque, questi quattrini?” E’ estremamente vero il dubbio espresso nelle rappresentazioni teatrali e cinematografiche dei De Filippo…

Quando – come abbiamo scritto di recente – giunse tanto oro e argento dagli oceani in Europa (nel 1500), ciò innescò un inizio di rivoluzione commerciale e di conseguenza industriale e finanziaria… Ma non avvenne – a ben vedere – tanto perché l’oro e l’argento avessero un valore in sé, quanto perché venivano – anche per mentalità e per la qualità intrinseca di conservarsi inalterati e di pregevole bellezza – accettati e dati in pagamento. Chi allora non avrebbe accettato oro o argento in cambio d’un’altra merce? Fu, però, null’altro che la fisica presenza di una moneta di scambio sul mercato ad innescare lo sviluppo. Secondo qualcuno fu quello il la che la storia diede all’inizio dell’economia moderna, anche se certamente le prime banche e strumenti finanziari come i titoli di credito avevano già fatto parte dell’escalation civile iniziata già all’alba del Rinascimento o persino nell’immediata vigili al tempo dei Comuni e delle Signorie. Ad essi seguirono in Italia i Principati, ma nel resto d’Europa erano nati già gli stati nazionali, che pure sul piano socio civile per lo più andarono inizialmente “a rimorchio” del Rinascimento italiano…

Oggi, mentre si va verso la moneta virtuale, vogliamo ragionare in modo più dinamico e …colto di quanto avvenne nel 1500? Non sarebbe male, però, se traessimo da quella lontana storia qualche insegnamento…

Eppure c’è nel 2000 chi rimpiange come “insostituibile” e ideale “età dell’oro“, un mito ricorrente di tante analoghi momenti della vita umana: quella età, in questo caso, in cui si potesse sapere che il denaro avesse un valore di per sé, per essere – appunto – oro, oppure ancorato all’oro.

Ripetiamo: il denaro non  è mai, proprio mai, stato realmente ancorato all’oro. Né nel mondo antico, né in quello moderno, quando anche, per un po’ di anni, gli Usa promisero – per tranquillizzare psicologicamente il mondo – che si impegnavano a cambiare la carta in oro realmente a chi, però, portasse loro dollari. Non pagarono, in concreto, mai in oro un sol dollaro.

Senza l’appoggio di alcuna parità aurea, ma nel pieno ricorrere di uno o più regimi come quello caro a personaggi alla Guido Carli, ma conseguenza delle decisioni del trattato Bretton Woods (oggi chi sa perché messo di lato, mentre rimane – almeno – il Fondo monetario internazionale), il mondo ha vissuto in breve il più grande sviluppo economico, tecnologico e – badate – anche culturale d’ogni tempo: ha sconfitto l’analfabetismo quanto la fame. Ditemi: perché andare a rompere il giocattolo come si sta facendo da qualche anno? Il sospetto di una mano nera in mala fede è forte!

Nessuno può dubitare che la politica finanziaria sia di basilare importanza per la salute dell’economia, per la crescita, lo sviluppo… Tuttavia, per quanto si possa virtualmente e con profitto “immagazzinare” il credito (che è come immagazzinare materialmente moneta), gli scambi (si pensi agli scambi internazionali) alla fine avvengono necessariamente “merce contro merce” o “sevizi contro servizi” oppure “merce contro servizi”. Nessuno può vendere all’altro infinitamente senza che questo produca. Nessuno può vendere senza comprare. E’ questione di tempo, è questione di interposta persona (speriamo che l’esempio sia chiaro). Inquadrare l’economia dentro una cornice, cercarvi un lago e non un fiume è un’illusione prima che un errore. L’economia diviene ogni giorno più dinamica e la finanza “dovrebbe” seguirla con altrettanto dinamismo.

Il problema è che, psicologicamente, c’è una quantità di persone ad ogni livello che non vuol rassegnarsi a vedere la realtà umana (nulla escluso) nel suo dinamismo e sogna una sorta di cristallizzazione della realtà. Vuol fermare – alla ricerca di un’impossibile sicurezza assoluta – una macchina in movimento. Preferisce lo stato patrimoniale al bilancio e vorrebbe vedere questo fatto solo di numeri e non in mano agli analisti, che guardino dentro alla realtà umana, socio civile e soprattutto di mercato che sta dentro o, se preferite, dietro quei numeri. Tutto ciò in economia e finanza (non confondiamole, la prima riguarda la produzione e il commercio, la seconda la moneta e il finanziamento) è un errore madornale. E’ l’errore che l’Europa sta commettendo in pieno, ammesso che tutto stia avvenendo in un clima di generale buone fede… Perché è forte il dubbio che vi sia nelle massime lobby, appoggiate da certi poteri di carattere morale (certi moralisti), una volontà precisa: che la crescita venga rallentata con artificio e senza risparmio di mezzi, tramite la finanza, la persuasione mediatica, i falsi concetti morali

Tornando in Tv, scatta, da parte del solito onorevole il facile sarcasmo: “ah, i soliti italiani che credono di pagare il debito stampando moneta…” Facile sarcasmo, ripetiamo, perché nessun essere ragionevole penserebbe una cosa del genere. Pensa invece ciò che – ripetiamolo sempre – disse Maffeo Pantaloni (definito il padre degli economisti italiani) nei lontani anni 10 el 1900. La sapeva lunga Pantaleoni, tanto che fu anche un femminista ante litteram… Usava ogni tanto la parola imbecille e disse: “anche un imbecille può imporre nuove tasse, il difficile è trovare il modo di operare risparmi senza far soffrire il sistema e i servizi…” Disse ancora: “è da imbecilli ritenere di poter rilanciare un’economia imponendo una politica del rigore“.

Vogliamo immettere denaro nell’economia? Intanto, non c’è dubbio che lo Stato – sul momento – si autofinanzi, retribuendo – cosa che non sta facendo – i suoi cittadini. Quanti appalti e lavori su commessa pubblica restano impagati? La “gente” non lo sa, ma sono tantissimi, con un danno generale enorme.

Non che nelle due frasi di “Don Maffeo” ci sia tutto lo scibile economico, ma ce n’è tanto… Se Pantaleoni avesse visto che l’Italia e gli altri stati Ue comprano la carta moneta (dalla Bce) dando in cambio “che cosa se non ricchezza reale” forse non gli sarebbe bastato l’aggettivo imbecilli! Tolgono ricchezza reale e danno pezzi di carta, addirittura rappresentativi – per molti motivi – di un minor valore… E’ già tanto se siamo vivi!

Scatta “facile” anche il sarcasmo (troppo facile) di un columnist di uno dei grandi quotidiani italiani. Cioè, diremmo noi, di uno fra i tanti responsabili dello scadente approccio tecnico culturale degli italiani (ma succede anche all’estero) rispetto ai principali problemi: economia, politica, scienza, arte, risorse, energia, ecologia… Si ascolta che si debba “…interdire l’aumento delle pensioni in considerazione della lunga vita degli italiani: Un motivo in più per reclamizzare “ancor più” l’eutanasia? Ma da quanto non aumentano le pensioni? E’ “la mille lire” di un tempo, amato foglietto, che oggi vale solo 50 centesimi! Non altro sotto il sole di Roma! E poi dicono che sorga libero e giocondo!

Il giornalista irride a Trump (ce l’ha contro i 5Stelle – orribili, intendiamoci – ma perché il gioco comincia a non convenire ai …suoi amici): “Non facciamo come Trump che crede di risolvere i problemi dicendo che non esistono“. Ma chi cavolo sei per criticare chi ha creato tanta impresa, ha appena portato in alto la Borsa di N.Y. e ha moltiplicato in pochi mesi l’occupazione in Usa? Tu sei solo un imbecille di quelli cui alludeva Maffeo Pantaleoni!

Ah, ma perché siamo vivi? La sola spiegazione plausibile è: grazie al sommerso, al nero e persino all’illecito vero e proprio! L’ipotesi è meno peregrina i quanto possa sembrare. Vi sono fior di economisti che, magari in camera caritatis, ne sono convinti ed anche lo affermano, sia pure sottovoce…

Scaramacai

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Nota

Questo è fondamentale: “non si deve ritenere che il denaro abbia un valore in sé” in vari sensi. Forse il principale modo di spiegarlo è questo: non è necessario che abbia un valore in sé. L’importante è che vi sia un’autorità che ad esso lo attribuisca. Su queste parole si potrebbe scrivere molto, perché il problema può persino sembrare sembra facile, ma non lo è. Anzi è foriero di molti mali. In mancanza di altro, dare valore al denaro in sé spinge psicologicamente a conservare più soldi nel materasso e non è da credere che le banche siano molto distanti – nella mentalità – dai vecchietti che vi si trovano morti sopra. Il denaro è, invece, solo uno strumento. Deve essere strumento di pagamento e misura del valore.  Ripetiamo: di fatto lo è sempre stato, prima spontaneamente, poi grazie alla politica monetaria delle banche centrali, una volta ufficialmente tramontato “il sole” della supposta parità aurea. Chi infrange la regola pecca. Ricordimo la massima romana: pecunia non facit pecuniam. In senso lato è una massima del tutto superata: il denaro vien retribuito giustamente dall’interesse, anzi è quando questo meccanismo vien messo in dubbio che sorgono altri guai. Ma non c’è dubbio che il denaro debba essere “impiegato”. Persino quando non c’è ed allora occorre anche simularlo

L’UE, che concede il denaro solo in vendita ai singoli stati, è – per questo – in evidente errore. La controprova: il parere dei sei maggiori esperti di economia al mondo – tutti premi Nobel – è stato tradotto in italiano con le parole: “L’euro è una patacca“.

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Ripetiamo fino a stancarci: il più grande scandalo – ciò che dovremmo chiederci e chiedere – è come mai in un mondo che, grazie alla tecnologie ed all’organizzazione della produzione produce “di tutto e di più” a bassissimo costo, non si riesce a diffondere il benessere: si nega pesino il cibo e i generi di prima necessità – quelli del cosiddetto primario o dei bisogni primari – a giovani, meno giovani ed anziani. Che “il popolo” non sia messo in condizione di comprare nuoce enormemente al sistema che si inceppa in modo da non potersi più distinguere neppure la causa dall’effetto. (D.)

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