Chi fu il “vero Cesare Battisti” eroe della storia italiana

Chi fu “il vero Cesare Battisti” che siamo abituati a nominare nella Canzone del Piave, proposta talvolta anche come inno nazionale al posto dell’inno di Mameli.

L’eroe Cesare Battisti (Trento, 4 febbraio 1875 – Trento, 12 luglio 1916) è stato un patriota, giornalista, geografo, politico socialista e irredentista italiano.

Cittadino austriaco di nascita, direttore di giornali socialisti -come si usava allora in seguito alla evoluzione di parte del pensiero risorgimentale – nella città natale, fu deputato al Parlamento di Vienna, dove si batté per ottenere l’autonomia amministrativa del Trentino e la costruzione di un’università italiana. Allo scoppio della grande guerra, arruolatosi volontario negli Alpini, combatté per la parte italiana. Catturato da una truppa da montagna dell’esercito austriaco, fu processato e impiccato per alto tradimento in quanto membro della Camera dei deputati d’Austria.

Insieme a Guglielmo Oberdan, Damiano Chiesa, Fabio Filzi, Francesco Rismondo e Nazario Sauro è considerato tra le più importanti figure della causa dell’irredentismo italiano ed eroe nazionale.

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L’8 agosto 1914 Battisti, affiancato da Guido Larcher e Giovanni Pedrotti, fece pervenire al re Vittorio Emanuele III un appello nel quale il Sovrano veniva esortato a unire il Trentino al Regno, tentando prima con i mezzi diplomatici e, nel caso non fossero stati sufficienti, ricorrendo alle armi. Nel settembre 1914 Battisti, Larcher e Pedrotti, costituiscono a Milano la “Commissione dell’emigrazione trentina”, composta da un migliaio di affiliati.

Cesare Battisti con la moglie Ernesta Bittanti Battisti.
Cesare Battisti con la moglie Ernesta Bittanti Battisti.

L’11 agosto 1914, appena due settimane dopo lo scoppio della guerra austro-serba, il deputato Battisti abbandonò il territorio austriaco e si trasferì in Italia. Qualche giorno dopo lo seguì anche la moglie con i loro tre figli.

Il fratello Giuliano, che era nato il 30 luglio 1868, rimase invece a Trento. Venne, poi, richiamato alle armi dagli stessi austriaci, inviato in una compagnia di disciplina e successivamente, essendosi ammalato, al domicilio coatto. Morì prematuramente il 3 dicembre 1921 a seguito dei patimenti di quegli anni.

Battisti divenne subito un propagandista attivo per l’intervento italiano contro l’Impero Austro-ungarico e tenne comizi nelle maggiori città italiane, pubblicando anche articoli interventisti su giornali e riviste. Tra le città in cui soggiornò vi è anche Treviglio dove risiedette al numero 15 di via Sangalli  .

Fece parte della massoneria – quando la massoneria aveva avuto un ruolo nel perseguimento dell’Unità d’Italia – e riconobbe ad essa un ruolo negli accadimenti: “… molto, moltissimo devesi alla Massoneria se la causa di Trento e Trieste ha ancora fautori in Italia e se l’irredentismo si è gagliardamente ridestato e, malgrado le opposizioni neutraliste, affermato”.

Il 26 aprile 1915 viene firmato il Patto di Londra ed il 24 maggio l’Italia entra in guerra contro l’Austria. Battisti si arruola volontario e viene inquadrato nel Battaglione Alpini Edolo, 50ª Compagnia. Combatte al Montozzo sotto la guida di ufficiali come Gennaro Sora e Attilio Calvi. Per il suo sprezzo del pericolo in azioni arrischiate riceve, nell’agosto del 1915, una medaglia di bronzo, trasformata successivamente in medaglia d’argento. Dopo essere stato promosso tenente, viene trasferito ad un reparto sciatori al Passo del Tonale e successivamente, al Battaglione Vicenza del 6º Reggimento Alpini, operante sul Monte Baldo nel 1915 e sul Pasubio nel 1916.

Nel maggio 1916 si trovava a Malga Campobrun, in attesa dell’inizio della famosa Strafexpedition (15 maggio – 15 giugno 1916), preparando la controffensiva italiana. Il 10 luglio il Battaglione Vicenza, formato dalle Compagnie 59ª, 60ª, 61ª e da una Compagnia di marcia comandata dal tenente Cesare Battisti, di cui è subalterno anche il sottotenente Fabio Filzi, ricevette l’ordine di conquistare il Monte Corno di Vallarsa (1765 m) sulla destra del Leno in Vallarsa, occupato dalle forze austro-ungariche.

Ormai, la cattura era imminente… Negli scontri con i Landesschützen austriaci molti alpini caddero o furono fatti prigionieri. Tra questi ultimi vi furono lo stesso tenente Battisti ed il sottotenente Filzi che, dopo essere stati riconosciuti, furono tradotti e incarcerati a Trento.

Secondo alcune fonti a riconoscere l’irredentista trentino fu Bruno Franceschini, originario della Val di Non e residente a Rovereto, tuttavia gli atti del processo ricostruirono una versione diversa. A prendersi il merito della cattura furono il tenente Vinzenz Braun[ con i bersaglieri Alois Wohlmuth e Franz Strazligg. Bruno Franceschini comparve solo nella testimonianza di Johann Widegger come chi materialmente riconobbe Fabio Filzi che aveva fornito generalità false.

Negli atti Franceschini è indicato come Fähnrich (allievo ufficiale) e non come Oberleutnant (tenente), qualifica che otterrà solo più avanti. Secondo un’altra versione il cadetto Franceschini, quando venne fatto prigioniero Battisti, era l’unico ufficiale in servizio che parlasse la lingua italiana, e il suo ruolo in tutta la vicenda si limitò al suo riconoscimento ufficiale. A denunciare l’irredentista sarebbero stati i suoi stessi soldati, e non Franceschini, accusato quindi ingiustamente mentre stava solo svolgendo il suo dovere come militare al servizio dell’Austria.

Secondo una versione del generale Maximilian Ronge, capo dell’Evidenzbureau, la notizia della cattura scaturì interesse e approvazione nella gente accorsa a Trento per assistere all’arrivo dei prigionieri, a tal punto che la polizia e i militari presenti furono costretti a contenere la folla, onde evitare che il Battisti e il Filzi venissero avvicinati.

La stampa austriaca  lo descrisse come “bancarottiere” (poiché era già soggetto a un mandato di cattura per fallimento colposo) truffatore, vigliacco, disertore, traditore dei suoi e dai suoi tradito. Il processo, secondo alcune fonti, fu istruito senza garanzie per l’imputato e senza una difesa di fiducia, ed inoltre contrassegnato da grossolane e frettolose sviste procedurali.

Tutta l’operazione aveva fini precisi da parte dell’autorità asburgica perché Battisti era ancora deputato austriaco…

Una volta catturato, Battisti entrò come attore in un apparato scenico in cui l’azione collettiva si sposò ad un’abile regia governativa. Battisti dovette subire moltissimi insulti e umiliazioni dai suoi carcerieri. In via Borgonovo la folla, composta in maggioranza da militari e funzionari austriaci, incominciò a fischiare, a schiamazzare e a ingiuriare i prigionieri…

Gli insulti pronunciati in tedesco smentirebbero taluna storiografia anti-irredentista, la quale vorrebbe che anche alcuni cittadini trentini, quindi di ceppo italiano, avessero partecipato alle ingiurie.

Sovente i prigionieri vennero sputacchiati. I testimoni riportano anche d’altri atti di violenza contro Battisti: gli furono gettati addosso polvere e zolfo con un mantice. Venne anche percosso da una guardia cittadina Per aver chiesto da bere e gli fu offerta acqua sporca.

La mattina seguente, il 12 luglio 1916, fu condotto insieme a Fabio Filzi davanti al tribunale militare, che aveva sede al Castello del Buonconsiglio, al tempo adibito a caserma delle truppe austro-ungariche. Durante il processo non cedette mai alla richiesta di scusarsi, né rinnegò il suo operato e ribadì invece la sua piena fedeltà all’Italia. Respinse l’accusa di tradimento a lui rivolta, basata sul fatto d’essere suddito asburgico passato alle file nemiche e deputato del Reichsrat. Egli si considerò invece soltanto un soldato catturato in azione di guerra.

“Ammetto inoltre di aver svolto – precisò Cesare Battisti in tribunale – sia anteriormente che posteriormente allo scoppio della guerra con l’Italia, in tutti i modi, a voce, in iscritto e con stampati, la più intensa propaganda per la causa d’Italia e per l’annessione a quest’ultima dei territori italiani dell’Austria. Ammetto d’essermi arruolato come volontario nell’esercito italiano, di esservi stato nominato sottotenente e tenente, di aver combattuto contro l’Austria e d’essere stato fatto prigioniero con le armi alla mano. In particolare ammetto di avere scritto e dato alle stampe tutti gli articoli di giornale e gli opuscoli inseriti negli atti di questo tribunale al N. 13 ed esibitimi, come pure di aver tenuto i discorsi di propaganda ivi menzionati. Rilievo che ho agito perseguendo il mio ideale politico che consisteva nell’indipendenza delle province italiane dell’Austria e nella loro unione al Regno d’Italia”. (Dal verbale dettato dallo stesso Battisti durante il processo).

Alla pronuncia della sentenza di morte mediante capestro per tradimento, Battisti prese la parola e chiese tramite l’avvocato d’ufficio, invano, di essere fucilato invece che impiccato, per rispetto alla divisa militare che indossava. Il giudice gli negò questa richiesta. Si procedette invece ad acquistare alcuni miseri indumenti da fargli indossare, dando esecuzione alla sentenza due ore dopo la sua lettura.

L’esecuzione avvenne nella Fossa della Cervara, sul retro del castello verso le 16.30. Le cronache riportano che la prima volta il cappio si spezzò e che il carnefice ripeté l’esecuzione con una nuova corda. Pompeo Zumin, testimone diretto, scrisse che, qualche ora prima dell’impiccagione, aveva chiesto al boia (Josef Lang, venuto da Vienna e chiamato ancora prima che il processo iniziasse) come questa sarebbe avvenuta. Costui gliela spiegò mimandola con un assistente, passando una corda “sottile” attorno al collo di quest’ultimo e fissandola poi a un gancio, posto in cima a un palo infisso per terra: il corpo del condannato sarebbe stato sollevato di peso e poi lasciato cadere. Richiesto, in un secondo tempo, se quella corda fosse adatta per l’esecuzione, il Lang rispose che la corda buon a l’aveva tenuta in valigia, donde effettivamente poi l’estrasse quando la prima si spezzò, il che sta a significare che già era stato deciso che l’esecuzione sarebbe stata preceduta da un il supplizio

Bolzano: Monumento alla Vittoria. Da allora il Trentino fu terra italiana.
Bolzano: Monumento alla Vittoria. Da allora il Trentino fu terra italiana.

Cesare Battisti affrontò il processo, la condanna e l’esecuzione con animo sereno e con grande fierezza, nonostante la misera esposizione durante il tragitto in città, il fatto che fosse stato condotto alla forca vestito quasi di stracci e che non gli si fosse stato consentito di scrivere alla famiglia, ma solo di dettare ad uno scrivano una lettera diretta al fratello Giuliano.

Alla vedova Ernesta Bittanti fu liquidato l’importo di 10.000 lire dalla RAS, compagnia di assicurazione di Trieste, all’epoca ancora austroungarica.

Cesare Battisti è ricordato nel canto popolare italiano: La canzone del Piave lo cita assieme a Nazario Sauro e Guglielmo Oberdan.

Le sue ultime parole furono: “Viva Trento italiana! Viva l’Italia!” (Attilio Mori e Oreste Ferrari, BATTISTI, Cesare, su Enciclopedia Italiana, 1930)

Tali ultime parole sono confermate da più fonti: le troviamo nelle motivazioni della Medaglia d’oro al valor militare che gli è stata assegnata, si possono leggere in un testo del 1916, compaiono nel sito dell’Ana sono riportate su testi di carattere generale o monografici e vengono riprese anche da stampa in rete recente. Anche la seconda edizione dell’Enciclopedia Italiana pubblicata nel 1930 riporta tale esclamazione. Ulteriori conferme si hanno da testimoni oculari dell’esecuzione: nel 1919 il Dottor Pompeo Zumin intervistato da L’Unità di Gaetano Salvemini e nel 1987 Tullio Mosna in un’intervista realizzata dal quotidiano locale Alto Adige.

Cesare Battisti si distinse anche come intellettuale. Nel 1967 Claus Gatterer, in un’opera intitolata per ironia “Cesare Battisti: ritratto di un alto traditore“, si è occupato di riscoprire le sue origini di intellettuale austro-socialista, dimenticate nelle opere scritte a suo ricordo durante l’immediato periodo postbellico. La figura intellettuale di Cesare Battisti è anche stata al centro del lavoro di Marco Albertazzi.

Certamente i genitori di Cesare Battisti, l’omonimo appena giunto in prigione in questi giorni in Italia, lo avevano chiamato Cesare – nome fra i più nobili della storia patria – nella speranza che si sarebbe fatto altrettanto onore…

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