La Santa Messa al tempo del coronavirus

Roma e San Pietro in stato di assedio. Il nemico stavolta si chiama Covid 19. La Santa Sede: aperte la farmacia e il supermercato dell’Annona con aperture contingentate. Appello dell’Ordine dei medici di Roma: “Il contagio cammina con le nostre gambe, rispettate le normative”. Morto un anziano a Cassino, signora sessantenne ‘negativizzata’ all’Umberto I. Allo Spallanzani in arrivo il test rapido per la ricerca del virus. Chiusa e poi riaperto l’accesso a Fontana di Trevi: non si rispettava la distanza di sicurezza…

Sante messe e riti di pasqua a monte? Dalla Città del Vaticano giungono consensi all’azione del Governo italiano: “collaboreremo!“.

Le Università Pontificie serrano i portoni e distribuiscono materiale didattico virtualmente, i volontari Caritas fanno la conta degli ospiti che bussano alle loro mense e favoriscono il cibo d’asporto, i parroci sospendono catechismo, ritiri e oratori e vietano di baciare statue e icone, le comunità neocatecumenali evitano di bere il vino dal calice, i carismatici e i gruppi di preghiera legati a Padre Pio e altri Santi si organizzano per appuntamenti nelle case. Tutto questo mentre nelle parrocchie si registra la più scarsa affluenza alle messe degli ultimi dieci anni e in santuari, musei e luoghi di culto non si vede neppure l’ombra di un turista o un fedele. 

È una Chiesa in stato di guerra, quella italiana, che si trova a fronteggiare il rischio del contagio dal Coronavirus, ma soprattutto a collaborare con lo Stato italiano per evitare lo scoppio di una pandemia che porti al sovraccarico – e quindi al collasso – del sistema sanitario nazionale.

All’indomani della misura draconiana del governo di chiudere scuole e università fino al 15 marzo prossimo, la Cei ha stabilito chiare limitazioni per i luoghi di culto nelle tre regioni in cui si registra il maggior numero di contagi (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), a cominciare dalla sospensione delle messe pubbliche.

Intanto il Vicariato di Roma blocca tutte …le attività pastorali non sacramentali rivolte a gruppi di fedeli, come catechismo, corsi di preparazione al matrimonio, ritiri, percorsi di fede di giovani…

Il Vaticano fa sapere che, relativamente all’attività dei prossimi giorni del Papa, della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano “sono allo studio misure volte ad evitare la diffusione del Covid-19, da implementare in coordinamento con quelle adottate dalle autorità italiane”.

Come al Governo, anche nei vertici della Cei c’è stata confusione nelle scorse settimane su come gestire l’emergenza, a motivo della carenza di dati reali che facessero presagire una tale evoluzione. Dopo fitte consultazioni formali e informali nel weekend, la Conferenza episcopale italiana ha emanato lo scorso 1° marzo misure restrittive che hanno decretato per lo più lo svuotamento delle acquasantiere, la ricezione della Comunione sulla mano, l’omissione dello scambio di pace durante la messa o la sospensione della stessa messa. 

Indicazioni che hanno attecchito nelle zone del contagio nel Nord Italia (non in tutte), ma nelle altre 220 diocesi italiane non sono state recepite come una normativa univoca quanto piuttosto come un passaparola. Di conseguenza ogni parrocchia ha agito di propria iniziativa.

Messe in streaming, chiese aperte ma coi banchi vuoti, parroci che hanno officiato la funzione nonostante il divieto (e per questo acclamati addirittura come ‘eroi’), mentre si moltiplicavano le telefonate tra preti: “Tu lo scambio della pace l’hai fatto fare?”, “…Ma hai capito cosa fare?” “In parrocchia da te è cambiato qualcosa?”

Per maggiore chiarezza la Chiesa italiana, alla luce del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri emanato ieri, ha quindi fornito in mattinata limitazioni più rigide. Durante la settimana sono sospese tutte le messe nelle chiese venete, lombarde ed emiliane; nelle aree non a rischio, invece, sempre assicurando il rispetto delle indicazioni in tutte le attività pastorali e formative, si potrà dire messa e promuovere gli appuntamenti di preghiera che caratterizzano il tempo della Quaresima. Tali misure sono destinate a restare in vigore fino a domenica 8 marzo inclusa. Ma l’Italia, ormai, è tutta ‘zona rossa’!

La situazione nel suo complesso, però, è ancora in divenire e il timore in queste ore è che l’emergenza si protragga fino a Pasqua, momento culminante dell’anno cristiano, finendo per annullarne le celebrazioni.

Ad oggi sembra difficile che si possa tornare ad una situazione di normalità entro un mese esatto, ovvero il 5 aprile, Domenica delle Palme, inizio della Settimana Santa, che verrà celebrata in ogni chiesa del mondo a cominciare dalla Basilica di San Pietro con la processione e la messa presieduta dal Papa.

Nel suddetto documento i vescovi italiani non nascondono il loro rammarico: “Le misure adottate mettono in crisi le abituali dinamiche relazionali e sociali. La Chiesa che è in Italia – prosegue il documento –  condivide questa situazione di disagio e sofferenza del Paese e assume in maniera corresponsabile iniziative con cui contenere il diffondersi del virus. Attraverso i suoi sacerdoti e laici impegnati continua a tessere con fede, passione e pazienza il tessuto delle comunità”. 

Intanto dal Vicariato giunge una comunicazione firmata dal segretario generale Pierangelo Pedretti con la quale vengono sospese fino al 15 marzo le diverse attività parrocchiali mentre sono consentite le celebrazioni liturgiche feriali e festive, “….purché il luogo di culto consenta di rispettare le misure di precauzione ritenute fondamentali dalle autorità competenti, in particolare quella di mantenere almeno un metro di distanza tra le persone”. 

Come già nel decreto della Presidenza del Consiglio, particolare attenzione, nella nota del Vicariato, è riservata alle categorie più deboli.

“Per gli anziani soli – è scritto si chiede di promuovere iniziative di vicinanza, perlomeno attraverso contatti telefonici. Per i malati si dispone che le visite siano effettuate “…rispettando ancor più rigorosamente le condizione di carattere generale di cui sopra (distanza minima e igiene), utilizzando per quanto possibile le apposite mascherine e limitando le occasioni di interazione con i medesimi soggetti deboli alla somministrazione di sacramenti e sacramentali“. 

“Al contempo si invitano le diocesi – precisa il Vicariato – …a non interrompere le attività dei servizi caritativi, coordinandosi con la Caritas diocesana. Anche le attività dei Centri di ascolto parrocchiali potranno continuare laddove il servizio si riesca a svolgere in locali caratterizzati da ampi spazi, ben areati ed igienizzati. Si raccomanda quindi di …fissare appuntamenti con le persone assistite e di …non incentivare l’apertura indiscriminata», onde evitare assembramenti”. 

“Gli stessi criteri – conclude la nota – dovranno essere usati per l’apertura degli Empori della Solidarietà e per i centri distribuzione di alimenti. In proposito si chiede di favorire la distribuzione di alimenti da asporto da non consumarsi nei locali parrocchiali. Si consiglia inoltre la sospensione dell’attività dei centri di distribuzione del vestiario, soprattutto per quello che riguarda la raccolta di abiti usati”.

Infine, le parrocchie che svolgono attività di accoglienza, con ospitalità di senza dimora e di richiedenti asilo, possono continuare senza problemi tale iniziativa cercando di favorire la permanenza degli ospiti nella struttura anche durante le ore diurne

Aldo Brandini

(Da Roma)

Nota

Forse, a nostro giudizio, si potrebbero organizzare sante messe all’aperto e relative comunioni con ulteriori precauzioni riguardo la distanza fra i fedeli. Non c’è dubbio che si stia esagerando, con riferimento – ad esempio – alla pericolosità di presenze numerose all’aperto, laddove si osservi una distanza che – all’aria – non può essere se non inferiore a quella indoor. Il non poter assumere l’Eucarestia è una grande privazione per i credenti più fervidi…

Da un punto di vista teologico dottrinale, non giungiamo – certo – a dire che ciò che è legato alla chiesa, alla preghiera, né ciò che è consacrato sia per questo immune da malattie e possibilità di contagio. Bene l’aver svuotatole fonti di acqua benedetta. Questa va assunta solo all’ingresso, perché simboleggia il voler presentarsi ‘lavati’ da ogni sporcizia, anche materiale, al Signore. Un’acqua inquinata non vale certamente, a questo desiderio. Notiamo come anche nei posti più umili, uomini e donne si presentino in chiesa vestiti, spesso a festa, ma sempre nel modo più dignitoso che possono. Ciò è molto bello ed edificante: la fede e lo zelo degli ‘altri’ confortano e sostengono la nostra propria fede personale.

Di base è chiaro, però, come le regole meccanicistiche del cosmo siano legate solo a se stesse.

Dio ha creato il mondo, ne segue certamente le sorti, ma si attende di veder procedere il progettato funzionamento: da allora Il Signore sembra guardare (ed è evidentemente così) alla realtà del cosmo ‘da arbitro‘. …Senza, cioè,  intervenire, se non per una propria decisione specifica davanti a casi di fede di preghiera.

Quanto sopra è chiarissimo nel comportamento di Gesù Vangelo: il Redentore non guarisce tutti, né risolve i mali del mondo. Indica una via – quella corretta – perché l’umanità, privilegiata dall’uso della ragione e della conoscenza, con l’aiuto della Fede, possa condurre il Cosmo verso traguardi migliori. Anzitutto combatta il Male in ogni sua manifestazione, in ogni sua aggressione, non solo alla morale, ma anche alla ‘salute’ del cosmo stesso. L’umanità lavora contro la malattia e la catastrofe, che sono due manifestazioni del Male indipendenti dalla volontà  e dagli errori umani. Il tempo dovrà dire se tale dialettica si concluderà con una vittoria. E’ proprio questo risultato ciò che, con evidenza, ‘vuole’ il Signore. E’ ciò che i cristiani desumono dalla constatazione della realtà naturale e dal concorde ‘senso generale’, non certo celato, delle Sacre Scritture.

Germano Scargiali

Articoli correlati