Storia di Sandro: quando la scienza medica non può (o non poteva)

Degenza ospedaliera. Per molti è una situazione transitoria che si conclude con la guarigione. Per altri no. Chi impagina lavorò molto vicino ad un ospedale: capì che vi si lotta per la vita, che di solito vi si guarisce, che non è un posto ‘triste’ come sembra. E’ luogo di collaborazione umana e generosità… (GS)

Ricordo quando all’inizio della mia attività lavorativa ospedaliera incontrai un ragazzo molto malato. Entrava ed usciva dall’ospedale a cadenza quasi costante. Sempre con problemi respiratori a la bombola di ossigeno accanto. Il padre era sarto, la madre casalinga e questa sua malattia aveva sconvolto la loro attività e la loro serenità.
Si chiamava Sandro (forse) ed era minuto, dai lineamenti stirati e dalla grande sensibilità. All’inizio veniva sulle sue gambe, accompagnato dai genitori e, talvolta, anche dalla sorella,  ma, con il passare dei mesi, fu costretto a letto. Era sempre febbricitante, anoressico, pallido e con il respiro affannato. Era sviluppato nel corpo e nella mente, ma il suo corpo, pur apparentemente ben formato, non aveva la forza di sostenerlo, di dargli quella autonomia che un ragazzo della sua età reclama e sogna.
All’inizio riuscivamo con la terapia medica e supporti respiratori a venire a capo delle acuzie respiratorie.
Noi medici ci chiedevamo il perché di queste sempre frequenti riacutizzazioni della malattia, soprattutto a livello polmonare e di questo difetto muscolare. Un giorno, dopo aver studiato approfonditamente il caso, arrivò la diagnosi: malattia di Duschenne. E fu come una sentenza di morte, sapevamo che non c’era alcuna cura efficace, se non cure palliative.
La malattia di Duschenne è una distrofia muscolare genetica caratterizzata dalla sostituzione del tessuto muscolare con tessuto fibroso anomalia, quest’ultima, alla base dell’atrofia e debolezza muscolare. La malattia era spesso a progressione rapida, ed oltre a causare degenerazione dei muscoli scheletrici, interessava anche quelli lisci e del muscolo cardiaco.
I suoi rientri – quasi sempre notturni durante il servizio guardia – all’inizio sporadici successivamente divennero sempre più cadenzati. C’è Sandro, dicevano gli infermieri! Ed io, quand’ero di turno (molto spesso invero), mi alzavo triste e sconsolato più per lui che per me, sapendo che sarebbe stato sempre più difficile aiutarlo e che forse quella sarebbe potuta essere l’ultima volta.
Con il tempo e la frequentazione diventammo amici. Era di temperamento dolce e mite, dai grandi occhioni marroni incastonati in un viso dai lineamenti stirati, ma con il sorriso sempre sulle labbra e con una grande voglia di vivere. Mi rendevo conto che stava male, molto male, non riusciva a respirare. Era come se stesse annegando  ed i suoi polmoni non riuscivano a dagli l’ossigeno e la forza per farcela. Mi salvi dottore,  mi diceva, voglio rivedere i miei compagni e la mia stanzetta. Ed io ce la mettevo tutta.
Un giorno, sempre gli infermieri, anche loro ormai coinvolti e vicini alla famiglia e che quindi spesso si informavano, mi dissero, sconsolati, che Sandro non sarebbe venuto più.
Ci restammo terribilmente male e, per sopperire alla mancanza, mettemmo una foto di Sandro sorridente nella bacheca della medicheria.
Sono trascorsi diversi decenni e Sandro è tornato diverse volte nella mia vita. I suoi occhi carichi di forza vitale mi hanno aiutato, soprattutto nei momenti di sconforto, a superare diversi momenti difficili.
Adesso so che Sandro anche se non c’è più, resterà sempre vivo e vicino a chi lo ha conosciuto.
P.S. Segnalo, con mia grande soddisfazione, che alcuni giorni fa ho letto la notizia che sarebbe stata trovata una cura per la malattia di Duchenne.

Guido Francesco Guida

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