“Sto morendo …di salute!” Questa battuta acre, più amara che dolce, è la più consona conclusione per la grande carriera di Fantozzi, un comico che, come Charlie Chaplin passa alla storia con il nome inventato per lo schermo: Già, Fantozzi per Villaggio, come Charlot per Chaplin… Comici e tragici, in grado di strapparti un sorriso e una risata appresso ad una lacrima…
Così, mentre la fine di Paolo Villaggio mi lascia con gli occhi lucidi, almeno quanto quella del suo conterraneo “Lucio Dalla – Gesù Bambino”, che mi provò quanto noi di destra siamo larghi di solito con gli “omo” risaputi ma discreti, così come lo fummo con Visconti o Zeffirelli, tanto quanto poco lo siamo, invece, con la lobby corrispondente e con la volgare e aggressiva mediocrità strillata degli omo dalla “mezza calzetta”….
Villaggio era, invece, un vero omo alla romana, romano del resto d’adozione: cioè un uomo. “L’unico che mi abbia veramente amato – dice Anna Mazzamauro, senza chiamarlo finalmente Fantocci. Altra artista dolce amara ci lascia nel dubbio: si riferisce alla finzione scenica o confessa per un attimo il retroscena ignoto di una vera tresca? Tanto era uomo, Paolo Villaggio, che seppe fare dell’auto umorismo fino ad identificarsi nella fantasia popolare con Fracchia e Fantozzi, i mezze maniche vigliacchi, mediocrissimi, sfortunati come Paperino, ma alla fine anche simpatici. Tanto che facevi il tifo per quelle rare vittorie… Come la più famosa di tutte, della Corazzata Potemkin, una mania del capo: …è una cagata pazzesca! Una battuta divenuta parte del lessico, familiare, nazionale, allusione facile, immediata, di sicuro funzionamento, impossibile da non comprendere al volo e condividere…
Avevo appena sentito della sua morte e, triste, già scoppiavo, mio malgrado, a ridere, mentre la Tv mandava in onda, una dolo l’altra, le sue gag più famose, viste riviste, sempre incisive e graffianti, sempre nuove, sempre valide…
Il suo personaggio faceva ridere – diceva di sé il trasgressivo artista ligure – proprio perché l’italiano medio si aspettava quelle piccole sconfitte e si divertiva sadicamente e masochisticamente, anche perché, più o meno in segreto, si identificava – almeno in certi momenti – con quei patemi, quei timori, quelle inevitabili sconfitte, a volte anche grandi. Siamo tutti, del resto, degli sconfitti nella vita e tale certezza è figlia della stessa intelligenza: chi crede di aver vinto è solitamente uno stupido…
Così “Paolo Villaggio – Fantozzi – Fracchia ed altri personaggi ancora”, come quando simulava le sue gag in stile hitleriano, nei panni immaginari del sadico professor Kranz, è entrato nelle nostre case e nelle nostre vite per anni, è divenuto un parente, uno zio, un cugino. Talvolta persino un fratello. Entrato fra gli italiani e nell’italiano, la nostra lingua, come quando ha inventato l’aggettivo “megagalattico“. …”Perché è così buono lei? Perché è così umano?”
Non dimentichiamo, però, che la sua era recitazione, era arte, era invenzione, pur desunta da elementi autobiografici, esperienze di vita, direttamente vissute o lette nella realtà circostante. Ed è questa, forse, l’arte più bella, quella che coinvolge, quella che riesce a far ridere e piangere. Fino a farti chiedere, a volte e se è l’artista che, nella sostanza, sta giocando con te, che ti sta catturando e ti gira e rigira, ti gioca – alla fine – così come vuole, quasi fosse il torero e tu la vittima della sua mantiglia, delle sua provocazioni, delle sue veroniche.
Germano Scargiali