Musei più pieni? Ma non è tutto oro…

Turisti a Fontana di Trevi, da sempre: il turista medio cerca un “prodotto” complesso, né l’affluenza all’interno dei musei può trasformare il mega turismo italiano in un nuovo business. Ciò che serve è di migliorare ed arricchire il “prodotto” turistico, aggiungendo dosi di ciò di cui è carente: nuovi eventi, divertimento e servizi al turista. Che dire dei trasporti aerei? Infine, ma non ultimi: marketing pubblicità e promozione…

“Con la cultura non si mangia”, questa fu la frettolosa, inopportuna battuta sfuggita a Giulio Tremonti da ministro del governo italiano. Una battuta da consulente fiscale, quale lui è, sia pure il più colto mai incontrato. Cose da non dire certamente, nel Bel Paese del Rinascimento, di Leonardo, Dante, Brunelleschi, Michelangelo… Sì, l’Italia del Diritto Romano, ma anche di Galileo ed Enrico Fermi o di Petrarca, Leopardi e Pirandello… Eppure Tremonti, nel parlare di tasse citava passi della bibia a memoria ed altro ancora come niente… A dargli man forte in fatto di superficialità – però – si esibì da oltre oceano anche Barack Obama. Nel lontano Wisconsin, il “presidente moderno, illuminato e trasgressivo esortò i giovani a studiare economia e non storia dell’arte… Questo, per trovare lavoro prima e meglio!  Ma, almeno, era in America, terra pragmatica… Accorgendosi, poi, dell’imprudenza, “riparò” aggiungendo: “ora non inondatemi di email di protesta!”

Oggi eccoci agli antipodi, ai dati sbandierati sui successi dei musei italiani, sulla crescita di visitatori, come se si potessero così “risolvere” i problemi ben noti del fermo economico o la carenza occupazionale. Il salto è …azzardato, il volo, in realtà, è pindarico.

Si sciorinano in Tv e sulla carta stampata, oltre che su Google, i dati a 2 cifre della crescita dal 2013 (38 milioni e mezzo) al 2016 (ben 45 milioni e mezzo)…

Da italiani non possiamo che esserne contenti – se non felici – specie se il fenomeno …continua. Purtroppo, però, chi segue il trend dell’afflusso turistico da sempre è “vaccinato“, rispetto alla puntuale comunicazione – che avviene da anni – di certi valori, dati per statistici, ma che tali non sono…

La statistica non è un “comunicare valori”, ma un confronto fra dati di varia provenienza e, a volte, di varia natura, perché non scada in una deriva verso risultati peggiori di quella della famosa “statistica del pollo”, che fa dire a Trilussa: “…ma diteme er pollo mio chi se lo magna!”

Non conta se “noi” cresciamo, quando gli altri crescono più di noi. Ma – si dice in questi giorni – che gli altri musei europei registrano, invece, un calo di visitatori. Intanto, 3 anni non fanno testo. Ma non è questo: è inutile dire “cresciamo” se i valori finali sono molto bassi se appena consideriamo il valore dei siti che l’Italia possiede, la fama e la “ofelimità” dell’Italia – solo riguardo le antichità – col suo passato di Magna Grecia, Roma, Rinascimento, Cattolicesimo… Anche il numero dei siti vicini l’uno all’altro fa richiamo nei confronti dei singoli siti. In altri termini, 3 siti vicini valgono 4 o 5… Vinciamo una partita che dovremmo stravincere? No: tutt’oggi la perdiamo! Se non si afferma e si chiarisce questo, si fa solo del male all’Italia.

Perché, infatti, non guardare ai valori assoluti dell’affluenza museale paragonandoli a quelli – sempre assoluti – di Londra e Parigi? Allora vedremmo che l’Italia va così male che, per il momento, è meglio che …si taccia.

Inoltre, guardando dentro i fenomeni di costume, dentro le ragioni della realtà sociale, o meglio, sociologica, non è difficile constatare che i turisti hanno altri motivi per venire in Italia e “associare” la visita ai musei ai fattori che definiremmo “sole, pizza e amore”: in tutto il mondo si incontrano persone che sognano un viaggio in Italia. Se lo Stivale non rigurgita è la conseguenza di quanto poco l’Italia “sa fare” in termini di marketing turistico, escluso qualche operatore che – nonostante il contesto – sa far fortuna e la fa, credeteci, con facilità, almeno apparente…

E ancora: l’Italia ha “goduto” turisticamente dell’impasse del Nord Africa. Tale impasse ha provocato danni enormi sul terreno politico e soprattutto su quello commerciale, ma ha giovato all’affluenza turistica. Ebbene: quanto? Chi mai è in grado di calcolarlo? Come attribuirsi meriti per la crescita in tale situazione?

Musei? La direttrice del museo Salinas (ex museo nazionale di Palermo) chiuso da anni (tranne da un po’ una piccola ala), quando la chiusura per ferie si faceva (udite, udite) ad agosto, ci rispondeva che in quel mese si registrava comunque il picco più basso di affluenza, perché il turista medio andava …al mare. Non ridete, perché in tutto c’è un margine di vero!

Come si vede, è sempre il caso di partire con il noto inglesismo: “When God was a baby…

Si fa presto a dire museo… L’inverno scorso si parlava dell’apertura gratuita domenicale come di un decisivo passo per l’acculturamento degli italiani, a partire dai giovani. Sinceramente non crediamo che il problema si possa risolvere così, ma neppure “aiutare”… Scusate una battuta che vale quanto vale: “dei giovani o degli ignoranti catapultati in un museo si possono solo annoiare…”

L’inammissibile carenza di cultura degli italiani su temi come la arti figurative, il Rinascimento, il Barocco, ma, peggio ancora, la musica e persino il vino – materie in cui il mondo riconosce all’Italia un primato – fa fino ad oggi degli italiani un popolo inadatto ad ospitare un turismo culturale: i “locali” si imbattono in stranieri che conoscono l’Italia meglio di loro! Abbiamo conosciuto dei tunisini, operatori turistici, che conoscevano i vini italiani (che non potevano teoricamente bere, quali musulmani) meglio della media degli operatori italiani: lo diciamo con certezza! Di recente un maestro di musica giapponese ha detto in Tv qualcosa che chi scrive dice più volte: “in Giappone conosciamo e amiamo Verdi molto di più di voi italiani”. Una pianista giapponese, invece: “sono felice di essere in Italia al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma che personalmente giudico unico al mondo nel suo genere”. Del resto nel 2017 ha raggiunto la ventottesima posizione nella classifica delle scuole specializzate in arti performative del QS World University Rankings (cioè fra tutti gli istituti universitari di tutti i settori nel mondo). Proviamo a chiedere all’italiano medio che cosa sia esattamente Santa Cecilia…

L’Italia è piena di siti in cui il turismo – presso monumenti, capolavori, sale affrescate – specie, cioè, al chiuso – va assolutamente contingentato, ricorrendo a turni e imponendo comportamenti di accurato rispetto, sotto controllo di personale esperto.

C’è chi parla, ma è assolutamente frettoloso e superficiale, persino, di limitare il “turismo di massa”. Ciò, però, contrasta con i valori della democrazia e con quelli cristiani, oltre che con quelli culturali: si oppone al desiderio di allargare la diffusione della cultura e “degli atteggiamenti culturali corretti” che predicavamo sopra…

Sussistono, però, innegabili motivi perché del turismo si faccia un business: servono moneta fresca e posti di lavoro. Occorre, dunque, organizzazione, controllo, spazi e tempi per l’ospitalità. Se in tutto il mondo si sogna un viaggio in Italia, sarebbe inumano, oltre che contro il portafogli degli italiani (e l’occupazione), limitare il flusso turistico, riservandolo ai turisti colti, che restano soltanto ipotetici: come sceglierli, come controllarne i gusti e selezionarli? Come dire no ai meno colti?

La nozione base che la tecnica del turismo deve insegnare agli italiani è – invece – di non cullarsi solo sul “supposto” successo dei siti museali, le vestigia, i monumenti: tutto il mondo sa che li possediamo. Non c’è straccio di operatore turistico che nel mondo non li vanti… Non vanno dimenticati, intendiamoci!

Il primo “comandamento” – quello trascurato – è, invece, quello di arricchire il “prodotto turistico” di altro che non si limiti neppure all’aggiunta del …bel sole mediterraneo. Offrire, invece, anche divertimento agli ospiti: eventi, serate, gastronomia, assistenza e programmi speciali riservati agli anziani e soprattutto ai giovani ed ai piccoli al seguito della famiglie.

E’ ciò che, anche attorno al Mare Nostrum, la “concorrenza” già fa, spesso, meglio della media degli operatori nazionali. Uno snobismo del tipo di quello attribuito a Barcellona e Amsterdam – vagheggiato anche in Sicilia – a favore di una selezione degli ospiti, che privilegi “quelli colti” è mera follia. Si può, certo, concepire il ricorso ad una pubblicità mirata più …in alto. Continuiamo, comunque a ritenere, con gli operatori più illuminati, che occorra attrezzarsi per accogliere tutti gli ospiti, da quelli in tenda a quelli che cercano i 6 stelle e i posti esclusivi, passando ovviamente per gli intellettuali: questi non abbondano quanto si dice e non spendono molto. Il che resta grave…

Ciò che l’Italia deve coltivare e proteggere è l’Italian style nel senso più ampio (eleganza estetica e di pensiero), l’Italian way of life, che è – in realtà – ciò che il mondo più apprezza ed anche invidia… Notiamo come non sia facile “essere all’altezza” delle aspettative e come, spesso, l’italiano medio conosca e apprezzi l’Italia meno dello straniero, persino di quello che viene da lontano (Asia, Sud Africa, Australia, Russia…).

Anche i numeri della crescita dei musei in Italia (affluenza) non dicono molto sulle reali proporzioni della crescita del business turistico: non conta – lo ripetiamo – quanto si cresca rispetto a se stessi, senza paragonare i risultati agli …altri, ai musei stranieri. Non solo e non tanto come tasso di crescita, ma paragonando i valori assoluti. Allora si vedrebbe che il British Museum, per non dire il Getty Museum o il Louvre “stracciano” i musei italiani. Quanto al Louvre è utile perché consente un paragone on la Disneyland parigina. Il villaggio disneyano conta da solo su più affluenza dell’intera Parigi. Ecco come avere il metro di ciò che contano i musei – con tutto l’amore che noi coltiviamo per la “vera” cultura – rispetto all’intero business turistico, lo si voglia o no. Il sito turistico numero 1 al mondo è, infine Las Vegas, non certo per i siti storici o museali, in pieno deserto… Tutto ciò serve a far capire che l’offerta turistica – per essere un business – dev’essere “completa“.

Germano Scargiali

_________________________________

Nei dati comunicati dal ministero del turismo, Campania e Lazio precedono la Toscana. Non dimentichiamo che su Roma influisce la presenza del Vaticano… Il Colosseo resta il sito più visitato d’Italia e non è un  caso che surclassi la Torre di Pisa. E’, invece, una prova dell’importanza del contesto… Anche il Sud cresce (sempre come musei), ma non è nominata la Sicilia, di certo un polo del turismo nazionale. Neppure sono nominati Trentino e val d’Aosta. Ne deduciamo che Roma ha escluso le regioni autonome che dispongono di assessorati al turismo con pieno poteri…

Conviene disporre di uno “statuto speciale” e conseguente autonomia? Di recente abbiamo avuto l’esempio della costruzione di un’utilitaria elettrica. Se ne parla da anni come di una “trovata” per rilanciare lo stabilimento fiat di termini Imerese. L’auto è stata prodotta, invece, in Puglia…

La verità è che – se non fosse per motivi politici legati ad interessi chiaramente privati del settore auto – sarebbe facilissimo costruire con parti meccaniche ed accessori di provenienza asiatica, una piccola autovettura ad uso popolare a meno di 5000 euro. Ciò scombussolerebbe – però – il mercato e gioverebbe “troppo” al popolo!

 

Articoli correlati