ASSISTENZA SANITARIA IN ITALIA. OTTIMO AUMENTO ACCESSI ALLE SCUOLE NAZIONALI DI MEDICINA DAL 2023-24. MA CIO’ NON BASTA

Giorno 2 marzo 2023 si è svolta una interrogazione della Lega al Senato da parte di Massimiliano Romeo sul tema degli accessi degli studenti alle scuole di medicina che servono a formare i medici di domani. Il ministro Anna Maria Bernini ha detto che il lavoro in corso è molteplice e punta a definire il fabbisogno dei medici e ad adeguare le capacità e l’offerta potenziale del sistema universitario, al fine di rivedere i meccanismi di programmazione degli accessi. L’obiettivo sarebbe quello di aumentare, già dal 2023/2024, i numeri nell’ordine del 20-30% del totale, preservando il livello qualitativo della formazione, che richiede la valorizzazione dello svolgimento di internato all’interno delle strutture del SSN per aprire le università ai territori e modulare il fabbisogno del personale sanitario alle esigenze delle realtà territoriali. Ha poi aggiunto di mirare ad un “accesso sostenibile” alle professioni sanitarie, come pure all’allargamento del collo di bottiglia dei successivi percorsi di specializzazione medica. Il tutto dovrebbe avvenire attraverso un confronto proficuo con le Regioni, individuando poi di conseguenza il numero degli accessi necessari per colmare esattamente il gap ad oggi esistenti. Riteniamo il quesito quanto mai opportuno alla luce delle carenze di assistenza sanitaria segnalate dai territori e da tutte le organizzazioni sanitarie italiane. Il problema è infatti annoso ed alquanto impellente anche alla luce della recente epidemia di COVID-19. Esso nasce e si propone per svariate cause.

 

Carenza assistenza sanitaria in Italia

 

L’Italia ha avuto negli anni scorsi uno dei più alti numero al mondo di medici per abitanti, 405 su 100mila abitanti nel 2019 (dati openpolis su eurostat). Il numero assoluto però non è tutto. Infatti, come sottolinea l’Ocse, a essere significativo non è solo il personale sanitario disponibile, ma anche la tipologia cui esso appartiene. Un mix equilibrato tra medici di base e specialisti è, infatti, un ingrediente fondamentale per un buon funzionamento del sistema sanitario nazionale. In Italia non è stato e non è così. La maggior parte dei medici, infatti, sono dotati di specializzazioni spesso non confacenti con le reali esigenze della popolazione. Ad esempio nel 2020 avevamo circa 404000 medici con appena 44mila medici di base (di cui 33000 dovrebbero andare in pensione nel 2028) . Nel Regno Unito ad esempio, nello stesso periodo, ritroviamo 345 mila medici (molti di meno in proporzione agli abitanti) e 54000 mila medici di famiglia (General Practitioner). Sempre nel Regno Unito, patria della riforma sanitaria che noi abbiamo portato in Italia alla fine degli anni ’70, nel 2021, circa ¼ degli specialisti era di medicina interna mentre da noi circa 1/10. Lo stesso si dica per la chirurgia generale che riguardava il 17.7% ed anestesia il 13.2%, mentre, in Italia, erano, rispettivamente, il 3% ed il 5%.

Ciò ha la sua fondamentale importanza poiché se guardiamo all’epidemiologia sanitaria degli ultimi 50 anni la popolazione, come accade in quasi tutti i popoli del mondo occidentale, è affetta principalmente da malattie croniche non trasmissibili come l’ipertensione arteriosa, le malattie cardiovascolari, il diabete mellito, le malattie polmonari ed i tumori. La condizione fondamentale è poi che quasi sempre tali malattie coesistono tra di loro fondamentalmente per la concomitanza dei fattori di rischio che li causano. Occorre quindi chiaramente un approccio globale, generalista e competente che non frammenti l’assistenza per dare le migliori e più appropriate cure nel minor tempo ai cittadini. Solo così potrà essere essere garantita una maggiore aspettativa di vita che però sia associata ad una adeguata qualità della vita. Cosa che, nell’economia della Nazione, si traduce in un intervento più efficace ed efficiente. Alcune attività, poi, come avviene in altre nazioni sanitariamente evolute, potrebbero essere devolute a figure professionali più semplici e meno dispendiose da formare, come ad esempio gli infermieri di famiglia o del territorio che potrebbero giocare un ruolo non indifferente nell’efficientamento del servizio.

Nel 2020 si è manifestata l’epidemia di COVID-19 che ha evidenziato tali carenze poichè soprattutto ha colpito una popolazione con pluripatologie. Carenze di organizzazione e programmazione non indifferenti pur nell’impegno che tutti gli operatori sanitari hanno messo nell’adempimento del loro dovere. Ma questo sarà compito di una commissione parlamentare che soprattutto dovrà servire per poter affrontare, in futuro, con più consapevolezza e competenza tali problematiche. Ricordiamo che la salute è un valore cardine e fondamentale per tutti i cittadini e che le Università oltre a svolgere attività di ricerca e di studi nascono e sono presenti in Italia per garantire, in termini di programmazione, non chi detiene le strutture formative, ma i cittadini italiani. Salutiamo quindi positivamente l’orientamento di questo Governo ricordando che, a nostro parere, occorrerebbe infine incentivare il ri-orientamento degli specialisti verso le figure maggiormente carenti, ricorrere a percorsi alternativi a quelli universitari, con una formazione sul campo tramite le aziende sanitarie e ospedaliere e, da ultimo, agevolare il ricorso a competenze italiane recatesi all’estero, magari incentivando il ritorno di medici formati in Italia.

Guido Guida

Articoli correlati