Caproni chi era costui?

Perché, perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba, cantava Celentano

Giorgio Capronio libro copertinaIl titolo non può essere che quello su riportato. Tanto è “assolutamente” dovuto al …manzonismo che fu degli stenterelli e resta nella nostra scuola. Magari! Già, quel Manzoni, “un di quei capi un po’ pericolosi”, quel tal Sandro non è poi così male da studiare al liceo… Sì, non si può non pensare al problema di Don Abbondio di fronte al nome di Carneade, filosofo minore, ma neppure troppo. “Chi era costui?” Si chiede il curato… Poeta minore è certamente Giorgio Caproni

Già, chi era costui? Molti studenti se lo sono certo chiesto, trovandosi sotto gli occhi la lirica “Versicoli quasi ecologici”, tra le tracce ministeriali proposte per il tema di maturità. Avevano fatto i loro pronostici, ma avevano il torto di seguire una logica, legata a ciò che avevano studiato, all’immanenza di cronache e di politica recente, più fresca meno edita, ma immediata. Oppure un pezzo del programma svolto…

Perché, in effetti, quella di Caproni è una voce poco nota, ma una logica ce l’ha. E’ quella trita e negata da Zichichi, Rubbia, Prodi, i massimi esperti italiani: la logica del dramma ecologico.

Sì, perché quei “versicoli”, così definiti con modestia e basso profilo dallo tesso autore, altro che …quasi ecologici? Erano la sola cosa cui ci potesse appigliare, parlare di surriscaldamento, specie animali e vegetali in via d’estinzione ed altre amenità. Buonismo, perfettismo, morale delle regole: ecco gli ingredienti di maniera indispensabili ad …un buon tema.

Non c’è che dire. Chi ha pensato il tema conosceva Caproni, ma probabilmente il caprone era lui. Ma sì: perché non riesumare un poeta “meno noto”, che con i suoi “versucoli” con decine d’anni d’anticipo preconizza i problemi d’ecologia con alle spalle l’immancabile patente del partigiano? “Perdio, a questo Caproni non manca proprio niente!” E la classica idea da “leggi dei picciriddi” (vedi articolo su questa rivista). La protagonista è la “ministra” Fedeli? Quando arriverà al ministero qualcuno che, almeno, sia stato a scuola? Ma la “malattia” è diffusa: ti svegli al mattino, ti viene in testa un’idea… E, perché no? La applichi! Così, si fa! Se poi è tutta una castroneria? Che cale? La nostra vita oggi ne è piena: una fra le tante…

Nei programmi scolastici, che spesso, per ragioni di tempo, si fermano a Saba e Montale, questo autore viene, figuriamoci, di solito ignorato o a malapena menzionato. Ma il suo contributo alla poesia italiana del Novecento c’ è stato…

Pasolini lo definisce una delle voci più libere dell’Italia del ‘900. Elisa Donzelli, una specialista di livello universitario, gli ha dedicato un libro: Giorgio Caproni e gli altri.

Ad approfondire il personaggio, l’opera e il resto, “si rischia” di scoprire che è uno di quei personaggi, di quei “punti” della cultura meno obsoleta che varrebbe la pena di studiare in una scuola puntualmente estranea …alla vita. Diciamo così a seguito dei nostri recenti articoli: l’arte è niente senza la vita e così anche la cultura e la stessa scienza…

Forse sarebbe tempo di inserire nei programmi seri approfondimenti su Joyce, Ezra Pound ed altri autori che hanno innovato e rifondato il linguaggio e la tecnica narrativa. Non lo si fa ancora, non lo si fa abbastanza…

Nato a Livorno nel 1912 – vediamo comunque chi fosse Caproni – a 10 anni Caproni si trasferì a Genova, città destinata a segnare in maniera indelebile la sua esperienza letteraria…

“Là sono uscito dall’infanzia, là ho studiato, son cresciuto, ho sofferto, ho amato. Ogni pietra di Genova è legata alla mia storia di uomo. Questo e soltanto questo, forse, è il motivo del mio amore per Genova, assolutamente indipendente dai pregi in sé della città. Ed è per questo che da Genova, preferibilmente, i miei versi traggono i loro laterizi”.

La vita e la personalità di G. Caproni.

Negli anni dell’adolescenza a Caproni si preparava un futuro da musicista. Studia violino e composizione. Egli stesso racconta di aver scritto le prime liriche proprio come complemento ai suoi brani musicali. “Poi il musicista è caduto ed è rimasto il paroliere”. In seguito, l’incontro con i versi di Ungaretti e Montale gli dischiude un nuovo mondo. Non mancano i primi rifiuti dagli editori, con freddi: “si faccia prima le ossa”. Negli anni ’30 arrivano le raccolte poetiche “Come un’allegoria” e “Ballo a Fontanagiorda”, primi passi di un’intensa esperienza letteraria che lo vide poi anche come critico e traduttore. Tra le raccolte successive spiccano “Il seme del piangere” (1959) e “Il muro della terra” (1975).

Caproni muore a Roma nel 1990. Temi ricorrenti della sua poetica, l’amore per Genova, il sentimento per la madre, il viaggio. Benché capaci di esplorare alcuni abissi dell’animo umano, i versi nascono anche da un confronto con il quotidiano, non hanno paura di prendere colori e sapori della strada. Dominano gli oggetti semplici, le atmosfere nebbiose dei bar. Lo stile che ne deriva è insieme ricercato e dimesso. Talvolta riesce a esprimersi con sintesi folgoranti, pur nella loro crudezza: …Un’idea mi frulla, | scema come una rosa. | Dopo di noi non c’è nulla. | Nemmeno il nulla, | che già sarebbe qualcosa.

La solitudine dell’essere umano di fronte ai drammi della storia, la riflessione su un Dio, spesso negato (…Dio onnipotente, cerca – sfórzati – a furia di insistere – almeno di esistere), e la compresenza, solo apparentemente assurda, di pessimismo e vitalità sono alcuni tratti ricorrenti. Si potrebbe obiettare: ancora pessimismo? A scuola? Con tutti i guai che “frullano in testa” ai nostri giovani? Tutti convinti che la generazione precedente abbia mangiato i loro polli? Ma oggi i polli di allora sarebbero ancora vivi? “Non amo che le rose che non colsi”, diceva G. Gozzano, perché capiva, almeno, che le rose scompaiono se non le cogli in tempo… La nostra scuola, assieme alla “cultura” prevalente in Italia si crogiola nel pessimismo, spiegando tante cose, ma non a che servono questi quattrini, leggendo De Filippo. E, quindi, quale differenza vi sia fra la finanza – i pezzi di carta – e l’economia reale, cioè la capacità di produrre, di trasformare i semi in zucche, le uova in polli, il ferro in macchine e via dicendo…

Un ruolo rilevante, nella poetica di Caproni, spetta al paesaggio naturale. E infatti a questo tema sono da ricondurre i “Versicoli quasi ecologici” proposti nella traccia di maturità. In tempi di cambianti climatici e scontri sulle politiche a lungo termine, questi versi “rivelerebbero” una straordinaria attualità. Ma, quanto ad intuito sul tema, a parte Adriano Celentano, troviamo esempi a partire dai più antichi filosofi: sarà corretto modificare la natura? Domanda vecchia quanto Socrate, Platone, Aristotele e persino il buon Carneade… Questi osservava: “d’accordo, anch’io sono uno scettico, ma vogliamo salvare, almeno, l’evidenza?” Un concetto difficile per Platone… Da Galileo in poi l’esperimento ripetibile è divenuto quasi il perno del sapere. Ma, sempre fra gli ecologisti “antesignani”, enumeriamo facilmente San Francesco, più di “recente” Giuseppe Parini… Questi si chiese già di che qualità fosse l’aria di Milano! Il Parini è come “le calosce” di Renato Rascel in “E’ arrivata la bufera”… Ma dico, questo Parini, in Italia, lo vogliamo studiare? E con esso magari gli economisti Maffeo Pantaleoni, Vilfredo Pareto, Luigi Einaudi, Francesco Forte? Sarebbe come comprare al Pierino della canzone le calosce con le quali camminare un po’ meglio sul bagnato. Ma, tant’è…

Ecco ora a voi Giorgio Caproni. Il mondo è pieno di signor nessuno che …non sono male.

Non uccidete il mare,

la libellula, il vento.

Non soffocate il lamento (il canto!) del lamantino.

Il galagone, il pino:

anche di questo è fatto l’uomo.

E chi per profitto vile

fulmina un pesce, un fiume,

non fatelo cavaliere del lavoro.

L’amore finisce

dove finisce l’erba e l’acqua muore.

Dove sparendo la foresta e l’aria verde,

chi resta sospira

nel sempre più vasto paese guasto:

Come potrebbe tornare a essere bella,

scomparso l’uomo, la terra.

Peccato che gli studenti di questo Caproni non sapessero niente. Non lo diciamo certo per questi versi un po’ ovvi… Almeno, però, moderni. Peccato anche che ancor meno ne sapranno negli anni a venire. S’era detto e ripetuto che gli esami dovessero riguardare argomenti noti, ma… Così va la scuola in Italia… Anzi: non va.

Teacher

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