Contenti e Gabbani

Saremmo delle scimmie, ma anche lui non scherza… Il pessimismo di Gabbani batte l’ottimismo della Mannoia

Ha vinto Gabbani! Ma chi è? Nel Festival senza fiori – il 67mo – il migliore è stato Totti. Con i big che hanno cantato canzoni da mercato delle pulci (cioè, dove le hanno trovate?), tranne Ron, che ne aveva una decente, ma è stato stroncato nel numero assieme agli altri, il migliore è stato Francesco Totti. Sì, lo hanno notato tutti… Anzitutto non ha cantato, così come Crozza, secondo piazzato nella classifica “reale”. Oltre a ciò, “Er Pupone” sorprende, perché recita con la naturalezza che è solo dei veri attori, stroncando, dopo anni, chi all’inizio diceva, che non poteva essere intervistato, al contrario di Del Piero che …sapeva anche parlare oltre che prendere a calci l’amato (da alcuni) e vituperato (da altri) pallone…

Francesco Gabbani, dunque, ha vinto e ti dicono che sei tu che sei un ignorante, perché aveva già vinto le Nuoive proposte. Già, un altro degli errori, un’altra pletorica kermesse che ne copia altre già pletoriche da anni. E’ il difetto di tanti (tutti?) festival. Da quanto tempo è difficile ricordare chi abbia vinto? Figurati quelli dei giovani sonosciuti…

Anche Crozza, pagato da Sanremo, così, non esita a dire “dupalle…” I più seguono il Festival perché è pur sempre un evento, una gara, perché è pubblicizzato da matti, perché l’indomani sarebbe vergogna dire: “non ne so nulla”.

A Sanremo 2017, vince la canzone Occidentali’s Karma e non è un onore per la storia del Festival. Non lo è perché è una canzone senza musica, senza melody direbbe Louis Armstrong, poco più di un rep, con una musichetta piuma: tre quattro note messe insieme, che puzzano di copiato lontano un miglio!

Karma? E perché? Il testo parte da un’impertinenza a buon mercato: è corretto “buttarla” lì che il karma orientale sia la fede ideale? Procede poi melenso con la sola voglia scontata di sorprendere… Niente o pochissimo di più: iI pregio è, secondo un vecchio adagio non privo di logica, che sia una canzone in cui amore non fa rima con cuore. Parla d’altro… Quest’altro, però, è la cantonata più conformista del momento, in linea con un dejà vu intempestivo: la società opulenta, la società consumistica è sbagliata, l’occidente fa ridere, va preso a sberleffi. No, questo non è il momento di ripetere – come fin troppo si fa – il ritrito ritornello anticonsumistico. Oggi bisogna rilanciare la crescita e lo sviluppo, sia pure in forme rinnovate: i consumi devono ripartire. Perché se non ripartono i consumi, non riparte la produzione e, se non si producono vecchi e nuovi beni e servizi, non c’è ripresa, non si va avanti. Non si “creano” i proverbiali nuovi posti di lavoro. “Gaudemus, igitur, juvenes dum sumus”. Consumiamo dunque, finché ne abbiamo le forze! Se non consumiamo, gireremo la ruota della produzione e troveremo scatole vuote! Tutto ciò, misteriosamente ma evidentementemente, qualcuno lo vuole!

Il vero scandalo, infatti, è che, di fronte ad una enorme capacità di produrre tutto ciò che serve al “primario”, cioè cibarie, vestiario e abitazione, ma anche al secondario, cioè beni accessori e comodità varie, vi sia uno stato endemico di bisogno. Che si metta in dubbio il welfare, che non si creino nuove attività produttive (anche qui beni e servizi) per moltiplicare le occasioni e i posti di lavoro, che non si inneschi lo sviluppo e si propaghi il know how nel terzo mondo…

Si parla, invece, di carenza, di impoverimento del pianeta, mancanza d’acqua ed altre amenità – mere panzane – secondo una logica che può determinare la creazione di monopoli dei beni necessari, indispensabili…

No, la logica che vede nell’ Occidentali’s Karma l’errore non è falsa, ma certo intempestiva. La canzone, se così si può chiamare – anche se gli esperti ci vedono vari riferimenti ai generei contemporanei – è uno scherzo, ritmata in modo ironico e blasfemo. Irride “di rito” al web. Addita, si è detto, il “goffo” tentativo dell’occidente di trovare un karma di tipo orientaleggiante. Ma esiste ancora un Occidente? Ben poco: tutto il mondo tende senza esitare a divenire Occidente, perchè ciò significa mangiare, vestire e persino divertirsi… Il verso, però, si fa anche più serio: non prende in giro la religione, ma un po’ ogni religio: Gabbani sa di riferirsi da un lato ad Eraclito e dall’altro a Lucrezio, ma questo è un male. Certi discorsi “non entrano” in una canzonetta e di tutto abbiamo bisogno, al momento, tranne che della dissacrazione. Di essa son pieni, già, i pozzi…

Gabbani ricorda un po’ Rino Gaetano, ma questi era ben più spiritoso e più artista. Fu un umorista che, cantando, dissacrava facendo nomi e cognomi senza preconcetti politici.

Ma tutto Sanremo quest’anno ha funzionato male, dopo l’evoluzione delle due precedenti edizioni formato Carlo Conti, che avevano rilanciato lo smoking e un minimo di eleganza nei modi, pur non giungendo all’eleganza vera, allo stile che vorremmo vedere in una esibizione mondiale dell’Italian Style – che non rinunzi ai fiori sanremesi in palcoscenico a favore di luci psichedeliche – che porti personaggi di autentico stile e livello, abiti e toilette femminili di autentico pregio…

Son mancate – come è stato notato – anche un paio di belle donne, vallette o altro. Insomma: poco di qua, poco di là… Ma son mancate soprattutto, ancora una volta le canzoni. Qualcosa di buono come Bianca Atzei e il suo Esisti solo tu rischia l’esclusione. Come l’onesta canzoncina di Ron, la solita: lui cambia di poco le parole, di poco la musica.  Abbiamo rimpianto Il Volo e il loro barare, allo stile di Bocelli, presentandosi da lirici in un contesto di “vocine”. Ma le migliori di queste, dalla Pausini ad Arisa, non c’erano. Giorgia era a mezzo servizio.

Sarebbe stato meglio premiare alla carriera la volitiva Fiorella Mannoia: ce l’ha messa tutta, dandoci dentro con la voce e con il recitativo, dopo essere diventata una “impegnata”. Il conformismo dell’anticonformismo imperante, cliché dopo cliché, avrebbe potuto premiare lei. Ma ha commesso un grosso errore: lanciava un messaggio ottimistico e costruttivo, con Leibnitz e, se vogliamo, con W.Churchill: il nostro è il migliore dei mondi possibili. Due messaggi opposti si sono scontrati…

Inoltre era in gara un vincitore di festival. Il cantautore toscano, F. Gabbani, lo scorso anno si era imposto tra le Nuove Proposte con Amen. Ci sono persone che prendono sempre 30 agli esami e poi superano presto i concorsi. Ma qualcuno, persino, lo merita: sì, una vittoria dopo l’altra… I telespettatori, invece, ormai “tassativamente tassati” dal canone Rai, prendono bidonate e sono stati puntualmente contenti e gabbati. Anzi: contenti e Gabbani.

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A posteriori si può dire che Sanremo da anni si deve prendere così com’è, come capita. E gli italiani lo fanno. Il popolo che paga l’Imu, nonostante sia incostituzioale, l’Iva al 22%, il carburante più caro del mondo, il 60% l’anno di imposte rispetto a ciò che si guadagna e viene tacciato d’essersi “mangiato il futuro”, è avvezzo a sopportare tutto. Lo fa da quando era governato da tiranni d’origine stranira, magari italianizzati, ma decisi al dispotismo, appena ammorbidito dal paternalismo. Ma il secondo è demodé. Agli italiani di oggi non resta che sopportare il soppruso: eleggono democraticamente i loro sindaci, i loro governanti e questi non aspettano altro che prendere il posto dei vecchi Re, alla Borbone e alla Savoia, contro i quali occorreva barricarsi per strada. Gli italiani vivono “border line” e fanno letteralmente miracoli in una continua gimcana fra una legge capestro e l’altra. Il governo predica la legalità, ma non dà il buon eempio. Il tenore di vita si salva grazie al nero e al sommerso. Anche le barricate, infatti, sono demodé…

Infine, Sanremo ha fatto da buobna rampa di lancioo alla canzone vioncitrice che sta avendo buon risultato all’estero in questo esordio. Tuttavia, restiamo dell’avviso ch possa esser vrgogna, per il paese de O Sole mio, Torna a Surriento, Resta cu me, Com’è bello a fa l’amore quanno è sera, Volare etc, presentarsi con questo “scherzo” come canzone campione. Uno scherzo simpatico nei toni, ma ripetiamo intempestivo – quindi melenzo –  senza melody ed errato nel contnuto.

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