La Francia e l’aborto divenuto diritto costituzionale. La vittoria dell’aborto o la sconfitta dell’umanità?

La recente approvazione, in Francia, della legge che inserisce il diritto all’aborto in Costituzione costituisce un grande passo indietro sulla strada del progresso e della civiltà. Quando si arriva addirittura a celebrare la soppressione di una vita come se fosse una vittoria non si è più in presenza di un progresso dell’umanità ma di una sonora sconfitta.
La nascita di un bambino è un evento che, istintivamente, suscita, da sempre, gioia e stupore. È la vita che continua, è la speranza, è l’energia che porta aventi il mondo.
La “cultura” di morte oggi imperante, che paradossalmente afferma di essere liberatoria per l’essere umano, è in realtà tutto il contrario, cioè intrinsecamente tirannica. L’ “etica odierna” si fonda sul relativismo, abbatte i principi universali cercando poi di attribuire diritti a categorie o gruppi particolari, ma in tal modo non si accorge di indebolire i diritti di altri soggetti. È un’etica che si fonda sull’edonismo e sul consumismo, come ampiamente mostrato nelle pubblicità cui quotidianamente assistiamo, dove viene continuamente affermato il diritto di possedere qualcosa, anche recando danno o dispiacere a qualcun altro. Il diritto oggi si è trasformato nel dovere di fare innanzi tutto del “bene” (bene inteso in senso superficiale, consumistico e voluttuario) a noi stessi. È anche “l’etica” della deresponsabilizzazione: il fine della nostra vita sarebbe la piena soddisfazione dei nostri appetiti, di qualunque genere fossero, sia pure degradanti o lesivi della libertà o dignità di altri soggetti, perché l’unico scopo della vita è la ricerca del piacere, inteso poi nel modo più superficiale e materialistico possibile. Quanto poi “tali piaceri” renderanno effettivamente felici e soddisfatti gli esseri umani è tutto da vedere. L’ozio, i vizi, gli eccessi si sa quanto facciano bene e quali conseguenze portino alla salute del corpo e dell’anima, ma “la tanto sbandierata modernità” preferisce ignorare qualunque invito alla riflessione e alla morigeratezza.
È stata, infatti, la società dei consumi (con i suoi mentori e sponsor) a distruggere i principi e i valori fondanti dell’umanità e a costruirne altri materialistici, artificiosi e deleteri.
Un tempo si diceva che il mio diritto termina difronte al diritto di un altro, altrimenti non è più un diritto, ma una prevaricazione.
Non va, inoltre, dimenticato che non possono sussistere diritti dove non sussistono doveri. Solo i doveri rendono possibili i diritti, ne danno concreta attuazione. Inoltre, il diritto alla vita
costituisce uno dei principi fondamentali della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il cui primo articolo recita così: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”,
mentre il secondo dice: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.”
Se, infatti, cominciamo ad attribuire ad alcuni soggetti o gruppi il diritto di decidere sulla vita di qualcun altro essere umano non stiamo facendo altro che togliere il diritto di vivere ad un altro soggetto con la conseguenza di finire per affermare il diritto del più forte sul più debole.
La difesa della vita come principio assoluto non negoziabile, che deve precedere qualsiasi altro tipo di diritto, eventualmente da tutelare, ma in subordine, non è da considerarsi come qualcosa di superato difronte all’avanzata dei cosiddetti “nuovi diritti”, ma al contrario come l’essenza stessa del principio di libertà. L’errore contenuto nell’ “etica relativistica” è da ritenersi nella confusione tra libertà e licenza: la libertà dell’uomo ha un alto valore quando comprende i principi del rispetto degli altri, della fratellanza, della crescita culturale ed economica della società e così via. Se la libertà si svilisce in licenza di fare ciò che ci aggrada senza alcun vincolo di carattere morale, la conseguenza che ne deriva è quella di far crescere una moltitudine ignorante, rissosa, egoista, violenta, incivile, un po’ quello che vediamo ogni giorno intorno a noi.
Il problema ha due aspetti da tenere in considerazione: quello etico e quello economico, se studiati senza pregiudizi portano entrambi ad una medesima conclusione: la vita va difesa fin dal concepimento senza se e senza ma.
In futuro, ma è già così anche adesso, perché le leggi attuali consentono alle donne di abortire, un bambino o una bambina nascerà solo se la madre lo vorrà, ma togliere il diritto alla vita al nascituro comporta anche molte conseguenze negative per l’umanità, che ora passiamo ad esaminare.
Le conseguenze negative che l’aborto provoca, ancora prima che colpire l’umanità, colpiscono proprio la donna che vi fa ricorso.
Contrariamente a certa “vulgata” la donna, tramite l’aborto, non si libera da un invasore, ma di suo figlio, carne della sua carne e questa non è un’ideologia, ma la realtà: il legame fra madre e figlio, oltre ai profondi aspetti psicologici, ha anche una concretezza fisica, biologica: una scoperta relativamente recente è quella del microchimerismo, cioè il fatto che, durante la gravidanza, alcune cellule della madre, attraverso il cordone ombelicale, migrano nel feto e che altre del figlio fanno il viaggio inverso. Queste cellule, essendo pluripotenti cioè potendosi evolvere (a differenza delle cellule adulte) in qualsiasi tipo di cellula vanno a integrarsi negli organi della madre, in particolare dei polmoni e del cervello e possono rimanervi per molti anni dopo il parto e probabilmente per tutta la vita. Quindi una madre porta in sé la traccia biologica di tutti i figli che ha avuto e anche di quelli che ha abortito, volontariamente o meno. Quali siano poi gli effetti di questa colonizzazione è ancora materia di studio ma sembra che apportino alcuni benefici, per esempio nella cicatrizzazione delle ferite. Naturalmente ciò avviene anche nelle gravidanze surrogate, a ulteriore dimostrazione di quanto sia disumano strappare un figlio alla donna che, se pur non geneticamente madre, lo è però da ogni altro punto di vista.
Per tornare al tema dell’aborto, la soppressione del piccolo esserino costituisce una sorta di amputazione, non è affatto un’operazione indolore per la madre, ma qualcosa che le provocherà gravi sofferenze psichiche, tanto da dover ricorrere spesso a cure e sedute di analisi per superarle. Se a questo, poi, aggiungiamo che in molti casi quella della donna non è affatto una scelta libera, ma imposta o condizionata da vari fattori ci rendiamo conto che “l’aborto non è affatto una scelta femminista”, ma al contrario essenzialmente antifemminista. Di fatto, c’è tutta una società (compagno, famiglia, stato) che volta le spalle alla donna e la obbliga a privarsi del figlio. La donna che ricorre all’aborto, in molti casi, è un soggetto debole socialmente, economicamente, culturalmente, un soggetto che andrebbe aiutato e non respinto.
Accade addirittura che le donne che decidono di tenersi il figlio, nonostante le difficoltà da superare, siano additate alla pubblica esecrazione, vengano criticate, derise, licenziate.
È questo il femminismo che vogliamo?
Per dimostrarlo basta osservare le conseguenze catastrofiche cui l’aborto ha già portato dove è diventato legge. Ad esempio, in molti paesi del mondo vengono abortite soprattutto bambine perché i genitori preferiscono avere figli maschi. Così, ad esempio in Cina, al momento mancano 40 milioni di donne e a molti uomini riesce difficile sposarsi. La preferenza per il figlio maschio ha portato una conseguenza nefasta proprio per gli uomini. Nei tempi recenti, però, il governo cinese si è reso conto del disastro e ha abolito le politiche antinatalistiche sostenute per anni, politiche che oggi stanno danneggiando notevolmente il paese anche dal punto di vista economico. Nella vicina India, invece, dove la politica di contenimento delle nascite non c’è stata, sta per avvenire il sorpasso economico del paese nei confronti della Cina.
Parliamo poi dei disabili, attualmente, è previsto che la mamma di un bambino con probabile disabilità può decidere di abortire, ma è evidente che in questo caso il motivo non starebbe più nelle difficoltà economiche o di altro tipo se si trattasse di una madre che ha deciso liberamente di avere un figlio, ma subentrerebbe, invece, una scelta eugenetica.
L’eugenetica ha origini antiche, per cui non può essere considerata moderna. Fin dall’antichità c’è stato chi ha teorizzato che gli esseri umani con malformazioni o difetti fisici o psichici andavano eliminati perché considerati un peso per la società.
Le politiche eugenetiche in passato spinsero, ad esempio, all’adozione di politiche estremistiche come quelle di pagare quelli che si riteneva avessero dei geni cattivi per farsi sottoporre volontariamente a sterilizzazione fino a giungere alla segregazione razziale, alle legislazioni contro la mescolanza razziale, ai tentativi di genocidio.
A volte, l’essere umano, credendo di fare scelte etiche produce invece disastri. Va considerato anche il fatto che i grandi progressi della medicina di oggi hanno reso curabili malattie che una volta non lo erano, per non parlare, altresì, delle protesi, degli arti meccanici, insomma di un diverso approccio al mondo della disabilità, rispetto al passato, che mira al pieno inserimento sociale, superando l’esclusione di una volta.
Per concludere i sostenitori dell’aborto, spesso persone in buona fede, convinte della necessità e utilità dell’utilizzo di un simile mezzo di limitazione delle nascite, non si accorgono di provocare, nel contempo, gravi discriminazioni razziali, di genere o politiche
eugenetiche, tanto care a noti dittatori.
Non dimentichiamo che, un tempo, anche molte anime belle sostenevano la necessità della schiavitù con dotti argomenti.
Dietro l’accanimento abortista (ed eutanasico) si nasconde anche la preoccupazione che lo stato non potrebbe sostenere economicamente molte nascite o, in generale, il welfare familiare.
Per confutare questa convinzione, di osservazioni da fare ce ne sarebbero parecchie, ma non vogliamo dilungarci. Diciamo solo che certi risparmi a volte sono solo apparenti perché se non nascono più bambini le conseguenze per un paese alla fine sono drammatiche.

Lydia Gaziano Scargiali

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