La strana storia del signor Riina

Totò Riina non perse lo spirito mordace nell’aula del maxi processo
Il magistrato Nino Dio Matteo
Il magistrato Nino Di Matteo

Salvatore Riina e la storia dei “non sense” italiani. All’improvviso sembra “normale” che ci si preoccupi della morte dignitosa di un ergastolano. Come se fosse “cosa di sempre”. Fino all’altro giorno qualcuno perorava il ritorno alla pena di morte. Ora è normale che da fonte togata si perori la morte dignitosa di chi è sfuggito alla pena di morte. Intendiamoci: siamo nella terra di Cesare Beccaria. L’Italia, se ogni tanto lo ricordasse, è la culla del diritto, la patria del garantismo, del diritto alla difesa, dei 3 ordini di giudizio, più un quarto alla Corte Costituzionale, se è il caso… Tranne a buttar via la chiave di miriadi di detenuti, tenuti come gli animali… L’esperienza esternata da Cuffaro docet.

Terra bruciata intorno a noi! Perché, per eccellenza, Riina e Cuffaro sono due geni del male, sono il male per antonomasia, come Hitler lo fu in Germania, Mussolini in Italia sul piano politico, la Repubblica di Salò fu Sodoma, Gomorra ed altro ancora: tutto insieme. Perfettamente d’accordo? O no? Esiste il male assoluto? Sì? O no? In linea di massima, quindi, se ci ricordassimo sempre che l’Italia è culla del diritto, terra di Beccaria, chi scrive è d’accordo: scarceriamolo, concediamogli una morte come tutti. Significa capovolgere la clessidra della storia: siamo agli antipodi della sedia elettrica. Chi sa che “in cuor suo” il perdono finale non favorisca il suo pentimento? Chi sa che questa larghezza terminale non dimostri la grandezza dell’umana giustizia moderna…

Il problema, tuttavia, è un altro: che quel po’ di malizia senza il quale Madre Teresa diceva che non puoi essere nemmeno un buon santo, ci fa pensare di trovarci di fronte ad una nemesi, alla quadratura di un cerchio, alla sintesi finale di un teorema di cui avevamo visto con sufficiente chiarezza i due elementi base, tesi e antitesi…

Sono tanti, del resto, gli aspetti della vita nazionale che restano privi senso.

Gli inglesi iniziano certe storie con la battuta “when God was a baby…”. Ebbene partiamo da una vecchia storia, un aneddoto già pubblicato da chi scrive…

C’era una volta un Re…. No, ma neanche un pezzo di legno. C’era un sindaco di un paese siciliano “ad alta densità mafiosa”. Parlando a bassa voce, appunto, con chi scrive queste sperdute righe, …sbottò: “…ma questa non è la mafia. La mafia è tutta un’altra cosa. Non è che la vedi, non è che la senti sparare…”

Era il concetto che chi scrive sosteneva puntualmente in famiglia e con gli amici. Si affollavano, però, nella mente, mentre parlava il sindaco “che c’era una volta”, i ricordi di che cosa da bambini ci avevano soffiato che fosse “il capomafia”: né un contadino armato di “scupetta” a lupara, poi di kalashnikov, oggi di “arruciatori” modernissimi, né l’uomo politico tronfio, che grida in piazza durante la campagna elettorale e divide, poi, i soldi degli appalti. Il capomafia era …l’ultimo che ti aspetti che sia. Era come il colpevole dei romanzi di Agata Christie, Edgar Wallace, Conan Doyle, Ken Follet… Non faceva niente direttamente – almeno all’apparenza – ma niente si faceva in giro che lui non sapesse e non avesse deciso o approvato. Tranne qualche sgarro che “lui” non doveva perdonare. Eppure, segretamente, alcuni cercavano di sgarrare… Tentativi di escalation: invasioni, troppa crescita che possono portare chi ha sbagliato “dritto dritto” persino nelle mani della …antimafia. Siamo al noto: “u fannu pigghiare”. A volte (l’abbiamo visto e rivisto) viene “preso” anche uno dai notabilati superiori: allora è stato escogitato un reato dalla raffinatezza bizantina. Tutti sappiamo della “fattispecie giuridica” della …collaborazione esterna ad associazione mafiosa. Questo anomalo reato serve anche a sancire che la mafia è quella “dei Riina”, alla quale “si può” peccaminosamente aderire “dall’esterno”… Qui l’epurazione è, ovviamente, interna al palazzo. Perché gli agganci, gli addentellati, senza soluzione di continuità, sono dappertutto. Ed anche gli sgarri…

Tutta la mafia in sé, compresa la relativa lotta, come fenomeno, è di questo genere. Zeppa di sgarri e rappresaglie… Perché c’è – certamente – la criminalità organizzata, quella che l’antimafia e i media, allineati e coperti, in Sicilia e nel Meridione d’Italia chiamano mafia (o con altri coloriti appellativi) ed ama anche, essa stessa, d’esser chiamata “la mafia”. Ci si crogiola, se è vero che si dice imiti i modi del padrino alla Marlon Brando, alla Al Pacino, all’americana, alla Mario Puzzo… E’ il fenomeno criminoso pittorescamente dipinto da Camilleri, che si ferma dov inizia il mistero – se è tale – della stessa imbattibilità…

Ma “…questa non è la mafia”, precisava il sindaco che “c’era una volta”, in perfetta sintonia con chi scrive queste righe.  La criminalità organizzata, che in Sicilia e nelle regioni meridionali presenta un alone più pittoresco che altrove, è presente in tutto il mondo. C’è dove “funziona meglio” e dove peggio. Che cosa significa funziona meglio? Significa che vive in simbiosi col sistema. Per esempio con la vera mafia e con l’autorità costituita. Questo perché? Perché, pur essendo un male, la criminalità organizzata preserva la società da un male peggiore. Quale? Un mondo pieno di cani sciolti: la criminalità disorganizzata

Ora viene il punto saliente e cruciale. Ora è difficile: “Quivi – direbbe Dante – cominciano le dolenti note a farmisi sentire”. Perché la domanda è da Lubrano e si pone spontanea: “c’è soluzione di continuità fra la vera mafia, che ha un’organizzazione di stampo massonico e la criminalità organizzata?” La risposta è no! Anzi, c’è un rapporto strutturale senza soluzione di continuità, ma con probabili punti di aggancio meno noti: contati periodici, cupole metodiche o estemporanee, messaggeri con pizzini? Probabilmente di tutto un po’… E “la vera mafia”, fatta di notabili dei notabilati ha agganci dappertutto? Certo!

Fa sorridere sentir dire in Tv se c’è o non c’è ancora una cupola, dopo le supposte “vittorie” dell’anti mafia. Vuoi che i capi mandamento agiscano ciascuno a modo proprio? Vuoi che il livello alto dei notabilati che sovrintendono alla criminalità organizzata e se ne servono rinunzino ai collegamenti strutturali verso il basso? A parte quelli orizzontali e verso l’alto?

Un Totò Riina – che è stato capo di una criminalità organizzata di certo troppo cresciuta – su queste storie la sa molto lunga e sa certamente ciò che avvenne nei momenti nevralgici della storia mafiosa. Superfluo precisarli. Molti altri, intendiamoci, sanno bene qual è il bandolo della matassa e conoscono vari bandoli “importanti”. Solo che “quella più larga verità”, cui alludeva il sindaco di “c’era una volta” e chi scrive spiega da sempre a voce e per iscritto, è la base della carta da poker segreta che tutti i “mafiosi” incarcerati tengono in serbo, per venderla a pezzetti, mostrarla di sfuggita, meglio non mostrarla mai, in cambio di favori da parte di chi teme che certi “pezzetti” di verità – altro che pizzini… – vengano fuori.

Mettiamo che sia vero quello che in ambienti vicinissimi a Falcone e Borsellino si dice. Volete che nessuno sapesse, più o meno, il contenuto dell’agenda rossa? E c’era bisogno dell’agenda rossa per conoscere le indagini in corso e le intenzioni di Falcone e Borsellino e degli altri martiri della cosiddetta Mafia? Non si capisce che cosa dicevano Napolitano e Mancino nella telefonata distrutta? Come poterono – impunemente – distruggerla? Chi materialmente la cancellò?

Quando Riina “avvertì” strillando a voce alta dalla cella che il giudice Di Matteo gli aveva rotto le balle e che ne avrebbe “presto” ordinato l’uccisione era improvvisamente diventato cretino? Al punto da scoprire una carta così importante prima dell’eventuale attentato? Oppure volle offrire un alibi indirettamente a chi avrebbe voluto eseguire tale attentato? Ovvero volle dare lui a Di Matteo un mediato avvertimento tecnicamente inteso? Tutto al fine di ottenerne ricompense “soft” per i più: sgravi di pena etc?

Perché ci sono mille modi – almeno – per aiutare un ergastolano alla 41 bis…

Ecco, per inciso, chi è in realtà il giudice Antonino Di Matteo, più che un mero nemico di Riina, uno che ricorda “molto” i martiri di …mafia:

“Nato a Palermo nel 1961, il dottor Di Matteo è entrato in magistratura nel 1991 come sostituto procuratore presso la DDA di Caltanissetta. Divenuto pubblico ministero a Palermo nel 1999, ha iniziato ad indagare sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, oltre che sugli omicidi di Rocco Chinnici ed Antonino Saetta. Per l’omicidio Chinnici ha rilevato nuovi indizi sulla base dei quali riaprire le indagini e ottenere in processo la condanna anche dei mandanti, riconosciuti in Ignazio e Antonino Salvo, mentre per l’omicidio Saetta ottenne l’irrogazione del primo ergastolo per Totò Riina”.

Ma Riina non ne parlava da anni: era storia vecchia. Non fosse stato lui, sarebbe stato un altro. In Puglia un tribunale l’aveva pure rimesso temporaneamente in libertà… “Miracoli” di allora. Senza umana spiegazione come tutti i miracoli. Non era quello il problema…

Chi voleva intimidire chi? Lui, il “genio del male” parlava con Di Matteo o col sistema? Oppure – ma tremano le vene e i polsi – voleva dare una mano a qualcuno…

Ma insomma: secondo voi se Riina avesse voluto far fuori Di Matteo glielo avrebbe detto prima? Oppure, se avesse voluto intimidirlo, perché non infastidisse “la sua gang”, lo avrebbe fatto strillando da dentro la cella?

Gli assi nella manica di chi sta “dentro”, infatti, specie se abile e scaltro come una volpe, non mancano di certo: “la meglio parola è quella che non si dice, ma …si parra sta vucca…….”, cioè “si parrasse…”

Scaramacai

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Nota: Linteresse suscitato implica qualche altro chiarimento. La nostra idea – non sono altro che idee giornalistiche, forse – riguarda anche la “natura” del reato di mafia. Nulla è facilmente generalizzabile. Ma perché il fenomeno – considerato da certa logica responsabile di tutto il male della società – è visto, come per paradosso, anche e persino, bonariamente da tante storie e rappresentazioni cinematografiche? A volte semi comiche o comiche? La nostra spiegazione rende, scusateci, un po’ goffi anche gli inviti dei papi al: “convertitevi!” Se tanti “mafiosi ufficiali” hanno il Vangelo sul comodino, come raccomandano a tutti noi tanti confessori, e qualcuno ha un occhio benevolo per loro, è perché li interpreta come ribelli della società al pari degli anarchici (o similari ad essi). Intendiamoci: la società civile ha il diritto ed il dovere di difendersi da loro e di punirli, gli uni e gli altri, anarchici e mafiosi, non appena, effettivamente, delinquono. La mafia – indubbiamente – si schiera contro l’ordine sociale e fa guerra. Ma non si tratta di convertirsi. Convertiti già lo sono: è gente che non si rassegna alle storture ed ai gap che la società impone a chi non gode di …certe benedizioni. Accanto a loro, in tanti accettano – accettiamo – il ruolo gregario che la vita assegna ai più, con poche, difficili, a volte anche nulle, possibili alternative. Loro no: si accorgono scientemente o inconsciamente che un muro di organizzazione “civile” con tutti i crismi della legalità – o con la maggior parte di essi – tiene in piedi privilegi e “riserve di caccia”. E’ la …peggior società possibile, la nostra, già tolte tutte però le altre, di Sir Winston Churchill. In questo momento, ad esempio, i governi, per non fallire, spingono al fallimento i cittadini… Però, questa società è, insomma e comunque, la migliore che abbiamo saputo costruire. Molto lontana, certamente, dalla perfezione. (D.)

 

 

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