Muore Riina: un gangster entra nella storia del crimine ma ce n’è un altro con molte leve già in mano…

John Dillinger non era di origine italiana: qui il famoso fuorilegge è a destra con la mano in tasca. Mafiosi e Gangster americani (Chicago anni 30 3 40 etc) erano personaggi differenti da Riina e Provenzano. Tuttavia lo schema di allora può essere esemplificativo, i contatti con i politici e le lobby: in Usa un posto di manager si ottiene solo con la lettera di un paio di lobby. In Giappone “la mazzetta” viene consegnata “in chiaro”…

Eravamo stati espliciti. Niente dubbi nel nostro recente articolo “In morte di Salvatore Riina” sulle castronerie che ci tocca sentire sui media: Ma sì, usiamo termini italici, in quell’articolo siamo giunti a scrivere parole alla …moda, ma “vicine ai cabbasisi”, etimo accettato perché lo usa di continuo Montalbano. Non ripetiamo la volgarità: Castronerie va benissimo! Andiamo avanti, dunque…

Riina viene sottoposto ad autopsia e lo si giustifica in mille modi: certo è un mammasantissima… Er più… Una sola volta (mi pare) dalle orecchie ascoltiamo la sostanza, cioè la elementare verità: tutti coloro che muoiono in carcere vengono, per legge, sottoposti ad autopsia. Perché lo tacciono? Per aumentare il cosiddetto “effetto alone“. Perché è il giornale unico che, condannandolo con toni scandalistici (avete pensato quanti ne ha uccisi? Chiedono ripetutamente…), a fare dell’illustre defunto un eroe eponimo, sia pure negativo. Non siamo noi che, guardando il risvolto della medaglia, rischiamo di passare come giustificazionisti. No, non lo siamo. Ma, in realtà, Salvatore Riina viene classificato come “uno dei peggiori siciliani” della storia …per non aver voluto applicare la regola, a volte comoda, di calati junco che passa la china… Paradossalmente, ha fatto meglio, però, per aiutare lo Stato: non ha spiegato perché è sia stata distrutta la telefonata Napolitano – Mancino. Certo: è stata distrutta per  …salvare l’Italia… E lui, qui veramente eroe eponimo, ha dato una mano. L’ha data anche tacendo sul perché la sua casa non sia stata perquisita subito. L’ha data tacendo perché l’agenda rossa di Paolo Borsellino sia stata fatta sparire. E lui ha fatto tanto, a questo punto, il bene dell’Italia, con la quale ebbe un rapporto peggiore di quello di Dante con Firenze, che qualcuno lo ringrazierà, almeno in cuor suo… Certo, perché, pubblicamente riconosciuto come il “capo dei capi”, queste cose le sapeva tutte. Doveva saperle, o non sarebbe stato “lui”. Perché, poi, abbia fatto tutto ciò è un altro discorso…

La morale buonista afferma che un personaggio così si debba condannare, oltre che al carcere a vita, alla pubblica condanna in genere. E’ facile dimostrare, però, come da parte dei media non si rinunzi certo a creare ugualmente l’epopea. Perché non la crea chi guarda il lato umano e l’altra faccia della Luna, ma chi usa la lente sul lato inumano e sulla faccia banale: quella luna che vediamo in ogni notte senza nuvole! E i cronisti – maestri dello ….schiaffa il mostro in prima pagina – l’epopea e il mito li creano con nonchalance, con uno schioccar le dita…- Come avviene contante notizie, ripetute, ampliate, moltiplicate: è l’effetto alone, ciò che non si dice, ma cui si allude, che si dà per scontato anche se non lo è. E la connotazione al posto della denotazione… Essa favorisce la cordata “i tutti coloro che vi abbiano interesse”. Avviene per il clima, la carenza d’acqua, l’esaurirsi delle materie prime e dei mezzi di sussistenza, l’energia ed anche per il pizzo… I questi giorni è di moda dare per scontato che ciò per conta per la cosiddetta mafia è la droga: mercato sovra nazionale… E, forse, è quasi, la verità.

Quindi, tornando su un concetto, scompare uno che sapeva tutto sulle stragi di Stato, comunemente ammesse come tali. Se ne va uno che sapeva il contenuto inconfessabile della telefonata distrutta, uno che non ha parlato, non ha voluto farlo. E diciamolo, adesso, il perché: ne abbiamo parlato, del resto, nell’articolo “In morte di Salvatore Riina”. Questo qualcuno è lui, ovviamente: il capo dei capi. La stampa lo chiama così. Lo era? E chi lo può giurare. Ma capo di che? Dei pistoleros che vengono bloccati proprio quando vorrebbero “aprirsi” un catena di supermarket o, peggio, se la aprono… Essi, come le prostitute che sperano che il protettore alla fine le sposi, non sano che quello è come andare fuori zona fra i quartieri di Chicago del proibizionismo o i mandamenti di Palermo proibita …da sempre. Già: non si piscia fuori rinale! Dice: “ma io voglio fare una cosa onesta!” Ed è lì che sbagli! Troppo tardi amico! Ma soprattutto perché “le cose oneste” non sono …la tua zona…

Al Capone in molte immagini appare con un dolce sorriso dolce: l'inquilino della porta accanto.
Al Capone in molte immagini appare con un dolce sorriso: l’inquilino della porta accanto.

Attenti che sono esempi: se ne possono fare altri… Perché quelli che chiamano mafiosi hanno molta fantasia in più dei controllori. Ne pensano tante, le pensano tutte. Talvolta ci riescono per un po’ o anche – ma è raro – più a lungo. I controllori, però, hanno gioco facile, perché agiscono di rimessa e li stoppano “qualunque” cosa facciano. A meno che non sappiano fare bene …i fissa. Ma è difficile …per loro!

No: Totò non l’ha fatta la spia – ci mancherebbe – e di regola non l’hanno fatta gli altri. Nessuno, neppure fra i pentiti – pensa di dire quale sia il legame fra “questa mafia” con la politica – cui, però, si accenna come fosse già l’innominabile – ma soprattutto con i notabilati. Di questi si ammicca come battuta, perché anche la politica serve a coprirli: hanno posizioni di privilegio, non fanno politica ( a meno che non abbiamo un figlio cretino per occupare un posto vuoto), non  uccidono se non perdono la test per meri motivi passionali. In ogni caso di regola, se la cavano: “so’ ragazzi…”

Loro, “i mafiosi” tacciono, non solo perché sono uomini di pansa. Anzi “non certo perché lo sono”. E lo sono. Bensì perché nella mafia  vige la regola napoletana: “qua nessuno è fesso”. E, confermando quanto scriviamo nell’altro articolo, al momento giusto …la “meglio” parola è quella che non si dice.

Matteo Messina Denaro: eccoci a lui. Se sarà lui il “nuovo capo” non ci saranno problemi. I patemi di Grasso e Caselli (la guerra sanguinosa per la successione a Riina) non hanno motivo di essere. E, appresso, quelli di tanti giornalisti informatissimi che si sono divertiti a scrivere montagne di parole e pagine e pagine, per farci sapere tutto o girare attorno a problemi quali “chi c’era esattamente in quella riunione”, “a che ora esattamente venne ucciso il tal dei tali”, “che cosa esattamente disse quel testimone in tribunale”, “Che cosa disse in camera caritatis”, “chi potrebbe aver informato il signor X che il signor Y si trovava a Palermo in quelle settimane…”

Già, mai un discorso in d tre frasi: 1, 2, 3. Ma, insomma, come stanno le cose? Non parlavamo di M. Messina Denaro? Già, sono anni che si dice che nella fascia che va da un certo Km di strada ad un altro Km – dai, sono solo un paio di centinaia di Km in tutto, per una larghezza minore – non si muova foglia che lui non voglia. Poniamo il caso che il chilometro occidentale non giungesse a Palermo Centro o a Corleone… Per il principio di elasticità del diritto, cioè dei diritti, non ci arriverà facilmente?

Gesse

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Quanto a Dilliger che abbiamo, un po’ arbitrariamente, ritratto in copertina (ma Riina sarebbe, secondo quanto detto in questi anni un personaggio di caratura ben maggiore), non era un mafioso, bensì un rapinatore. Tutti – a nostro avviso – questi personaggi si caratterizzano per aver dichiarato “guerra alla società“. E’ guerra con morti e feriti… Si mettono di traverso ad una realtà, cioè, di fronte ai cui evidenti limiti e difetti, ingiustizie e …gabbie sociali, la loro mente “si blocca”.

Ripetiamo: la società, che da secoli “ce la mette tutta”, nel complesso, per migliorarsi” ha il pieno diritto/dovere di difendersi e di isolare i suoi “nemici”…

Dillinger, allo stile di Bonnie e Clyde, è personaggio da essere paragonato più a Vallanzasca. Tuttavia, ricorda Riina, in quanto venne ufficialmente indicato come “il pericolo pubblico numero uno“. Si finì anche per fare di lui un mito. Lo stesso avviene per …Totò u curtu. Fu l’FBI stessa a definirlo come il nemico pubblico n. 1. Si “guadagnò” poi la fama di moderno Robin Hood del crimine, sia per il tratto gentile, sia quando, al termine delle rapine, immedesimandosi in quegli anni di grave crisi economica, prese l’abitudine di dare alle fiamme i registri contabili su cui erano annotati i debiti e le ipoteche delle persone in difficoltà economiche. Riuscì, così, ad attirarsi la riconoscenza di molte persone a corto di denaro (clienti di banche, anche allora strozzine) e l’imprevista simpatia di una buona parte dell’opinione pubblica… Nonostante la sua verve e il suo stile, mai troppo brutale, verso la fine della sua “epopea”, rimase – però – isolato dalla malavita. Questa temeva di attrarre su di sé particolari “rappresaglie” della polizia. In tutte le parti del mondo, la regola è che vi sia una sorta di “galateo” fra la malavita organizzata – specie di stampo mafioso – e le forze dell’ordine. Lo stesso avviene con i notabilati, che hanno momenti e personaggi che consentono il contatto con la malavita ed anche con l’ufficialità. E’ per questa (inevitabile?) rete che …tutto si complica.

Isolato, anche grazie ai metodi innovativi di ricerca dell’FBI, Dillinger si alleò con la gang di un altro noto criminale dell’epoca, cioè Baby Face Nelson, rude e privo di scrupoli rispetto a lui (e con lui si divise la fama di “nemico pubblico”). Effettuò nuove rapine e riempì le casse della sua gang…

Dilliger giunse a cancellare le proprie impronte digitali con l’acido. Due volte arrestato, fuggì due volte di galera. Per questo, oltre che Vallanzasca, può ricordare il sardo Graziano Mesina che, per numero di evasioni, batte tutti: 22 tentativi, di cui dieci fughe riuscite.

Ma la seconda fuga di J. Dillinger fu momentanea e non gli diede la salvezza: per scappare John Dillinger prese in ostaggio alcuni agenti e rubò la vettura del direttore del carcere (pare fischiettando canzonette) con la quale varcò il confine dello stato dell’Indiana. Così facendo, commise un reato federale, cosa che permise all’FBI (forte di una nuova legge sul furto d’auto, varata dal Congresso americano) di intervenire ovunque negli States. Fu così che, dopo 4 mesi dalla sua fuga, venne …riacciuffato. Dillinger fu identificato e ucciso a tradimento con cinque colpi d’arma da fuoco da alcuni agenti dell’FBI mentre si trovava all’esterno di un cinema di Chicago, dal quale usciva assieme alle prostitute Polly Hamilton e Ana Cumpanas, dopo aver assistito alla proiezione del film poliziesco Manhattam Medoldrama con Clark Gable. Era il 22 luglio 1934, e Dillinger aveva appena 31 anni. Lo tradì proprio Ana Cumpanas,che avava anche il nome “di battaglia” di Anna Sage. In seguito fu ricordata come la “Donna in Rosso” (per via del colore sgargiante dell’abito indossato per farsi individuare rapidamnete dalla polizia, anche se in realtà l’abito indossato era una gonna arancione). Era stata lei a passare ai servizi segreti le informazioni per catturare Dillinger, in cambio della sua permanenza negli Stati Uniti, evitando l’espulsione in Romania, sua terra natale. Non vi riuscì, fu beffata: l’espulsione venne poi confermata.

Tipico e ricorrente per questi personaggi vedersi appioppato un soprannome: Grazianeddu, Totò u curtu, Baby Face… Per Dillinger i soprannomi piovono. Fu il primo moderno brigante gentiluomo, un caso ricorrente nella storia e in giro per il mondo: nemico pubblico N.1 e “Lo sterminatore” in un film (regia Max Nosseck), non l’unico.

Interessante un risvolto della storia di Grazianeddu. Alla fine, alle soglie del nuovo secolo, dopo lunga permanenza in galera, chiese di “uscire” per buona condotta. Giovanni Falcone si batté perché ciò non avvenisse, ma Ciampi si indusse a concedergli il “perdono giudiziale”. Misteriosa divenne ad un certo punto la vicenda Mesina: aveva 14 anni al suo primo arresto porto abusivo di pistola e oltraggio a pubblico ufficiale. Trascorse 40 dei suoi 71 anni di vita in condizioni di detenzione, ma – fughe a parte -vedremo come… Nonostante questo, nella sua età matura, venne considerato in grado di fare da intermediatore nel famoso rapimento del piccolo Farouk, anche se poi il tribunale lo condannò per favoreggiamento. Ottenne la liberazione completa da Ciampi, dopo che anche Cossiga aveva espresso una chiara apertura… Ma del concesso perdono giudiziale si seppe con 1 mese di ritardo. G. Falcone aveva fatto notare che non si libera uno come Messina, che, peraltro, fruiva già della libertà vigilata: “non ricorrono – notava Falcone – le eccezionali circostanze espressamente previste, in questo caso, dalla legge.

Fatto sta che qualche anno dopo (in pieni anni 2000), purtroppo, Mesina venne nuovamente arrestato per commercio di droga, la stessa imputazione per la quale stava scontando 30 anni …teorici: la sua storia ebbe, quindi, un epilogo molto triste, nel paese – l’Italia – in cui un secolo prima Cesare Beccaria si era battuto nel suo “Dei delitti e delle pene” agitando il principio della redimibilità del reo, che ra stato già di Victor Hugo, oltre – ovviamente – che nel Vangelo. (D.)

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