Crisi economica Dare gli aiuti solo ai meno abbienti?

Da più parti ci si scandalizza per gli aumenti di stipendio o di pensione, che si intendono elargire anche al di sopra del minimo, ma sempre, comunque, con un tetto massimo, che il nuovo governo, a guida Meloni, starebbe dando.

Questa, infatti, potrebbe sembrare un’ingiustizia nei confronti dei più poveri, ma va pure ricordato che, da vari anni, gli stipendi, soprattutto per alcune categorie, non vengono mai aumentati (ad esempio, per gli insegnanti). Questo sta provocando un appiattimento verso il basso delle entrate di alcune categorie di lavoratori. Da una parte, infatti, c’è chi si ritrova a percepire aiuti e bonus a dismisura, dall’altra, invece, c’è chi si vede aumentare solo le spese per tasse, bollette e via discorrendo. L’adeguamento al caro vita di stipendi e pensioni è dunque doveroso. L’Isee, poi, per com’è concepito, lascia fuori dai benefici tante persone che si trovano in serie difficoltà, ma i cui problemi non vengono riconosciuti. Ad esempio, per le spese mediche, c’è chi non paga mai nulla e chi, invece, tutto.

Si pensi, del resto, a quel che accadrebbe se non si prendessero i provvedimenti adeguati: aumenterebbero i debitori (nei confronti di banche, agenzia delle entrate, utenze varie…), diminuirebbero i consumi, con la conseguenza di avere molte chiusure di esercizi pubblici, licenziamenti di massa, cassa integrazione … In fondo, la classe medio-piccola è quella che porta avanti il paese, se le togliamo del tutto le poche risorse di cui ancora dispone non ci sarà futuro economico per nessuno e i poveri, invece di diminuire, aumenteranno notevolmente.

Gli aumenti stipendiali o pensionistici, che l’attuale governo sembra preferire rispetto ai bonus elargiti dai precedenti governi, insicuri e occasionali, possono, invece, mettere i singoli e le aziende in sicurezza.  Certo, purtroppo, dati i vincoli di bilancio, non potranno essere di grande entità, ma saranno pur sempre ossigeno per chi li riceverà.

Qui si scontrano due visioni opposte: liberismo e statalismo. E anche considerando i correttivi che si possono apportare alle due concezioni economiche che risultano prevalenti nel mondo, affinchè non cadano nell’estremismo, si tratta comunque di due posizioni molto divergenti e ben poco conciliabili.

I liberisti storici (da non confondersi con i neoliberisti) aspirano alla libertà in campo economico e politico, nonché in quello culturale, perché, di base, hanno fiducia nell’uomo che sa, da solo, trovare e adottare i provvedimenti più opportuni, di momento in momento. Sono pragmatici, credono nel dialogo e nella democrazia. Gli statalisti, all’opposto, diffidano della natura umana, vedono nello stato una sorta di divinità che può, volendo, risolvere ogni problema, ma non si accorgono delle conseguenze negative che, invece, ne derivano.

Accade, così, che a guidare lo stato siano i burocrati, depositari di ogni potere. L’economia statalista è solitamente deficitaria, parassitaria, utile solo a creare (per un certo tempo) posti e stipendi in totale perdita per le casse dell’amministrazione.

La crisi economica attuale, in Italia, è figlia di una perdurante cattiva amministrazione di questo tipo.

Non vogliamo, con ciò, dire che lo stato non sia un’istituzione utile, anzi, indubbiamente, necessaria. Il punto è che svolge male i compiti per cui nasce, e si occupa, invece, di tante cose che dovrebbero esulare dai propri compiti.

Nei paesi che attuano politiche ispirate al liberismo l’economia cresce insieme ai posti di lavoro e anche lo stato ne ricava beneficio, potendo così affrontare maggiori spese per le opere più urgenti.

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