Dopo il Super Tuesday Biden, Trump e le elezioni statunitensi

Il Super Tuesday, com’è noto recentemente svoltosi negli Usa, ha praticamente scelto i due candidati che si contenderanno la Casa Bianca il prossimo mese di novembre: Joe Biden per il partito Democratico e Donald Trump per il partito Repubblicano.

Nessuna sorpresa, dunque: questi erano infatti i nomi che si attendevano già fin dall’inizio della sfida per le Primarie.

Ora va detto che se il mainstream è tutto schierato a favore di Joe Biden non c’è affatto da meravigliarsene: il Potere con la P maiuscola lo sostiene perché l’attuale presidente americano rappresenta, come meglio non potrebbe, le grandi lobbies della finanza, delle armi e della comunicazione di massa.

Il rappresentante del governo Usa ha frequentato, infatti, per la maggior parte della sua vita, “la stanza dei bottoni” e se ha fatto una tale carriera lo deve appunto alla sua comprovata “affidabilità” per i poteri suddetti. Ha vissuto di politica senza mai lavorare e sarebbe, quindi, strano se ora si interessasse all’economia reale, ancora più improbabile che lo facesse a ottant’anni suonati e per di più mal portati. Inoltre, l’ideologia Woke, che il partito Democratico Usa sostiene, è quanto di più confusionario e devastante si possa immaginare per una società che volesse essere ben organizzata e ben diretta. Infatti, ben lungi dal favorire l’integrazione e l’inclusione sociale, come a parole vorrebbe, non fa altro che suscitare odi e rancori tra i vari gruppi o classi sociali, rendendo i rapporti sempre più difficili. Biden, poco attento ai problemi interni del Paese e, in particolare, alle necessità del ceto medio, ha favorito un’immigrazione incontrollata e condotto una politica bellicista che ha creato sempre nuovi fronti di guerra e nuovi conflitti in giro per il mondo.   

Donald Trump è l’esatto opposto. Imprenditore di successo, abituato agli accordi e ai negoziati, è il classico uomo che si è fatto da sé. Forse un po’ troppo diretto e poco incline ai toni moderati, difende con vigore i valori tradizionali della famiglia, della patria e della religione, oggi troppo spesso, a torto, ignorati. Si è impegnato, nel passato quadriennio di governo, a favore della crescita economica e del lavoro, ha dialogato con tutti i leader del globo inaugurando una politica di pace e di stabilità. Se è vero che nei confronti della Ue ha usato spesso toni molto duri e di totale disistima, di certo lo ha fatto non senza valide motivazioni: del resto, se gli Usa di Trump volessero, infatti, prendere le distanze dall’attuale Ue potrebbe anche non essere un male se i popoli europei ne approfittassero per rendersi più autonomi dall’alleato atlantico e fossero in grado di creare un organismo politico migliore, più compatto e meglio organizzato di quel che non sia ora. Ci sembra, infatti, che se l’Europa la smettesse di andare a rimorchio degli Usa, ma camminasse invece con le sue gambe, le cose potrebbero andare meglio. Oggi come oggi, infatti, la Ue, in politica internazionale, conta meno di zero.

Le elezioni di novembre si avvicinano, i due candidati ormai sono stati scelti dai rispettivi schieramenti e possiamo essere certi che fin da subito partirà la campagna di delegittimazione reciproca, ma la situazione politica non è la stessa di 4 anni fa: nel popolo americano prevale la voglia di pace e di disimpegno nei confronti della politica estera portata finora avanti dall’attuale amministrazione yankees.   

Lydia Gaziano Scargiali

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