Finalmente chiara la differenza fra bilancio pubblico e privato

L’Europa non è unita. Ecco le barriere in tempi di immigrazione e coronavirus. Non è un problema di costume: rivalità di mercato si oppongono al funzionamento ‘ideale’ dell’Unione. Nessuno si sogna di paragonare l’Unione europea ad una nazione. Si dovrà attendere il giorno in cui, parafrasando i famosi versi di Marzo 1821: “non fia loco ove sorgan barriere fra l’Europa e l’Europa mai più”. Il Manzoni parlava ovviamente dell’Italia.

Finalmente qualcuno – anziché ripetere la solita lezione sul bilancio dello Stato che soffre dei problemi ben noti, apparentemente insolubili, almeno così come vengono posti – parla, invece, di bilancia commerciale: l’Italia ha una bilancia commerciale fortemente attiva.

Ci voleva il Covd19 per sentir dire la verità? Anche Draghi ha appena detto chiaramente: “Rilanciamo il mercato, il debito è un problema secondario!” Ma non bastava guardare alla storia? Il debito c’è da sempre. Ce l’hanno tutti gli stati. Evidentemente il debito è solo un dato. Probabilmente i milioni del debito non sono ‘gli stessi’ di quelli dell’economia reale. Non hanno, per intenderci, lo stesso valore.

Purtroppo, anche ad un discreto livello, circola una visione men che medievale della ricchezza. Oggi la ricchezza è un fatto dinamico. L’oro ha un ruolo relativo. L’elemento più importante è la produzione che in tutti i settori in un paese come l’Italia va – per intenderci – a mille. Bisognerebbe semmai -e non si fa – indagare tecnicamente a fondo perché ciò non si traduca in un maggior benessere ‘per tutti’. Abbiamo visto tutti distruggere cibarie d’ogni tipo per non inflazionare il mercato. Sappiamo che cosa siano gli accordi di cartello (in quasi ogni settore) per non abbattere troppo i prezzi. Probabilmente è in questa direzione che bisognerebbe studiare.

Intendiamoci: non per imporre artificiosi calmieri, né – per intenderci ancor meglio – regole di carattere ‘morale‘, ma provvedimenti di natura ‘tecnica‘  per regolare meglio il funzionamento del mercato: della produzione, della distribuzione e dei consumi. In tutto ciò è certo che abbia un ruolo fondamentale una più corretta distribuzione della moneta. Per fare un esempio, non c’è dubbio che forme di reddito di cittadinanza e previdenze debbano avere un ruolo fondamentale e decisivo in un futuro che è già presente. Tutto dipende dal COME. Se il reddito di cittadinanza sta funzionando male in Italia ciò non significa che ‘il principio’ sia errato!

Pubblichiamo qui testualmente un articolo apparso sul Sole24Ore in linea con quanto il piccolo Palermoparla cerca di ‘spiegare’ da sempre.

COSI’ Il Sole24Ore

(In più solo i nostri soliti grassetti –  bold – che crediamo specie online non guasti) 

L’Italia è la terza maggior economia dell’Unione europea. È la seconda manifattura del Continente. È un grande Paese esportatore, con un avanzo commerciale cresciuto da 31 miliardi del 2010 a 89 miliardi del 2018 al netto delle risorse energetiche.

L’Italia ha una enorme ricchezza privata.

Eppure sui mercati finanziari, dove viene misurato il rischio-Paese, l’Italia è penultima nell’area euro. Peggio di noi c’è solo la Grecia. E la distanza che ci separa dagli altri Stati è diventata abissale: i rendimenti dei nostri titoli di Stato decennali sono ormai ben più vicini a quelli della Grecia fanalino di coda (ci separano solo 79 centesimi) che a quelli del Portogallo (1,57 punti percentuali di differenza) o della Spagna (1,73 punti percentuali).

Questo è un problema enorme: alti tassi assorbono infatti grandi quantità di denaro pubblico che si potrebbero spendere in maniera utile per famiglie e imprese. Se solo l’Italia riuscisse a portare gli interessi dei propri titoli di Stato al livello di quelli portoghesi, secondo i calcoli realizzati per Il Sole 24 Ore dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, risparmierebbe 6,4 miliardi il primo anno, 11,9 il secondo e via via fino a 31,8 miliardi l’anno dal settimo in poi. E se li portasse al livello spagnolo, il risparmio per le casse pubbliche salirebbe (a regime dopo il settimo anno) a 34 miliardi annui. Purtroppo però i mercati non riflettono la forza dell’economia italiana: così la terza economia europea è penultima sui mercati dei titoli di Stato.

Sui mercati dei bond peggio di noi c’è infatti solo la Grecia. Atene però migliora. L’Italia è invece l’unico Paese che dal primo gennaio 2018 ha registrato un aumento dei tassi d’interesse pagati dai titoli di Stato. Prendiamo i titoli decennali: i nostri sono passati dal 2,09% del primo gennaio 2018 al 2,55% attuale. Cioè quasi mezzo punto percentuale in più. Nello stesso arco di tempo, invece, si sono ridotti i rendimenti decennali della Spagna (da 1,61% a 0,83%), del Portogallo (da 1,99% a 0,98%), della Francia (da 0,82% a 0,28%), dell’Irlanda (da 0,71% a 0,50%). Per non parlare dei tassi tedeschi, ora sotto zero. Persino la Grecia (che ha tuttora tassi più elevati dei nostri) dal primo gennaio 2018 è scesa dal 4,07% al 3,36%.

Dunque imputare il rialzo dei rendimenti alla riduzione del quantitative easing nel 2018 e alla sua fine nel 2019 non è corretto, se non in minima parte: il Qe (politica con cui la Bce compra titoli di Stato) è infatti finito per tutti, ma solo i rendimenti italiani sono saliti. Questo perché l’Italia è l’unico Paese in Europa (insieme alla Francia) ad aver aumentato negli ultimi anni il debito pubblico: in rapporto al Pil, il nostro debito è passato infatti dal 131,21% di fine 2017 al 134,11% previsto dall’Ocse per quest’anno. Spagna e Portogallo, invece, nello stesso arco di tempo l’hanno ridotto (dal 98,12% al 96,52% per Madrid e dal 124,76% al 118,93% per Lisbona). Ma è la dinamica futura che preoccupa gli investitori: l’Italia, in assenza di crescita economica, non dà l’impressione di avere un piano per ridurre deficit e debito. Né la volontà di farlo. L’incertezza politica poi fa il resto.

(Nota di Palermoparla. Qualcosa di grosso non ha funzionato se, nonostante i sacrifici imposti dalla spending review  il debito dello Stato non è diminuito bensì aumentato – Evidentemente la spending review ha talmente danneggiato l’economia reale da distruggere anche il risparmio. Ma questo era prevedibile: anche qui l’errore si nasconde nel fatto di confondere l’economia di uno stato con ‘quella di casa’ e di mantenere una visione statica della ricchezza, come se fosse in qualche modo depositata come l’oro di Fort Knox, in un salvadanaio, rappresentando un dato fermo. Dopo due secoli di positiva sperimentazione, non è chiaro (come dovrebbe essere) il funzionamento della moneta cartacea, dei pagherò e simili. Oggi la moneta è addirittura magnetica, neppure di carta. E’ un insieme di note di debito e di credito. Ciò che dobbiamo vedere muovere come fosse oro sono le merci ed i servizi. Ma c’è chi  ‘rimpiange’ la parità aurea – anche in alto loco – questo è l’errore. Similare è l’errore di abbandonare l’economia di mercato a favore di una economia di tipo socialcomunista. E’ mai possibile che a spiegarlo debba essere un apprendista stregone come – anche con la sua laurea e un master – chi scrive queste righe? Ma se l’articolo del Sole qui riportato ha un senso, è chiaro che sia così!) 

Prosegue l’articolo del ‘Sole’…
 

Tassi elevati per lo Stato diventano – tramite il canale bancario – tassi elevati per le imprese. Questo – insieme all’incertezza generale – rappresenta un freno per gli investimenti e i consumi. Detto questo, l’Italia non è né la Spagna né il Portogallo: il tessuto economico del Paese è ben più solido e diversificato. Non è un caso che il made in Italy vada così forte all’estero: lo dimostra la bilancia commerciale che, come detto, ha triplicato l’avanzo dal 2010 al 2018. Perché la qualità dei prodotti italiani è forte: uno studio di qualche anno fa della Fondazione Edison, su oltre 5mila tipologie di prodotti globali, dimostra che ben 844 sul podio della qualità sono italiani. Questo significa che quasi un prodotto su cinque di eccellenza nel mondo è made in Italy. (Morya Longo)

(Ed ecco un’altra precisazione che ha del paradossale ndr)

Le imprese italiane in questi anni duri si sono anche rafforzate. Per esempio hanno ridotto l’indebitamento: certifica la Banca d’Italia che il debito delle aziende è sceso da oltre l’80% del Pil nel 2012-2013 al 69,6%. È lievemente diminuita anche la dipendenza dal canale bancario. In alcuni settori è anche aumentata la produttività, come in quello manifatturiero. Insomma, l’Italia ha un’economia viva. Una manifattura forte, che sa stare sul mercato. Anche quello globalizzato di oggi. E ha una ricchezza delle famiglie elevata: al netto dei debiti, ammonta a 9.743 miliardi secondo Bankitalia (dei quali 5.246 miliardi sotto forma di immobili). Ciò dà al Paese un’ossatura robusta. Purtroppo i mercati – per il timore della politica, per paura di Italexit e per il fardello crescente del debito (forse, ndr) – non ci rendono giustizia.

@MoryaLongo

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Morya LongoVicecaposervizio

Luogo: Milano

Lingue parlate: Italiano, inglese

Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop.

Nota

L’articolo è di alcuni mesi fa, ma è – evidentemente – di grande attualità in un momento in cui suona un campanello d’allarme per l’imminente realtà economica dopo l’epidemia. Ciò che serve è-assolutamente – un apporto di denaro in circolo, anche a costo da innescare una certa deriva inflazionistica. Non dimentichiamo – infatti – quanto si legge sui ‘classici’ di ‘economia e finanza’: l’inflazione è il  volano dell’economia. Una sacrosanta verità sovvertita – già nei propositi –  dalla politica finanziaria dell’Europa unita.

E’ stato uno dei ‘capestri’ dei trattati europei accanto all’aver tolto agli stati ‘veri’ l’autonomia monetaria per attribuirla ad uno stato ‘inesistente’ come l’UE.

Nota 2

Mentre il Bilancio dello stato è il conto delle entrate e delle uscite della pubblica amministrazione La bilancia commerciale è il documento contabile nel quale vengono registrate le importazioni e le esportazioni di merci e servizi effettuate dai residenti di un paese con il resto del mondo. Più ampio è il concetto di Bilancia dei pagamenti: il documento contabile in cui viene registrato il valore di tutte le transazioni che intercorrono tra i soggetti residenti in uno Stato e i non residenti, nell’arco di un anno solare. La bilancia commerciale fa parte della bilancia dei pagamenti (cioè ne è parte, vi è inclusa). La Bilancia dei Pagamenti deve risultare sempre in pareggio. Quindi, se un Paese registra un disavanzo della parte commerciale (se importa più di quanto esporti), dovrà finanziarsi all’estero facendo entrare dei capitali nel Paese, mentre un Paese che presenta un avanzo della parte commerciale avrà del denaro da investire all’estero. Con questo indicatore è quindi possibile valutare la dinamica dei flussi di capitale di un Paese e capire se stiano entrando o uscendo.

Una volta per tutte: Bilancia commerciale e Bilancia dei pagamenti – che fanno parte della sfera privata – sono, per l’Italia, costantemente in attivo.

Quindi, quando si diffonde l’idea (come avviene) che l’Italia nel suo insieme ‘pianga miseria‘ si mente spudoratamente. E’ ciò che fa il Governo con la complicità dei media. O ne dubitate ancora? Lo fa, ovviamente, per nascondere i propri errori e imporre sacrifici agli italiani, facendo spudoratamente affidamento sulla grande capacità di produrre ed anche di risparmiare di quello che possiamo indicare come l’italiano medio. In particolare, quel personaggio medio borghese che oggi ottusamente ‘il sistematende aschiacciare! Lo fa con le imposte, con le tasse e con una burocrazia meticolosissima da ‘grande fratello‘. Più che un fratello, ovviamente un brutto fratellastro.

Purtroppo, il popolo è avvezzo a subire e se ne fa addirittura un vanto – la famosa obbedienza alle ‘regole’ – reagendo con espressioni del tipo: ‘ma, intanto è così…”

Invece non è così, perché un elevato tasso di disobbedienza alle leggi ingiusta è uno dei ‘motori’ dell’innovazione in fatto di diritto: La legge può essere abrogata dal legislatore espressamente, tramite un’altra nuova legge, o tacitamente, quando una disposizione successiva sostituisce intuitivamente parte di un’altra legge in vigore per tale materia,

(G.Scargiali)

 

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