Il “mio” Gaetano Messina, ecco come lo racconto

Gaetano Messina

Ho conosciuto Gaetano Messina tanti anni fa. Mi sembrò subito uno dei personaggi più strani che avessi mai incontrato… Ma sono strano anch’io, me lo dicono in tanti. Sono sempre pronto a diffidare, a prendere le distanze, a sentirmi stanco prima di cominciare. Oppure a farmi cogliere dal rapido entusiasmo… Mah! Forse, la mia prima reazione è solo paura dell’ovvietà, sempre in agguato… In Gaetano Messina c’è ben poco di ovvio. Quando lo salutai, mentre mi allontanavo, sapevo già di aver trovato un amico.

Gaetano Messina è il maestro, il giornalista. Senza troppa istruzione è più colto di tanti. Lui è anche “il matto”, il contestatore, il giornalista, a volte cestinato, ma con quello che nessun giornalista può acquisire, pur con il lungo “mestiere”: tutto ciò che si insegna e si impara. Non si imparano, invece, altre cose, fra cui di certo il senso della notizia, come anche la voglia – intima – di dire, di comunicare, di raccontare… A volte prepotente.

Giornalista ho detto? Lui lo è come lo si dev’essere, come si dovrebbe… Mi spiego: non cerca “l’occasione” per scrivere, quasi “una scusa” per buttar giù un articolo. Sì, così fan molti… Gli brucia, invece, il ritardo con cui marcia il mondo, l’assenza – in giro – di quello che lui cerca, anche se c’è il rischio che mai lo avrà, perché mai verrà in essere…

E’ chiaro a lui stesso tutto ciò? E chi può saperlo? Che cosa mai gli importa? Un giorno Gaetano vede una stortura, il suo pensiero la fotografa, e già va a letto col “sacro fuoco”. L’indomani comincia a scrivere: pezzi che bisogna rileggere, limare anche tanto. Ma che hanno ciò che serve, ciò che vale: un senso, una necessità, una notizia…

Ho detto tanto del mio amico Gaetano e tanto ho dimenticato. Non poteva essere diversamente. Ho scordato la parola artista, che mai fu più appropriata. Per Gaetano l’arte non sono i suoi quadri, non le sue sete dipinte, non le sue iperboli verbali, i paradossi… Come i veri artisti la sua arte è la vita. La sua originalità – credetemi – sta in tutto, quasi fosse un pregio, un merito ed anche una condanna: potrebbe avere il fisico di un folletto, invece ha quello, un po’ ingombrante, a metà fra un santone e un uomo di campagna…

Chi inventò il mito di genio e sregolatezza e chi lo impersonò per primo? Forse Caravaggio, ho sempre pensato… Ma, in realtà, come il romanticismo, come la voglia di ritrarre ciò che si vede, interpretandolo, che fu dei cavernicoli e fu di Giotto, come il parlare in poesia prima che in prosa, tutto nacque con l’uomo. Ma solo in alcuni individui, non in tutti. Solo in quelli dotati di un orecchio musicale, che ascolta le voci della natura, dell’anima, del nulla che sta nascosto dietro il tutto, ma, invece, probabilmente “è”, più d’ogni altra cosa.

Gaetano Messina ha condotto anche battaglie sul terreno pratico, attaccato alla terra dove è nato, in quella falesia che guarda il mare nella sua amata “Contrada Calzata”, a due o tre mila metri fuori dalla “metropoli”: Campofelice di Roccella…

Siamo nei luoighi del famoso “passaggio da Campofelice” che riguardò un “qualcosa” chiamato Targa Florio. Ed io che scrivo e che la Targa l’ho raccontata – anno per anno nella sua epopea – in circa 200 pagine, commissionatemi, da giornalista appena 22enne, dopo averla vista per tutto il dopoguerra e averne sentito raccontare il passato in famiglia, non riesco a non trasalire.

Gaetano ne afferra, certo, l’importanza. In realtà quel “passaggio da Campofelice” significò per un secolo – di una storia scritta da eroici piloti e rombanti motori – la vittoria dei maggiori assi del volante. Che cosa restava da fare, dopo tanti giri e le ultime curve giù lungo la discesa da Collesano? Restava Buonfornello e poche curve: pressare sull’acceleratore e lo sapevano far tutti. Se la corsa l’avevi vinta o ben condotta fin lì, ti aspettava solo il trionfo: la vittoria o la soddisfazione intima, una breve danza fra le ultime curve, tanto per far sentire ancora il lamento del tuo motore prima del trionfo: una corona d’alloro attorno al collo! Tranne per Achille Varzi che corse gli ultimi chilometri con la macchina in fiamme e giunse ustionato. Ma vinse! E tutti, in migliaia, eravamo, anno dopo anno, col vincitore: felici se era italiano, bene anche se era d’oltralpe, biondo e con gli occhi color del cielo che avevano rischiato per girare attorno a quelle curve con onore, ma anche sognato con noi: la Targa…

Così Gaetano Messina – stavolta il giornalista, il polemista – conduce la sua battaglia. Perché troppi hanno dimenticato che lì, quando non era neppure Buonfornello, ma la men nota “Contrada Pistavecchia”, partenza e arrivo della Targa avvenivano sul rettilineo e Floriopoli non era nata: Ma c’è di più: il cartello autostradale non indicava Campofelice – la sua piccola …metropoli distesa come una bella ninfa ad ammirare il Tirreno – sul cui territorio, includendo Cefalù, si contano più turisti che a Catania e provincia, bensì Buonfornello. Ma che cos’è mai Buonfornello, che non esiste neppure? Gaetano conduce le due battaglie nei suoi articoli e con la parola.

Oggi tutti conoscono la storia delle tribune con ristorante, tutto – già allora – in prefabbricato, gli uomini eleganti e i dandy, con le signore dai grandi cappelli che ripetevano la moda europea “sportiva per allora”, ma anche inconfondibile “da Targa Florio”. Da sogno… Lì sul rettilineo che, si sa, ebbe un ruolo decisivo con i suoi 11 Km per la scelta dello storico percorso.

Un cartello autostradale campeggia, ora, in verde: Campofelice di Roccella. Gaetano ce l’ha fatta anche stavolta. Ma ce la fa di più nella sua vita: arte pura nella “Casa dell’Ulivo blu”, dove coltiva anche la sua vocazione per l’esoterismo e dove ha vissuto, a parte i viaggi giovanili in giro per il mondo, tutti i suoi giorni “recenti” con la cara moglie Rosa, che lì lo ha costretto a …fermarsi, facendo, spesso, lui il Don Chisciotte con lei accanto, lì a giocare allo scudiero, disincantato, ma segretamente ammirato, per cercare invano di riavvicinarlo alla realtà della giornata.

Germano Scargiali

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