La Ferdinandea dai tanti nomi è …l’Isola che non c’è

Un’immagine assolutamente fantastica della mitica apparizione dell’Isola Ferdinandea

37°10 ’00” lat N 12°43′ 00″ long E a 16 miglia nautiche (30 km) dalla costa di Sciacca e 29 miglia nautiche (55 km) dall’isola di Pantelleria. Ecco la posizione dell’Isola che non c’è.Proprio qui nasce, infatti, il fenomeno vulcanologico che nel 1831 dà origine a quel che è meglio noto come l’Isola Ferdinandea o Banco Graham, Iulia, Nerita, Corrao, Hotham. Una vasta piattaforma rocciosa, a circa 6 metri dalla superficie marina. Nata lì, nel bel mezzo del Mediterraneo, a poche miglia dalla costa sud-occidentale della Sicilia.

Una ricostruzione in rendering assonometrico della realtà sottomarina della "secca" inclusa nella formazione vulcanica Empedocle.
Una ricostruzione in rendering assonometrico della realtà sottomarina della “secca” inclusa nella formazione vulcanica Empedocle.

Oggi “l’isola” è diventata un paradiso subacqueo. Sale fino a soli mt. 6 dalla superficie del mare ed è ricca di colori e vita sottomarina. E, anche se molto giovane, ha tanta storia a raccontare. Costituisce la bocca o cono eruttivo di un vasto vulcano sommerso – il “terribile” vulcano Empedocle, ancora attivo e per certi aspetti simile all’Etna – che, dopo importanti movimenti geotellurici, eruttò e sputò lava sino a raggiungere la superficie del mare. Elevato mediamente di circa 400 metri dal fondo del mare con una base di 30 km. per 25 km. a ferro di cavallo, forma un’isola che pian piano crebbe sino ad arrivare ad una superficie di circa 4 kmq ed ad un’altezza di 65 metri circa.

L’isola era composta da materiale eruttivo chiamato tefra o tefrite, facilmente erodibile dall’azione delle onde. I primi avvistamenti del fenomeno eruttivo portano la data del 18 giugno 1831 quando alcuni cittadini saccensi da monte San Calogero raccontarono di aver visto sollevarsi in mezzo al mare colonne di fumo verso l’orizzonte.

In verità – come riporta Salvatore Mazzarella – questo fenomeno fu preceduto da un terremoto che interessò quel territorio di Sciacca. Alcuni pescatori di sardine della marineria di Sciacca e delle marinerie limitrofe, raccontarono di aver osservato nei giorni successivi al terremoto, una moria di pesci proprio nel tratto di mare dove le acque ribollivano. Il Capitano Trafiletti della nave Gustavo il 7 luglio 1831 – lungo la rotta di navigazione tra Sciacca e l’isola di Pantelleria – riferì di aver avvistato una nuova formazione rocciosa in superficie che sputava lapilli e lava. Nella notte tra il 10 e l’11 di luglio, dopo un’altra forte scossa di terremoto, il vulcano smise di eruttare dando all’isolotto la sua circonferenza massima. Al centro dell’isola, di forma conica si notarono due laghetti sulfurei che ribollivano.

Sul posto giunsero tanti studiosi dell’epoca. Il primo a raggiungere l’isola fu Karl Hoffman, professore ordinario di geologia presso l’Università degli studi di Berlino, il quale si trovava in Sicilia per studi sulla conformazione del territorio Siciliano. Grazie all’amicizia che il professore aveva con il siciliano Domenico Lo Faso venne organizzata una spedizione che da Palermo, attraverso la via di Corleone, si diresse a Sciacca in carrozza, impiegando 2 giorni e 2 notti. Già a distanza di 18 miglia dalla spiaggia, sulle alture tra Contessa Entellina e Sambuca videro i segni lontani fumosi e rosseggianti del vulcano.

Lo Schifazzo siciliano nasceva da antiche esperienze medievali e rinascimentali (vela latina, sciabecco). E' una mitica barca da lavoro che rimase in usio fino al dopoguerra soprattutto per il trasporto della sabbia. Vi era stato aggiunto un motore. Le vele triangolari, distribuite da fuori prua (da un lungo bompresso) e fuori poppa secondo la foggia delle yole, lo rendeva versatile e manovriero a dispetto del peso e della superficie immersa che comunque non era molta per i tempi. La stabilità era favorita dalla forma larga.
Lo Schifazzo siciliano nasceva da antiche esperienze rinascimentali (vela triangolare, latina, l’aggressivo sciabecco, ma anche tartane e trabaccoli). E’ una mitica barca da lavoro che rimase in uso fino al dopoguerra, soprattutto per il trasporto della sabbia. Vi era stato aggiunto, nell’ultima fase, un motore. Le vele triangolari, distribuite da fuori prua (vedi il lungo bompresso) e fuori poppa (secondo la foggia delle yole),  rendevano quello qui rappresentato versatile e manovriero, a dispetto del peso e della superficie immersa che comunque non era molta per i tempi. La stabilità era favorita dalla forma allargata (baglio massimo) che in questo modellino si nota un po’ meno.

Il problema fu trovare un’imbarcazione e una ciurma disposta ad affrontare quel passaggio in mare per raggiungere l’isola, vista la paura che si era impadronita di tutta quella popolazione. Al porto di Sciacca, dopo lungo cercare, trovarono lo “schifazzo” Gesù Maria Giuseppe a remi e vela. Lo schifazzo trapanese lungo 11,15 mt. e largo 3,45 mt. aveva un utilizzo vario. Veniva prevalentemente utilizzato per il trasporto di vino, materiale da costruzione e per il trasporto del sale, formaggi e prodotti di tonnara. Veniva anche usato sia per la pesca in genere, sia per la pesca delle spugne, ma anche per le esportazioni di corallo, sia grezzo che lavorato.

Assieme al “liudello”, lo schifazzo costituiva la stragrande maggioranza delle imbarcazioni registrate in entrata o uscita dai libri doganali del periodo. Uno schifazzo poteva caricare infatti da trenta a cinquanta “salme” di sale. Solo con la promessa di un congruo aumento di denaro rispetto a quello pattuito, la spedizione scientifica riuscì, dopo una notte e un giorno, a raggiungere l’isola. Si conserva una lettera di Hoffman spedita all’astronomo Nicolò Cacciatore con la descrizione del vulcano visto da vicino: “Un vento di scirocco ci costrinse di cercar ricovero alla base della falda opposta di nord-ovest e noi ci avvicinammo fino a toccare col remo la nuova terra. Ma non ci fu permesso di sbarcarvi essendo l’impeto delle onde agitate per il vento troppo gagliardo e il terreno della spiaggia troppo molle e mobile”.

Anche il Governo Borbonico inviò con una spedizione sull’isola, il fisico Domenico Scinà, che si occupò di stilare un documento per avvertire della vicenda anche l’Imperatore. Ma a suscitare l’interesse di molti uomini di scienze fu il prof. Carlo Gemmellaro, docente di storia naturale all’Università di Catania, con una relazione particolareggiata sulla conformazione dell’isola.

Subito l’isola suscitò l’interesse anche del mondo politico, soprattutto di tutti quei paesi che nel Mediterraneo hanno sempre cercato punti strategici per gli approdi delle flotte. Il 24 agosto dello stesso anno si recò sull’isola il capitano Jenhouse che ne reclamò il possesso, piantandovi una bandiera britannica e dandole il nome di Graham.

Lo stemma della Real Marina delle Due Sicilie. I Borboni avevano la maggior marina del Mediterraneo dopo quella che vi tenevano di stanza gli inglesi. Assieme a questa era la sola a disporre di fochisti propri che mandavano avanti le caldaie dei primi vascelli a vapore. Di essi Napoleone aveva detto: non sono navi...
Lo stemma della Real Marina delle Due Sicilie. Borbonica era la maggior flotta del Mediterraneo dopo quella inglese di stanza  Assieme a questa era la sola a disporre di fochisti propri che mandassero avanti i primi vascelli a vapore. Napoleone ne disse: “non sono navi”. Nel 1860 le navi, ribattezzate, ebbero il tricolore. La flotta mercantile fuse la Florio con la Rubattino (Genova) nella Compagnia Italia, oggi Finmare.

La casa Borbonica, al governo del regno delle Due Sicilie, manifestò il proprio disappunto per la vicenda, e subito inviò una spedizione che vi piantò bandiera e prese possesso dell’isola, soprannominandola Isola Corrao.

Il 26 di settembre il governo francese inviò il brigantino La Fleche con a capo il comandante La Pierre. A bordo del brigantino vi si trovavano il geologo Prèvost e il pittore Edmond Joiville, che si occupò di riportare l’isola su tela. Nel mese di novembre, il materiale campionato sull’isola arrivò in Francia e fu analizzato dalla Socièté Gèologique de France, che stabilì che l’isola nel frattempo aveva subito diverse frane con delle vigorose erosioni sui fianchi.

Ogni qualvolta vi era un crollo di una parete, veniva trascinata una quantità consistente di detrito sul fondale, diminuendo la consistenza della base dell’isola stessa, e pertanto l’intero affioramento si sarebbe potuto inabissare bruscamente.

Anche i francesi a questo punto pretesero l’isola, i quali la ribattezzarono Iulia, proprio perché formatasi nel mese di luglio. Gli stessi posero sull’isola una targa con la scritta I Signori Prèvost, ed Joinville, 27, 28 e 29 settembre 1831. Vi posero, naturalmente, anche la bandiera francese.

Una corvetta bombardiera, armata solo di vele. Le grandi vele di prua la rendevano agile in virata e veloce di lasco e poppa. Le rande sui 3 alberi la rendevano boliniera.
Una corvetta bombardiera, armata solo di vele. Le grandi vele di prua la rendevano agile in virata e veloce di lasco e poppa. Le rande sui 3 alberi la rendevano boliniera.

Visto l’interesse suscitato in tutta Europa, Ferdinando II rivendicò l’isola inviando sul posto la corvetta bombardiera Etna, al comando di Corrao, il quale, prese anch’esso possesso dell’isola piantandovi una bandiera e soprannominando l’isola Ferdinandea, in onore di Ferdinando II. Ma non finì qui. Quando tutto sembrava essere nelle mani dei Borboni, arrivò sul posto il capitano Jenhouse che difese l’isola dalla corvetta di Corrao. La questione fu rimessa così ai rispettivi governi. In realtà la questione era un po’ complicata, poiché Ferdinandea era un’Insula in mari, emersa cioè dal mare, e la prima persona che vi avrebbe messo piede avrebbe potuto rivendicarla. Ma l’isola era nata, però, in acque borboniche. La questione, dunque, si ingarbugliava… Come per calmare la smania di possesso di Re ed Imperatori Europei, l’isola pian piano scomparì nel nulla, si inabissò in meno di 2 mesi.

Il giorno 8 del mese di dicembre 1831, stesso anno dell’apparizione, il capitano Allotta del brigantino Achille confermò quanto detto.

Le acque di Graham furono riviste ribollire durante il terremoto del Belice del 1968, e nelle acque del canale di Sicilia furono avvistate alcune navi britanniche che probabilmente pretendevano ancora l’isola.

Per cinque mesi il conflitto sulla sovranità era infuriato tra le quattro nazioni “pretendenti”, sulla stampa e attraverso i canali diplomatici. Molti curiosi si recarono a vedere il minuscolo lembo di terra e i suoi due piccoli stagni. I francesi – già allora – annunciarono un piano per trasformare l’isola in un luogo di villeggiatura di gran lusso. Il fenomeno turistico, come lo intendiamo oggi, aveva già mosso i primi passi, sia a livello di alta società che a livello borghese, specie sotto forma di …villeggiatura (Le smanie per la villeggiatura di C. Goldoni era stata pubblicata nel 1759)…

Nessuno prestò attenzione al fatto che l’isolotto si stava lentamente ritirando nelle acque del mare. Non era la prima volta che l’isola era emersa dal mare. Una prima segnalazione era datata addirittura nel corso della Prima guerra punica, nel 3° secolo a.C. Uno tsunami del 365 a.C. investì, con conseguenze catastrofiche, l’intera costa siciliana che va da Selinunte a Eraclea ebbe la medesima causa.  Da allora “l’isola” è apparsa e scomparsa quattro o cinque volte.

Una breve apparizione avvenne di nuovo nel 1863, causata da un’altra eruzione. Da allora, l’isola Ferdinandea giace a circa 7 metri sotto il livello del mare, rappresentando un pericolo per la navigazione.

La lapide simbolicamente collocata nell'isola sommersa che rivendica l'assoluta appartenenza all'Italia e all DSciilia.
La posa della lapide simbolicamente collocata nell’isola sommersa che rivendica l’assoluta appartenenza all’Italia e alla Sicilia.

Nel 1987, un pilota americano diretto verso la Libia, con la missione di bombardare Tripoli, scambiò il picco sommerso per un sottomarino, e vi sganciò sopra delle bombe di profondità. Nel 2000, una rinnovata attività sismica intorno all’isola portò i vulcanologi a speculare su una possibile nuova emersione. Per evitare il ripetersi dei disaccordi, l’Italia agì prontamente con l’invio di una squadra di sommozzatori per piantare la bandiera della Sicilia e sul picco della montagna sottomarina venne affissa una lapide in marmo con la scritta “Questo pezzo di terra, una volta isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano”. La targa venne poi distrutta forse da un’ancora ma subito sostituita.

Nel mese di settembre del 2006 è stato posizionato un sensore di pressione sulla vetta sottomarina della Ferdinandea, per il monitoraggio dell’attività sismica dell’importante edificio vulcanico. Il “sarcofago” contenente lo strumento di misurazione registratore è stato recuperato da un’altra equipe il 22 settembre 2007, quando in corrispondenza di una delle bocche del vulcano venne registrato un anomalo aumento della temperatura del mare di 3 gradi. L’evento destò molta preoccupazione in vista del passato non troppo lontano quando un maremoto devastò il porto di Sciacca. Un innalzamento termico così elevato in un’area di mare di quella vastità si poteva spiegare solo con la presenza di un enorme sistema eruttivo sottomarino.

La posa della lapide che rivendica l'Isola sommersa all'Italia e alla Sicilia, ma il problema è fuori discussione.
La collocazione del sensore che tiene sotto controllo costantemente i movimenti del fondale… La Ferdinandea potrebbe tornare, ma frattanto qualcuno va a …trovarla.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha compiuto dal 17 al 21 luglio 2012 la prima campagna di monitoraggio sottomarino nell’area, effettuando un rilevamento geofisico ad alta risoluzione sopra il Banco Graham (-6,9 m sotto il livello marino) e i banchi Terribile (-20 m) a est, e Nerita (-16,5 m) a NE con la nave da ricerca Astrea dell’ISPRA. Questa prospezione ha permesso di riconoscere la presenza di 9 crateri vulcanici monogenici (di analoga formazione, mentre vulcani come Etna e Stromboli sono considerati eterogenici, ndr), distinti fra loro, a cui dovrebbero corrispondere altrettante eruzioni avvenute in passato nella stessa area.

L’area è conosciuta anche come Campi Flegrei del mar di Sicilia, perché in quella regione, situata nel canale di Sicilia tra le coste di Italia e Tunisia, sono riuniti ben 13 vulcani di cui l’Empedocle è il più grande.  Questo gigante sottomarino è stato scoperto solo dieci anni fa, per caso, da Domenico Macaluso, il quale rilevò la presenza di 3 coni eruttivi, quello che diede origine all’isola Ferdinandea, il Terribile e il Nerita.

Il bacino tirrenico è la parte più profonda del Mediterraneo Occidentale: la Fossa del Tirreno raggiunge i 3800 metri di profondità. Il suo fondale è caratterizzato dalla presenza di numerose dorsali sottomarine e da rilievi di tipo vulcanico. Alcuni vulcani sottomarini sono ancora attivi e talvolta manifestano la loro presenza rilasciando gas e deformandosi molto lentamente. Il Marsili, ad esempio, è noto come il più grande vulcano d’Europa, per formazione vulcanica. Anche lo Stromboli, del resto, super l’Etna. Marsili ha una lunghezza di circa 60 km e una larghezza di 30 km. Ha un’altezza di 3 km rispetto ai fondali circostanti. Si trova a circa 140 km a nord della Sicilia ed a circa 150 km ad ovest della Calabria.

Franco La Valva

(fonti di consultazione: Salvatore Mazzarella “dell’isola Ferdinandea e altre cose”; Meteoweb; Centrometeo italiano; Blasting news; focus.it; vanillamagazine; nauticareport;).

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Molto si dice dei fondali del pescoso Canale di Sicilia, che a sud viene anche chiamato Mar d’Africa. Oggi è funestato dai naufragi dei migranti e conteso e discusso per la presenza di petrolio sottomarino. E’ anche un mare molto pescoso, ben più del Tirreno. Vi si trova ancor oggi ogni tipo di pesce e crostacei. I famosi gamberoni, i gamberi rossi e rosa che fanno nota Mazara del vallo, maggio porto peschereccio del Mediterraneo avanti a San Benedetto del Tronto. Ma non bisogna pensare che le due marinerie peschino solo nei loro mari… Nei fondali vi sono sempre aragoste e cernie anche di grandi dimensioni.

Una cernia che "indossa" una livrea mimetica conforme al fondale, fotografata nei pressi dell?Isola Ferdinandea
Una grossa cernia che “indossa” una livrea mimetica conforme al fondale, fotografata nei pressi dell’Isola Ferdinandea, nuota indifferente in mare aperto.

I più esperti “capitani” dei pescherecci conoscono rotte segrete che attraversano “dorsali” e crepacci sottomarini da cui si può ancora tornare con la rete piena.   Le hanno “ereditate” dai “padri” e non le confidano a nessuno.

E’ opportuno regolamentare e, soprattutto, innovare i metodi di pesca e le attrezzature di bordo assieme agli stessi “scafi” dei pescherecci. Solitamente si esagera, per opportuna prudenza, sul tema del depauperamento del mare. In realtà, il mare ha dato delle risposte assolutamente inattese a tutti coloro che lo descrivono moribondo da oltre 50 anni. I miti sul Canale di Sicilia riguardano la storia, la stessa Atlantide (la Ferdinandea proverebbe, secondo qualcuno la possibilità di sprofondamenti…), ma anche la vita sottomarina. Si dice che in alcuni anfratti si riprodurrebbe lo squalo bianco., Frequente e temuto ai pescatori è lo squalo martelli, che questi soprannominano “il Carabiniere”. (G.Scargiali)

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