Una sinistra subordinata ai potentati può essere solo perdente

Andare a braccetto coi potenti è certamente più piacevole che coi poveracci. E’ questo il percorso scelto dal PD ormai da tanto tempo, ma ora sta finendo per mostrare anche il risvolto della medaglia.

Quando si sta al governo il potere fa da collante, ma se si finisce all’opposizione questo vantaggio si perde e allora occorrerebbe elaborare un programma nuovo per offrire speranza al proprio elettorato potenziale.

Il PD, però, a sinistra, non si trova da solo: ha infatti due avversari non di poco conto: il Movimento5stelle e Azione, il primo guarda al popolo del reddito di cittadinanza, il secondo alla borghesia liberale, posizionata su opposte barricate. Occupando una posizione centrale, il PD avrebbe potuto mediare tra i due e cercare di ottenerne un consenso, almeno parziale. Le cose sono andate in modo del tutto opposto perché, guidati da Enrico Letta, i democratici hanno cercato, invece, di togliere voti a entrambi i partiti alleati, senza considerare che le guerre si possono vincere, ma anche perdere. E così è stato. La caduta del governo Draghi e le successive elezioni del 25 settembre hanno, poi, messo la parola fine a un’ammucchiata priva di senso.

In realtà, ad essere in crisi, è l’ideologia sottostante. Dal ’68 ad oggi la realtà è completamente mutata, ma mentre i partiti di centro destra se ne sono accorti, lo stesso non è avvenuto a sinistra, il che ha portato alla sua frantumazione. In verità, il Movimento5Stelle aveva cercato di modificarsi e rendersi più adeguato ai tempi, ma avrebbe dovuto osare di più e riuscire a distaccarsi da potentati ingombranti che ne pregiudicano l’indipendenza di azione.  Il partito comunista, un tempo, faceva riferimento al ceto operaio e, in genere, a classi subalterne portatrici di rivendicazioni salariali, ma i grandi complessi industriali di una volta sono quasi scomparsi, il lavoro si è molto trasformato. Multinazionali straniere aggressive e invasive hanno preso il posto delle vecchie aziende a conduzione familiare, che avevano un padrone sì, ma col quale almeno si poteva parlare, scomparse le banche territoriali interessate alle necessità del territorio, infine, il lavoro è diventato precario e mutevole. Insomma, alla sinistra è finito per mancare il terreno sotto i piedi.

A guidare il PD ora è arrivata Elly Schlein. Non ha un’eredità facile da gestire. La sua posizione ideologica, infatti, se accontenta la fascia più radical chic, elitaria e settaria del partito, allontana, invece, i “socialisti”, più vicini alle classi disagiate e i cattolici, senza neppure riuscire a coinvolgere chi manifesta idee più moderne riguardo all’economia, come vorrebbe, invece, l’area più centrista.

Chi vivrà vedrà, recita il proverbio. Certo, ci piacerebbe che a guidare il partito di opposizione, in Italia, fosse qualcuno o qualcuna in grado di capire le vere esigenze del paese e venire incontro alle necessità della gente. Non sembra che questo, con la Schlein, sia avvenuto. Quando, e se ciò accadrà, sarà un bel giorno per il paese, che non sarà più arroccato su posizioni diametralmente, ma avrà raggiunto una maturità e una consapevolezza tali da rendere più agevole un percorso di crescita economica e culturale.

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