Fermat la sua matematica: Curiosità stimolanti relative

Pierre de Fermat matematico francese
Marlene Dietrich muove qualche passo di danza con il grande Sachmo, Louis Armstrong.
Marlene Dietrich muove qualche passo di danza con il grande Sachmo, Louis Armstrong.
L'irresistibile fascino di Marlene in una foto color dell'anteguerra. La qualità dell'immagine prova che il mondo moderno era già iniziato. Bella e fatale, la donna doveva possedere carattere e cultura. L'attrice si espresse in letteratura con Marlen Dietrich ABC.
L’irresistibile fascino di Marlene in una foto color dell’anteguerra. La qualità dell’immagine e lo stesso look provano che il mondo moderno era già …decollato. Bella e fatale, la donna come l’uomo – al tempo di …Casablanca –  doveva possedere carattere e cultura. L’attrice si espresse in letteratura con Marlen Dietrich ABC.

 

 

 

 

 

 

 

Noi viviamo nel buio della conoscenza. Io e voi tenteremo di capire!

Per inciso: Chi avesse voglia di vedere in forma tridimensionale questo genio della matematica lo può fare, recandosi a Tolosa nella sala degli Illustri del Campidoglio in un monumento lapideo del 1898 scolpito da Charles Barrau…

Bisogna forse attendere (per chi è credente) che l’Agnello della Teofania (manifestazione del Dio) dei bellissimi mosaici di San Cosma e Damiano a Roma, sciolga il “rotolo dei sette sigilli” per conoscere?

Ovvio, la risposta è positiva (per chi è credente), ma intanto aiutiamo un pochino l’uomo a conoscere quello che può conoscere e ad essere un pochino più degno difronte a Dio nella sua esistenza terrena affinchè egli, nel quotidiano brancolare nel buio assoluto, possa per lo meno, non tanto capire, ma trovare un lido su cui rinfrancarsi e riflettere e sperare, molto sperare!

Sarà molto simpatico osservare e scoprire con stupore che i matematici a fronte di un problema procedono un po’ come la volpe che voglia entrare nel pollaio: la rete metallica è alta e scavalcarla non si può, si tenta allora il suo opposto, scavare sotto il livello del terreno, ma anche lì, la volpe s’accorge che la rete metallica penetra nella terra troppo profondamente, gira allora intorno al pollaio e un po’ fuori da esso trova una casupoletta, ci sale sopra e poi osserva la costruzione in legno che ricovera le galline; la volpe intuitivamente fa un calcolo se le sue forze siano sufficienti a farle compiere il balzo necessario per arrivare sulla costruzione all’interno del pollaio; si è possibile! Quindi salta e arriva alle galline!

Detto questo non vorrei che voi pensaste che il matematico proceda per tentativi “ciechi” un po’ come fa il deficiente: “proviamo, vediamo, non so, forse ci riesco, mah, boh!!”

Il matematico, quando nei suoi studi s’imbatte in un enigma, va alla ricerca d’un metodo per affrancare “l’enigma” dal campo dell’inspiegabile e a tal proposito inizia a costruire dei percorsi matematici in modo, per lo meno, da circoscrivere “l’enigma” o addirittura puntare al suo cuore pulsante: spiegarne l’esistenza, senza i quali percorsi matematici, quell’enigma rimarrebbe per sempre tale.

Vi sono costruzioni matematiche lineari, snelle, chiare ma che non godono di quella brillantezza di cui altre rifulgono, sia per eleganza espositiva, sia per arguzia di cui il matematico è fornito e che difettavano in altri colleghi; a queste ultime i matematici conferiscono l’attributo di …bellezza!

Ecco spiegata la “bellezza” matematica che i più tra di noi stenteranno a riconoscere come tale, anzi, saranno talmente ottusi da affermare che…<<la matematica è fredda e arida>>!

Voglio ricorrere ora ad un bellissimo passo del libro “Imitazione di Cristo” curato da Stella Morra Giunti Demetra 2016.

Scacci il lettore dalla mente ch’io desideri fare dei proseliti, tuttavia m’è sembrato illuminante, quel passo, per un tipo di conoscenza un po’ diversa da quella scientifica che pure ha dei riflessi positivi sulla nostra volontà ed attività nel conoscere e sulla stessa scienza (poiché il vero conoscere non si limita ad un puro esercizio intellettuale volto alla “scoperta” e soprattutto lontano dal nostro “io” profondo) e che, in un certo senso più sottile del semplice “speculare” fa, quel passo, riflettere sulle nostre azioni quotidiane e sul nostro agire, i quali, se impostati come il passo indica, potrebbero favorire la nostra disponibilità sincera a “conoscere”.

Questo il passo:

…Non leggere con lo scopo di apparire più colto e più sapiente; cerca invece di correggere i tuoi difetti, perché questo ti gioverà molto di più che non la conoscenza di tante difficili questioni.

Non c’è bisogno di dire che il brano è inserito in un “manuale” (definizione molto inappropriata) di cura dello Spirito, ma, ben esaminandolo, risalta “correggere i tuoi difetti” come un avvertimento non solo riguardo al modo comportamentale morale interiore ed in pubblico etico, ma anche come un monito per la nostra mente a non usare concetti vaghi, ingannevoli e apparentemente risolutivi sia in campo sociale che in quello individuale che in quello della ricerca.

Senza snaturare il bellissimo testo teologico, potrei dire che “i tuoi difetti” di presunzione e di supponenza e di saccenteria (aggiungo io) ti porteranno sicuramente all’errore.

Anche Marlene Dietrich, nel suo utilissimo “Marlene Dietrich’s ABC” (1961, 1962, 1984), si occupa di difetti, difetti ingenerati da una scarsa attitudine a scoprire “se stessi” con grande ostinazione a confermarli piuttosto che ad ammetterli e conseguentemente soffrire per l’errata visione di “se stessi” che porta ad un catastrofico epilogo di “se stessi”!! Ella si riferisce alla supervalutazione che una donna dotata dalla natura di bellezza, dà ad essa, affermando che costei dovrebbe avere un senso dell’autodisciplina maggiore di quella posseduta dalle sue colleghe che di questa dote sono prive; è un difetto quindi pensare che la bellezza sia un “pass per tout” sicuro per raggiungere il successo.

Scrive Marlene Dietrich: “…Riconoscere i propri difetti è sgradevole, eliminarli, è anche più difficile. Nasconderli non è facile, anche se ci si riesce per un po’, rimane il senso di colpa. E anche il senso di colpa è sgradevole. Quindi, in ultima analisi, conviene non scavare troppo nel proprio io…”

Correggere i difetti appunto è un buon atteggiamento mentale per apprezzare la matematica!

Sicuramente si può dire che è un enorme peccato non possedere quella esperienza dei matematici e quella loro mente tali da farci estasiare alla lettura degli studi di Andrew Wiles (che sarà il primo protagonista della storia di Fermat con procedimento a ritroso nel tempo) e che, per questa ragione, saremo assolutamente esclusi da quella sua gioiosa felicità un po’ infantile che possiamo osservare sul suo volto quando porta a conoscenza della comunità scientifica matematica le sue conclusioni e che neppure possiamo esser contagiati da quella bellezza della matematica di cui tanto Pierre de Fermat scriveva nelle sue relazioni epistolari!

Dobbiamo semplicemente accontentarci di stupire di fronte alla portata storica delle conseguenze per l’intera umanità degli enormi sforzi di secolari studi quasi condotti in segreto da centinaia di “menti eccelse” tanto distanti temporalmente fra di loro, sebbene così contigui nella materia trattata.

John Milius nel 1978 girò un film assai interessante che vi consiglio di vedere: “Big Wednesday” in Italia conosciuto come “Un mercoledì da leoni”; la storia è molto complessa e coinvolge sentimenti personali, miti sociali, aspirazioni e pesanti sconfitte sullo sfondo drammatico degli USA degli anni ’60 e ’70 ai tempi della guerra del Vietnam; il mercoledì fatidico non è un giorno propriamente felice per i tre amici Matt Johnson, Jack Barlowe e Leroy, è la resa dei conti alla “storia”.

Il 24 giugno del 1993 (era un giovedì) il prestigioso New York Times esce con un titolo cubitale: “At last, Shout of Eureka in Age-Old Math Mystery (Alla fine un grido di Eureka su un mistero matematico augusto).

Si riferiva al giorno precedente, appunto un mercoledì, un mercoledì da ricordare.

Ma andiamo per gradi.

Prima di iniziare questa avventura nel mondo di Fermat, vorrei riportare due visioni del “buio della conoscenza”; la prima del protagonista del mercoledì 23 giugno, si tratta del già citato matematico Andrew Wiles, la seconda di Jalāl ad-Dīn Muḥammad Rūmī, poeta mistico sufi (per questa seconda definizione del buio della conoscenza è necessario specificare che il mistico la riportava a monito di chi richiedesse una descrizione del “sufismo” sintetica e rapida e per questa ragione va intesa come difficoltà a circoscrivere il concetto di sufismo ed io, personalmente, la estendo di significato, come difficoltà nella via della conoscenza in generale).

Andrew Wiles:

<<Entri nella prima stanza di un castello e ti trovi avvolto dall’oscurità. Avanzi a tentoni, sbattendo nei mobili. Alla fine, dopo circa sei mesi, trovi l’interruttore della luce e d’improvviso, tutto è illuminato.

Puoi vedere esattamente dove sei e quello che ti circonda. Quindi, vai nella successiva stanza e passi altri sei mesi nelle tenebre>>

(dal programma di divulgazione “NOVA” 28 ottobre 1997, trasmesso da Public Broadcasting System PBS).

Jalāl ad-Dīn Muḥammad Rūmī:

(nota di premessa: gli uomini che volessero possedere il sufismo, sono come gli uomini che…) <<…brancolavano in una stanza buia senza comprendere la natura di un oggetto – in realtà, un semplice elefante – mentre la percezione delle singole parti del suo corpo, offriva lo spunto agli equivoci più vari. Sulla base di un minimo indizio, ciascuno di essi, formulava un’ipotesi inadeguata…>> (informazione: una trattazione completa del succitato brano del sufi, può reperirsi in L. V. Arena “Il canto del derviscio” Oscar Mondadori Milano 1994, ediz.III pag 87-88).

Queste due affermazioni ho io riportato affinchè il lettore sia cosciente di quanto superficiali siano le nostre convinzioni quotidiane e di quanta fatica sia necessaria per “scrostare” la loro superficie dalle impurità dei facili discorsi e dai luoghi comuni.

Ritorniamo ora al mercoledì 23 giugno 1993 e ad Andrew Wiles, un mercoledì che non sarà proprio un giorno di gloria –vedremo poi la ragione- ma potremo definirlo, un passo prima della gloria, un mercoledì d’euforia che, qualcosa di postumo, trasformò in un giorno nero di tempesta cui seguì quella luce dell’interruttore di cui parlava poco fa, Andrew Wiles.

Questo mercoledì 23 era stato preceduto da due giorni in cui la comunità scientifica matematica aveva vissuto nella ansiosa attesa di un annuncio che si profilava quale epilogo esplosivo di due ore (una per giorno) di prolegomeni introduttivi.

Si trattava di una conferenza che l’Università di Cambridge aveva indetto sull’argomento delle curve semiellittiche (non ci si ostini nel comprenderne il significato e sia la definizione assunta come dato di fatto) o meglio sulla teoria dei numeri che presiedono alle curve semiellittiche.

A questa conferenza fu invitato appunto Andrew Wiles; l’estensore dell’invito fu il suo ex Professore John H. Coates che, sebbene avesse avuto Wiles come suo collaboratore per un problema matematico noto come la “ipotesi di Swinnerton-Dwyer”, ne aveva perse le tracce; Wiles infatti dal 1986 circa occupava un posto alla università di Princeton.

Persona riservata e molto schiva e timido di natura, Wiles, al momento dell’invito, fu parco di notizie riguardo i suoi ultimi studi matematici.

[Per le prossime brevi righe di spiegazione non ci si soffermi a tentare di comprendere quali e che cosa e quali siano i lavori della matematica e ci si faccia guidare dal susseguirsi degli eventi raccontati.]

C’ è però da fare una premessa che giustificherà l’intervento di Wiles alla conferenza: all’incirca nel 1986 un altro matematico, Ken Ribet, della University of California Berkeley, aveva felicemente concluso un suo lavoro riguardo un argomento chiamato “ipotesi epsilon” a cui precedentemente aveva lavorato Jean-Pierre Serre (un altro matematico), dimostrando che l’ipotesi di quest’ultimo era vera, ma ancor di più che un’altro lavoro di Taniyama–Shimura, che aveva a che vedere con alcune caratteristiche delle curve semiellittiche (l’oggetto appunto della conferenza dell’Università di Cambridge), poteva aprire le porte al famoso teorema di Fermat.

[E’ interessante ed utile osservare che:

si ricorre al termine “postulare” quando, volendo raggiungere un risultato, si vincola questo risultato alla richiesta logica che esso sia sorretto da una altra affermazione –appunto il postulato- senza la quale, il risultato che si vuole ottenere, non esiste e non può esistere!!!

Un esempio non matematico ma di grande effetto può chiarire il significato di postulare:

quando io affermo <<io cammino>> postulo ovvero richiedo, che sotto i miei piedi vi sia un supporto solido che mi sorregga e che permetta il mio camminare, non posso ovviamente camminare sull’acqua, né sospeso nell’aria!

In particolare nella matematica si ricorre ai postulati quando, a fronte di un problema di cui si voglia descrivere il procedimento risolutivo, si chiede che esso poggi – come pregiudiziale non dispensabile – su un assunto “il postulato” che ne costituisce un punto di partenza e dal quale si procede per logica deduttiva.

Questa definizione potrà senza meno chiarire il significato di un altro termine matematico: teorema.

A differenza del “postulato” il teorema è quel procedimento deduttivo prima indicato come conseguenza del “postulato o di altri teoremi o di ambedue”.]

Dunque tirate le fila di Ken Ribet-Taniyama-Shimura – curve semiellittiche e Fermat, ben ci si poteva aspettare che il silenzioso Wiles, pur avendo mantenuto uno strettissimo riserbo sui suoi studi e su quanto avrebbe esposto alla conferenza indetta dalla University of California Berkeley, avrebbe certo annunciato qualcosa di straordinariamente esaltante in quei 3 giorni della conferenza.

Anche Ken Ribet era stato invitato; egli, da vecchia volpe della matematica, aveva … mangiato la foglia: ecco che cosa aveva fatto l’amico Wiles in tutti quei lunghi anni di silenzio, aveva studiato qualcosa che potesse dimostrare il teorema di Fermat che da 3 secoli ossessionava le menti dei matematici!

Bene ora abbiamo fatto la conoscenza con il nostro Fermat.

Sicuramente il lettore rimarrà molto deluso da questo articolo, visto che ancora non si è parlato di lui e neppure dei suoi studi matematici; non è un grosso problema, poichè la mole di scoperte ed intuizioni di Fermat, vuole necessariamente che vi si dedichi più tempo e più spazio, ciò che sarà fatto in ulteriori puntate.

Forse il problema della “stazza” di Fermat è stato più presente nel matematico Wiles, visto che, come si disse precedentemente, quel mercoledì 23 giugno 1993, fu seguito da altri 2 anni di ricerca che egli dovette dedicare per portare a perfezione quanto gli era parso di aver concluso nella conferenza di University of California Berkeley!!!

Articolo di Fabio Massimo Tombolini da Roma per Palermoparla

L’argomento – avverte l’autore – non è certo chiuso…

[Per coloro che ricercassero una trattazione scientifica dell’argomento consiglio: “L’enigma di Fermat: una sfida lunga tre secoli” di Albert Violant 2013 RBA Italia delle cui informazioni sono debitore; ma anche Amir D’Aczel: “L’enigma di Fermat”]

Impaginazione scelta foto e didascalie di G.Scargiali

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NOTA 

Fabio Massimo Tombolini è uno dei nostri corrispondenti da Roma, coordinati da Nino Macaluso, che è stato il primo e svolge con passione e competenza il delicato ruolo di coordinatore.

Fabio Massimo è un artista e un intellettuale puro. Cioè un artista nel vero senso della parola. Sia che disegni o dipinga, sia che componga, si occupi di musica, teatro o di altra forma espressiva, non è mai meramente descrittivo. Fabio Massimo, da vero artista appunto, si interessa al messaggio. L’arte, se abbiamo capito bene la sua personalità, è per lui sforzo di comprensione e comunicazione.

Interessanti per chi scrive questa nota (la matematica per me è solo intuizione, vedo la realtà geometrica, ma mi blocco davanti ai numeri di cui scorgo fra nebulose nubi una poesia che per me resta ermetica) sono soprattutto, sia gli esempi “meno matematici”, sia osservazioni come quella che recita:

“...Non leggere con lo scopo di apparire più colto e più sapiente; cerca invece di correggere i tuoi difetti, perché questo ti gioverà molto di più che non la conoscenza di tante difficili questioni“.

Tale concetto è sempre valido, persino a partire dallo sport, un’attività intensamente praticata nella mia famiglia. La vita correttamente intesa – fatta di cultura in senso lato, in quanto proprio la conoscenza e l’intelligenza sono il dono maggiore con cui Dio o la Natura abbiano gratificato l’umanità – dev’essere vissuta come un continuo apprendere. Ciò, come spesso accade, è vero anche nel mondo fisico… Pensiamo ad una conseguenza naturale …anatomica. Una corretta andatura di corsa a piedi va interpretata fisicamente come una continua salita: illudersi di sbilanciare il corpo in avanti o di “barare”, poggiando con eccessiva leggerezza il piede, ricorrendo ad uno sbilanciamento in avanti come inseguendo la forza di gravità, esagerando le movenze naturali o diminuendole per faticare meno, risulta assolutamente penalizzante… Vogliamo dire che le scorciatoie portano di regola al precipizio. Voler “essere bello” mentre corri è, inoltre, la puntuale tomba di un buon andamento di corsa. L’uomo in natura non voleva, correndo, esser bello, ma sfuggire al Leone o acchiappare la preda etc…

La mente corre spontanea …all’Avere o essere di E. Fromm. Sentii dire ad un amico …intelligente: “diventerete forti”. “Perché?” fu la controbattuta. “Perché vedo che avete la modestia di imparare”. Gli anni seguenti, in qualche modo, andò proprio così …

Ma soprattutto mi preme dire che ascolto gente che ha letto miriadi di libri, ma mi chiedo che cosa ne sia rimasto dentro di loro. Perché la cultura – di cui appunto parliamo – non è ciò che è racchiuso in una enciclopedia. E’, piuttosto la capacità di trarne ragionamenti coordinati e interdisciplinari, che passino anche attraverso i valori della morale e attraverso la …sapienza di vita, forme di saggezza che sono la conseguenza ed anche il motivo della cultura. Esistono varie forme di intelligenza. quella che ti fa prendere 10 a scuola e 30 all’università. Quella che ti fa avere successo nel lavoro o che ti consente di arricchire. Esistono tante altre forme di intelligenza, ma sono piuttosto “capacità” o abilità, per intenderci… Vi sono grandi conquistatori di donne, seduttori e seduttrici. Altri che non riescono a trovar moglie – e la vorrebbero – ma a 25 anni dirigono un’azienda o un ufficio con successo e maestria… La cultura resta di solito estranea a queste “beghe”. Puoi averne poca, puoi essere a metà strada, puoi averne molta. Chi è sulla buona strada, se capisco ciò che recita quella riflessione che abbiamo trascritto in corsivo, desidererà sempre averne …di più. (Germano Scargiali – D.)

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Scritto il 17 maggio 2017 visite all’ 8 maggio 2018.

 

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