No all’Eutansia

Come spesso avviene, vi è di certo una grande maggioranza cui non si dà voce, che è contraria a queste false innovazioni così pesanti sulla realtà morale e civile della società. Chi vuole le false “novità” e quanti sono?

I finti buoni e quanto rende (alla casta) una legge sul fine vita

Nel procedere al contrario della civiltà, rieccoci ai giochi diretti dalla volontà politica in direzione del demagogico compiacimento di certe minoranze “anomale e deviate” della società, facili da “conquistare” perché idealmente e ideologicamente indirizzate verso soluzioni di vita che non esitiamo a definire “contro natura”. Tali sono le norme – alcune varate, alcune in progetto – che contrastano smaccatamente il bene stesso della vita, la sua intima essenza, il suo storico configurarsi ed evolversi, il suo intrinseco valore. Tali norme – destinate ad assumere carattere generale – contentano minoranze “perse” per antonomasia, che mai plaudirebbero al “sistema”, tranne per essere prese in considerazione, uscendo dall’anonimato… Probabilmente per conquistare queste sacche di consensi e – come vedremo – creare nuove forme di consumismo, il “potere” legifera contro il bene della società, contro natura, contro la morale: altro – sinceramente – non riusciamo a dire… Solo che chi governa vuol concedere – come fossero doni – norme che una libertà che allo Stato non costa nulla, anzi… E’ una dose di libertà  che è licenza gratuita – che consente – magri – di negare le libertà vere. Quelle che, invece, tutt’oggi mancano…

E’ o non è la vita un bene sommo, un dono splendido di Dio o, quanto meno, della Natura – legato alla ragione e alla conoscenza – che si evolve fisicamente e moralmente dall’attimo del concepimento a quello della morte? Non assistiamo nella storia, tramite la medicina e l’evidente spirito di conservazione, che essa sia un istinto prima che il frutto di un ragionamento, non è la storia umana mirata alla continua ricerca di una vita più lunga, oltre che più sicura e serena da parte degli individui e dell’umanità?

Niente di tutto questo, invece, se si sanciscono – come è avvenuto – unioni di tipo matrimoniale che non potranno mai essere destinate alla nascita di nuove vite. Che sono – neanche a dirlo – quelle omosessuali. Può sostituirsi un medico alla natura, contravvenendo allo scopo della sua professione (e al giuramento di Ippocrate), provocando la morte, anziché cercando di salvare la vita?

Come nel caso delle unioni civili (approvate lo scorso anno con una sorta di blitz), scatta ora la corsa per l’approvazione in parlamento della “legge sul fine vita” da approvare il più velocemente possibile, senza discussione né riflessione sui vari aspetti che essa presenta e sulle conseguenze che implica.

Che cosa pensare? Le osservazioni da fare su come si legiferi in Italia, in verità, sono tante e non si sa neppure da dove iniziare. Ad esempio, la creazione di un vincolo legale per le coppie omosessuali, tanto agognato da alcune (in fondo in numero esiguo), appare in stridente contrasto, sia con una tradizione millenaria, sia con l’atteggiamento della società odierna, in cui si assiste – invece – alla decrescita del numero delle unioni legali (matrimoni) da parte delle coppie eterosessuali, che, a quanto pare, preferiscono regolare i loro rapporti in altro modo, anche la legge sul fine vita che si vorrebbe approvare è zeppa di incongruenze, problemi irrisolti, interrogativi senza risposta…

Se si mettesse al centro del problema l’essere umano con i suoi bisogni e le sue sofferenze il problema sarebbe già risolto o quasi, con o senza legge, ma questo i media non lo dicono.

Se parliamo di malato in stato terminale, infatti, la soluzione c’è già: ricovero in hospice, adozione di cure palliative, persino la sedazione (primum lenire dolorem è l’insegnamento di Ippocrate), nei casi prescritti: dolore insopportabile, stato terminale sì, ma con obbligo per i sanitari di fare una scelta in consulto medico.

Si deve proprio ai progressi della sanità se allo stato attuale è più facile di una volta gestire pazienti gravi, sia per curarli, sia per attenuarne almeno le sofferenze quando le cure non fossero più efficaci. Resta solo il problema del sostegno psicologico al malato, che spesso cade in depressione. E’ lì che si dovrebbe intervenire ascoltandolo e non lasciandolo solo. Tutto ciò in un mondo che guarda avanti, che procede verso il meglio, non in uno che si fermi o – peggio – guardi indietro!

Andarsene da questo mondo – ovviamente – è ovviamente facile. E’ restarvi che, di solito, è più difficile. La meta non si conquista certo abolendola! Per questo basta un attimo, a volte un gesto, altre solo un pensiero…

La storia della medicina è una storia di lotta per la vita e non per la morte, per questo molti medici – memori puri e semplici del giuramento di Ippocrate da loro restato – si oppongono all’eutanasia e all’aborto. E’ normale che sia così: Ippocrate, l’antico terapeuta greco, vissuto prima dell’avvento del cristianesimo si preoccupò di codificare i doveri deontologici del medico, attribuendo ad essi un valore sacrale. Tutt’oggi il “giuramento” viene prestato dai medici nell’iniziare la professione. In linea è certamente  Scuola Salernitana.

Il medico, infatti, non deve essere venale, deve curare anche i poveri, deve rispettare la natura, deve mantenere il segreto professionale, deve difendere la vita dal concepimento fino alla morte naturale, “non deve” praticare tecniche destinate a provocare la morte, né l’aborto, né insegnarle ad altri…

Quel che, invece, il pensiero relativista propone è il ricorso immediato alla soluzione finale di hitleriana memoria: l’eliminazione fisica dell’anziano, del malato (anche se giovane), del disabile, di tutti coloro i quali vengono a torto considerati un peso per la società, il che è ciò che già accade in paesi come l’Olanda, dove molti anziani hanno paura di recarsi in ospedale, un luogo dal quale facilmente potrebbero non tornare vivi. Sì, perché il consenso del paziente al rifiuto delle cure libera il personale sanitario da ogni responsabilità. E’ accaduto persino che una paziente che tempo prima aveva optato per il rifiuto delle cure, se ne sia poi pentita, ma troppo tardi perché, nonostante si sia dimenata sul lettino operatorio e abbia manifestato una chiara volontà di non farsi uccidere, è stata costretta con la forza ed eliminata da sanitari il cui scopo dovrebbe essere invece quello di lottare per la vita anziché provocare deliberatamente la morte, addirittura usando la violenza.

Eccoci, quindi, ad una finta filosofia caritatevole, una carità pelosa, che nasconde, invece, un sostanziale egoismo nei confronti dei più deboli, considerati scarti e non persone. Colpisce, inoltre, il materialismo a sostegno di queste tesi che finisce per considerare l’essere umano solo un corpo senz’anima.

Gli ultimi mesi o giorni di vita possono essere quelli decisivi che ci fanno riconsiderare le nostre scelte di vita, ci fanno riflettere, magari pentire di certe azioni. Intorno ad ogni essere umano ci sono persone, familiari, amici e quel tempo che rimane tra la vita e la morte può essere decisivo per le tante conseguenze che riguardano altre persone. Basti dire che la vicinanza col nostro caro, che magari non era stata possibile in passato, risveglia in noi affetti, ricordi sopiti, rimpianti, ci rende più umani, più disposti a capire, a perdonare torti, a rivedere le nostre convinzioni, insomma ci rene tutti più umani e se noi perdiamo la nostra umanità che cosa ci resta?

Diventa un caso da copertina la vicenda di una singola persona, un dj depresso che rifiuta la vita, ma nel contempo viene silenziato il coro di disabili e malati gravi che, nonostante tutto, amano la vita e la vogliono vivere tutta fino alla fine. Fa pensare l’esclusione preventiva dal dialogo collettivo di tutti coloro che la pensano diversamente, che portano testimonianze di segno differente, di tante persone, familiari, personale sanitario, sacerdoti, che vivono quotidianamente a contatto col dolore e la malattia e avrebbero, invece, tante belle storie da raccontare, di amore, di cura, di accoglienza. Del resto, anche i proverbi lo dicono: non c’è rosa senza spine. Il pensiero unico imperante ci vuole tutti così: senza cervello, omologati a fotocopia l’uno dell’altro, possibilmente schiavi dei vari totem narcisistici, riservati, però, solo a chi se li può permettere: bellezza, lusso, piaceri, vizi. Gli altri, i poveri, danno fastidio, per loro perciò occorrono aborti, suicidi, sempre meglio che pagare pensioni o finanziare il welfare. Del resto, così come si uccidono i bambini che devono ancora nascere in un paese senza ricambio generazionale, così anche le politiche per il lavoro languono e sono anche quelle in linea con la rottamazione voluta dall’alto: via i posti a tempo indeterminato, via le pensioni di reversibilità, scomparse le pensioni di anzianità (molto utili alle famiglie) come pure part time e tutto ciò che può consentire di vivere in modo dignitoso… Se non si amano i bambini è evidente che non si amano neppure i giovani, gli adulti o gli anziani.

Basta, ad esempio, il confronto fra le spese sostenute per salvare le banche e quelle per la scuola, la formazione o l’inserimento lavorativo. Del resto, c’è chi crede che i tagli alla scuola o alla sanità siano necessari più di altri, ma spesso però non si tagliano i veri sprechi mentre non si spende dove si dovrebbe.

Individui vuoti, in tal senso bramosi di novità, irresponsabili, indifferenti ai problemi altrui (la depressione non si cura col suicidio, come si può fare in Olanda) sono i modelli da imitare al contrario di chi ancora segue strade opposte, ma il bello è che i finti buoni, i rampolli della casta, pontificano e fanno scuola dall’alto delle loro ben finanziate associazioni, e indovinate da chi.

Per concludere, si vorrebbe approvata una legge non sul fine vita, ma eutanàsica, che rovesci i valori fondanti della nostra etica storica e della società. Che si tratti di una tesi ideologica, manichea come molte altre proposte o approvate di recente in parlamento, lo prova anche il fatto che i promotori non intendono minimamente discutere o trovare una convergenza con posizioni differenti dalle loro, che non vengono neppure esaminate, perché considerate solo manifestazioni di bigottismo e arretratezza culturale. A dar prova di ignoranza – bigotta e manichea – sono, invece, proprio coloro che escludono dal dibattito chiunque non la pensi come loro. Già, “pensarla come loro” sarebbe un atteggiamento “moderno”…

C’è da ridere: La Bibbia stigmatizza con millenni di anticipo le effimere scelte di Sodoma e Gomorra, mentre il Giuramento di Ippocrate, concepito da chi non conosceva le sacre scritture concorda già con esse e prevede un’etica assolutamente in linea con la morale biblica ed evangelica.

No, non siamo di fronte a modernità, non sono novità: è il ripetersi triste di vizi antichi, di peccati noti – come poeticamente dice il Foscolo – sin “Dal dì che nozze tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose”. E’ il ritorno a vecchie devianze civili, non un passo verso la conquista di nuovi traguardi. (Gelis)

(Questo articolo è liberamente dedicato al Movimento perla vita e alla Milizia dell’Immacolata e all’impegno morale e  civile di due enti)

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