L’arte la vita la scienza la cultura: non separiamole

Schopenhauer (a sx) intuiva le gravi conseguenze cui portava il pensiero idealista di Hegel. Questi, da opportunista, assecondava lo statalismo voluto dal re di Prussia. Visse fra gli onori e le sue lezioni all’università di Berlino riempivano l’aula. Il contrario per Schopenhauer ed anche per Nietzsche, ribelli e insofferenti allo status quo: filosofi da rileggere, vissero poveri e morirono nello sconforto…
Leopardi e Schopenhauer : vi sono scelte similari nella loro interpretazione della vita
Leopardi e Schopenhauer : assumono atteggiamenti similari di fronte alla vita… Considerati pessimisti, lo sono di meno in una lettura articolata delle varie parti del loro pensiero. Il poeta italiano, apprezzato nel mondo, non è considerato un filosofo, ma nelle operette morali le sue considerazioni hanno spesso valore universale. Il filosofo tedesco è citato anche per gli aforismi che spaziano nell’intimo, nel sociale e nella politica… Hegel fornì al Re di Prussia il “lasciapassare” per uno statalismo perfetto, in cui l’apparato, come una mamma, assicurava ai cittadini “il migliore dei mondi possibili” pensato tale da Leibniz, ma anche da Platone e Rousseau .

Di Germano Scargiali

Se la scuola non prepara alla vita, questo può essere soltanto un sintomo. Il fenomeno è, quasi certamente, più vasto… I giovani, oggetto di tante attenzioni, lasciano le “superiori” con un diploma dopo aver studiato botanica senza saper riconoscere, però, gli alberi, i fiori e le piante della propria città. Studiano geografia, ma li si vede in difficoltà di fonte a semplici domande sulla posizione di stati e regioni, forse ancor più sulle città vicine, anche della propria regione, per non parlare di quelle lontane… Di storia e letteratura hanno nozioni vaghe e scollegate. Che dire degli stili nell’arte o nell’architettura  e, peggio, delle correnti filosofiche? Quali sono i grandi dubbi esistenziali dell’umanità. Neanche questo sanno. Non conoscono brani a memoria. Se reciti Dante – scrivevamo in questi giorni – possono riderne. Di Leopardi sanno che era gobbo… E noi che avevamo sottovalutato tale deformità, parlando di scoliosi…

Dobbiamo infierire? Nell’Italia, culla della musica, che ha fornito lo stesso vocabolario musicale al mondo. Ma gli italiani, specie i giovani, non sanno che cosa sia esattamente uno spartito, non conoscono i nomi dei protagonisti delle opere liriche e di queste ignorano, sia la musica, sia l’autore. Solo un paio di certezze circolano: che la donna è mobile e che il pensiero va sull’ali dorate. No, Leoncavallo non è qualcosa che riguardi un circo equestre. Ma perché Rossini rappresenta una svolta nella musica. Chi erano i lirici napoletani?

Arthur Schopenhauer (caricatura firmata Mitch Francis). Il colmo del modo di fare cultura? Quando i media fanno la cronaca veloce di eventi particolari e specialistici - in un realtà che non conosce Scipione e Cincinnato, Caporetto, Vittorio Veneto ed El Alamein, conoscendo di Giotto forse solo la O, dando per noti fatti e concetti di cui parlano in fretta...
Arthur Schopenhauer (caricatura firmata Mitch Francis). Il colmo del modo di fare cultura? Quando i media fanno la cronaca veloce di eventi particolari e specialistici – in un realtà che non conosce neppure Scipione e Cincinnato, Caporetto, Vittorio Veneto ed El Alamein, conoscendo un pittore, Giotto, forse solo la O – dando per noti fatti e concetti astrusi cui accennano in fretta… Allo stesso modo “aprono i musei” la domenica, ma la gente non conosce neppure la storia e la geografia necessarie a capirne qualcosa…

Chiediamo ai siciliani: Cavalleria rusticana ha un intermezzo sinfonico di pregio? Chi aveva scritto la novella?  Il vero “scollamento” non è, però, fra l’istruzione scolastica – università inclusa – e il mondo del lavoro, come di solito ci si lamenta. La frattura è, come dicevamo, fra la scuola e la vita. Peggio: un vuoto difficilmente colmabile – e l’eccezione conferma la regola – è presente fra la cultura e la vita. Ciò che avviene a scuola è una delle conseguenze di tale frattura. Ancor di più: nella mentalità corrente c’è una frattura fra l’arte e la vita.

Come, infatti, evitare il salto logico e mentale, se il concetto di cultura comunemente diffuso vive in una sfera a sé, separata dalla vita? Non si ritiene, forse, di solito, che vi sia “anche” una sorta di dicotomia fra la teoria e la pratica? Come inquadrare in un unicum il pensiero e l’azione? Sono tutte conseguenze che hanno un’unica “radice”, un errore di base.

Non siamo certo i primi a notare come la “normale istruzione” lasci i giovani …spaesati. I corsi di perfezionamento post universitari, in pratica indispensabili, ne sono la riprova. I master sono un must.  Le aziende, inoltre, sottopongono i neoassunti a nuovi corsi interni che ripartono spesso da …molto indietro. Insegnano, in pratica, un mestiere ai nuovi arrivati, includendo nozioni psico – sociologiche. In sostanza, oltre a spiegare opportunamente i “segreti del mestiere” provvedono a fornire (o cercano di fornirlo) quel legame, senza il quale non si può lavorare, fra la cultura e la vita.

Entrando nel vivo, ricordiamo che la scuola italiana viene “accusata” di essere “crociana”, dal nome del filosofo B. Croce. Basti ricordare che la riforma scolastica, che si tenta di superare – senza però imboccare la strada giusta, ma rimanendo sostanzialmente lungo la medesima con altri errori in più – è opera di Giovanni Gentile, un filosofo “tardo idealista”, che si innesta, pur innovandolo, nel pensiero di Benedetto Croce. Si dice che questo filosofo, considerato il più grande dei due, anche per la quantità di scritti ed argomenti affrontati, rimase chiuso nella vecchia stanza dell’idealismo, mentre Gentile – almeno – ne aprì le finestre, ma guardò il mondo da dietro i vetri… A dirlo sono i “nuovi filosofi” che hanno rotto i ponti (così si sostiene) con il “modo tradizionale di filosofare” e danno per morto l’idealismo.

Facile a dirsi. Ma “quanto” è morto realmente l’idealismo, che fu di Platone e di Hegel, che appartenne sotto traccia a tanti pensatori (inclusi i razionalisti e lo stesso Kant), nella mentalità corrente?

Chi legge questa pagina facilmente ricorderà che Hegel diede il “la” a due correnti di pensiero, che sono dette destra e sinistra hegeliana. A chi parla di supposta morte dell’idealismo basti rispondere che le ideologie (oggi anche queste si dicono scomparse, ma non è vero…)  che dividono il mondo socio politico in “destra” e “sinistra” si basano su quella divisione. Approfondendo di più, la sinistra e l’illuminismo seguono il punto di vista che fu di Parmenide e Platone (un mondo statico e perfetto cui occorre adeguarsi con la “semplice” conoscenza), dall’altra la destra che segue Eraclito, Democrito, Pitagora… Tale visione è assolutamente alternativa alla prima: si può dire che gestire il cambiamento e soprattutto la molteplicità del cosmo (il mondo, la terra, la realtà) rappresenti la virtù. Potrebbe dirsi che il tentativo di ridurre il molteplice all’unità (un solo gesto, come cogliere la mela) sia l’intimo senso el peccato originale…

In concreto, siamo di fronte a due “mentalità” opposte e inconciliabili. Da qui tante insanabili dispute in politica, ovunque, anche al bar… Da una parte stanno i socialisti in genere, purtroppo influenzati dal marxismo e, se vogliamo, in linea (con atteggiamenti lapidari e …ristretti) con la Rivoluzione francese: la rivoluzione francese, secondo tale visione, “è” il …progresso, lo spirito del progresso. Perché, secondo noi, questo è un errore? Perché il progresso non sta nell’illuminare ciò che è, ma nell’accettare, seguire, favorire, alimentare il divenire.

Dall’altra stanno i romantici, una parte dei fascisti (ma finiscono per rientrarvi tutti) e persino i liberali… Naturalmente, questi ultimi dovrebbero essere “fuori dalla mischia“. Non dovrebbero essere chiusi in una “stanza senza finestre”, ma avviene che, in un mondo zeppo di destra e sinistra hegeliana, finiscono per chiudersi o essere artificiosamente chiusi da altri, anche loro, in una sommaria classificazione: paradossalmente nell’ambito della destra. Quindi i liberali sarebbero retrivi. La sinistra, invece si è auto referenziata in vari modi, ma soprattutto definendosi “progressista”. Sarà… La storia, però, ci mostra che i fascisti ed anche i nazisti erano quasi maniacali nei confronti della scienza, della tecnica e della modernità. I librali amano il progresso per tendenza, vocazione, filosofia di vita…

Proprio quest’ultime considerazioni comprovano comunque che si è avvezzi a pensare – stavamo per dire lavorare – elaborando mere idee, senza confrontarle con la realtà: quella, forse, che abbiamo su definito come “la vita”. Anzi l’abbiamo anche inquadrata in un ambito più vasto…

Il risultato è quello cui accennavamo prima. La dicotomia fra la cultura, che procede – o ama procedere – attraverso la mera “dialettica” delle idee, e la vita si accompagna, in sostanza, ad un’altra frattura: quella fra l’arte e la vita. Il “dramma”, perché di questo si tratta, è che non si capisca che l’arte senza la vita non è arte e la cultura senza il mondo non è cultura.

Il “da farsi” è di sbloccare tutta questa concezione, che è una cristallizzazione, è un fenomeno socio – civile, radicato sul terreno antropologico. A compiere il miracolo non può essere che la cultura stessa.

E’ la cultura – essendo più “potente” dell’ignoranza – può uscire fuori dalla turris eburnea nella quale vive rinchiusa, perché contagiata dalla mentalità idealistica. Perché è certo che molti individui “interfaccino”, anche con disinvoltura arte e vita, cultura e realtà… I veri artisti lo fanno. In molte zone del mondo – nella stessa America, nel mondo anglo sassone, in oriente – il male è minore o quasi non esiste. E’ anche vero che in molti, consapevolmente o istintivamente, programmaticamente o casualmente, ci hanno “provato” a compiere l’interfaccia, anzi “il gran salto” di cui parliamo, riuscendoci certamente grazie a doti personali. Ovunque troviamo artisti e scienziati che, di regola, sono usciti da quella …trappola.

Se si insegnasse e si acclarasse che l’arte è niente senza la vita e che la buona teoria si distingue poco o nulla dalla buona pratica, si sarebbe compiuto – forse – un passo decisivo.

E’ per gelosia che i detentori di una sorta di segreto non si aprono? Non lo insegnano? Forse. La considerano una “chiave di volta” che è meglio tenere per sé? Chi lo sa…

Certo, pensatori come Platone ed Hegel, lo stesso Marx, questo piccolissimo filosofo dal grandissimo effetto storico – hanno le loro grandi colpe. Platone e il suo maggiore epigono, Sant’Agostino, si accorsero in vita che l’assolutismo del loro modo di pensare risultava, imprevedibilmente, immorale. Il loro modo di pensare era in linea con la concezione degli eleatici, Parmenide e Zenone, per cui la perfezione era vicina: un Dio perfetto non avrebbe potuto che creare un mondo perfetto. Per cui bastava lasciarsi guidare dalle idee – che più avvicinano al Creatore stesso – e uscire fuori dagli errori del corpo, per aggiungere traguardi già alla portata dell’umanità…

La stessa chiesa, pur abbondando di pensatori e preti che odiano Platone, perché negava esistenza alla materia e alla materialità, quindi alle stesse caratteristiche corporee, cui il cristianesimo attribuisce, invece, grande importanza (pensiamo al Deus Corporeus), per non parlare dell’ebraismo e dell’islam, ha accettato al contempo idealismo e razionalismo, culminati nelle grandi figure filosofiche di Agostino e Tommaso, considerando polemiche le due posizioni, ma “conciliabili” in una visione generalissima dell’intero corpo del pensiero…

Gli idealisti atei non sono meno “assolutisti” di Parmenide e amano in genere Platone, attribuendogli un pensiero sublime, pur togliendogli l’idea di Dio: essi accettano il mondo come perfetto di per se stesso. Tale lo farebbe la sua pura esistenza agli occhi di una umanità che nulla può fare – né deve farlo – per alterarne le caratteristiche e la natura. Di una cosa sono certi gli atei: di ciò che vedono. Tuttavia cadono nell’idealismo filosofico, perché più sicuro di ciò che si vede è il pensiero. Ad insegnarlo è l’illuminista René Descartes in un modo così lapidario, da restare famoso – con il nome latino di Cartesio – grazie ad una massima fra le più famose della storia: “Cogito ergo sum”, penso dunque esisto, ma intendiamoci, la certezza riguarda il pensiero. Che cos’è il pensiero se non un insieme di idee?

Personalmente, sin dal liceo, chi scrive queste righe ha pensato che gli idealisti e certi razionalisti come Cartesio – sostanzialmente idealisti anche loro – scherzassero, o compissero una sorta di esercitazione mentale e ne fossero anche consapevoli. Infatti questo modo di fare filosofia è sembrato – ad un certo momento – stucchevole – ai moderni. Per questo si è parlato di fine della filosofia tradizionale.

A procedere “vincenti”, nell’ambito della modernità, sono stati, infatti, coloro che articolavano il pensiero e agivano attraverso altri processi. La scienza, o ancor di più, la scientificità, valida ancor più se applicabile alla produzione e al “mercato” ha soverchiato la cultura. Le due sfere si sono allontanate. Hanno generato invece un sistema planetario a due, senza un sole, simile a quelli scoperti nello spazio di recente…

Ma veramente c’è fra noi qualcuno che avesse il dubbio di non esistere? Eppure la massima di Cartesio è affascinantissima. E’ una risposta, probabilmente, al “questo so che nulla so” di Socrate. Cartesio in quel momento la ricordava di certo e disse virtualmente al grande ateniese: “ora ti servo io…” Già, esisto, ma la certezza cartesiana riguarda il pensiero non la materialità…

Ecco, non a caso, Descartes è, assieme a Voltaire, Montesquieu e Rousseau, un pilastro dell’illuminismo e, al contempo della mentalità della Rivoluzione francese. Ma qual è l’errore? E’ quello di Platone. Affascinante, abbiamo detto? Ma questo è un guaio! Perché la filosofia di Platone è anche poesia e ha esercitato una grande influenza nella storia e sulla società, specie quando è stata ripresa in epoca recente da Hegel, sotto altra forma, ma sostanzialmente identica nelle basi, alle soglie dell’era industriale. Perché l’industrializzazione aveva bisogno di spirito pratico e non di poesia… Altri filosofi, come Nietzsche e Shopenhauer

E’ nata, frattanto, la statistica, è nata la sociologia, immateriale, apparentemente, ma in grado di fare da supporto ad un’altra scienza o tecnica: il marketing. Ciò che conta nell’era moderna è la fede nel progresso e, ancor più, nel risultato. La cultura viene forse ancora esaltata ma decisamene isolata. Ciò che conta per vivere sono solo quelle tecniche basate sull’esperienza e sull’osservazione che… “servono”, lasciando per un attimo importante l’idealismo da parte. Chi vi riesce è bravo, chi resta, come di più fa l’Europa e fa l’Italia in particolare, impelagato nel non saper decidere amleticamente fra la cultura e la tecnica, fra l’arte e la vita, perde la partita. Resta in una triste e pericolosa “esitation” che la cultura moderna non consente e non perdona.

Organizzazione della produzione e catene di montaggio, rilievi reali, marketing, studio e analisi del comportamento (qui l’idealismo non sarebbe stato inutile, ma non come pregiudizio…) sono stati ampiamente applicati da chi meno ricadeva negli errori dell’idealismo. A ben vedere ad essere maggiormente prigionieri nella stanza dell’idealismo sono stati i marxisti. I fascisti, per lo meno, avevano una gran fede – quasi spasmodica – nell’innovazione tecnologica.

Ma la strada ovvia, a questo punto, latitante ma non assente nel mondo di oggi, è quella di capire che le due realtà si compenetrano senza escludersi. Ed è vero da sempre, è storia: no, non sono due pianeti diversi, a meno che non vi sia al centro un sole e una opportuna “navetta spaziale” che faccia da continuo trait d’union.

Prima di concludere ci soffermiamo su una precisazione: non confondiamo le ideologie con gli ideali. La condanna delle ideologie, che – come i sillogismi di Dante – …ti fanno “in basso batter l’ali”, non va confusa con la condanna degli ideali intesi come mete da raggiungere: democrazia e libertà sono fra questi. Fra le conquiste ideali dell’umanità occorre ricordare “una vita migliore, più lunga, più …comoda”. Gli ideali innegabili sono i classici traguardi dell’umanità, tesi a creare condizioni di vita più civili, più giuste, che garantiscano all’individuo più sicurezza, quindi la pace e il benessere generale e individuale, lungo l’intera esistenza…

Riprendiamo i principi esposti all’inizio. Dev’esser chiaro che l’arte è niente senza la vita. Con quest’ultima l’individuo e la società devono confrontarsi, rappresentandola artisticamente. Perché il fenomeno artistico, l’amore per l’apparentemente inutile o meno utile sono ciò che ci avvicinano all’idea più importante, quella da non sopprimere per eccellenza: l’idea di Dio. Perché è vero che Dio possiamo solo immaginarlo.

Ma anche, stavamo per dire soprattutto, è la cultura – come scienza e semplice conoscenza – che deve confrontarsi con la realtà, con la vita, affrontandone i problemi, vivendo essa stessa nella società civile, interfacciandosi con essa. Una cultura di sole idee, come probabilmente non la volevano neppure gli idealisti, ma come ha finito per imporsi nella mentalità corrente, alla politica e persino nella condotta individuale di vita – vedi i dolori esistenziali dell’800 e del 900 – non è da intendere come vera cultura. Piuttosto è da rivalutare – perché fondamentale – la cosiddetta cultura antropologica. che la frenetica vita moderna, l’era del consumismo, disperde. Ecco, in tal senso il consumismo va combattuto e additato, assieme ad altri grandi errori di valutazione che l’uomo del terzo millennio si accinge ad affrontare…

Vedi anche l’articolo: “Caproni chi era costui” alla voce Scuola sotto Cultura. Vedi, se vuoi, gli articoli in Politica Palermo e Antologia palermitana sul governo di L. Orlando e la cultura cittadina (Capitale dell’Ignoranza?)…

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