Storie vere e men note attorno a quel 25 aprile

Veduta aerea dei primi mezzi da sbarco americani sulla spiaggia di Gela

Un po’ di storia ‘seria’ su ciò che accadde dal 1943 al 1944, quando gli sbarchi americani in Sicilia e ad Anzio determinarono, dopo quasi un anno di guerra sul suolo italiano, la capitolazione dell’asse italo tedesco sul fronte mediterraneo.

I libri di storia del dopoguerra raccontano di una ‘passeggiata’ delle truppe americane in Sicilia dopo lo sbarco. Non fu così: gli americani sbarcarono in Sicilia il 9 luglio 1943 e impegnarono oltre un mese per raggiungere la loro meta: Palermo.

Un carro armato Sherman aperto in due dalla difesa anti tank approntata dagli italiani.
Un carro armato Sherman aperto in due dalla difesa anti tank approntata dagli italiani.

Dopo una settimana era stato dato l’ordine alle truppe ‘alleate’ di risalire sui mezzi da sbarco – successivamente rientrato – per i colpi subiti da parte italiana. La collaborazione tedesca era marginale per numero di uomini e potenza dei mezzi. Anche le armi italiane erano’al lumicino’. Molti cannoni – l’arma più efficace degli italo tedeschi – erano stati sabotati da emissari clandestini o da soldati legati alla mafia siciliana in contatto con quella americana di guidata da Lucky Luciano…

Che vergogna per l’esercito alleato! Combatté in realtà una vera guerra: gli italiani e i tedeschi erano reduci dalle campagne di Jugoslavia, Russia, Grecia etc. Avevano inoltre subito i sabotaggi  orchestrati dalla mafia siculo americana cui gli americani riaprivano le porte, chiuse dal severo regime sovranista del ventennio‘. 

Ma quanto era grande uno Sherman? Aveva già anche i cingoli gommati per correre sull'asfalto. Per la lotta anti carro, gli italian,amnche ad El Alamein usavano anche bombe molotov utilizzando bottiglie di birra riempite i benzina.
Ma quanto era grande uno Sherman? Aveva già anche i cingoli gommati per correre sull’asfalto. Per la lotta anti carro, gli italiani, anche in Africa e presso El Alamein, si aiutavano con bombe Molotov  ottenute con vecchie bottiglie di birra. I fanti correvano molto vicini al carro fuori tiro dalle armi di bordo e minacciando i cingoli. Lo scopo era che il carrista uscisse con la pistola dalla torretta per liberarsene. Ma un fante (specie un bersagliere) era già sul carro e lanciava la bomba dentro la torretta saltando giù. Insomma una tecnica fatta di eroismo puro.

Il comportamento degli americani fu indegno. A bombardare dal mare furono mandate avanti le navi canadesi. Le teste di ponte, al momento dello sbarco, erano formate da truppe marocchine con licenza di saccheggio e di stupro. Seguirono gravissimi episodi di violenza casa per casa…

Ciò che si trova molto difficilmente sui libri è che, di fronte a tutto ciò, si formarono nuclei di un movimento partigiano siciliano anti americano. Gli italiani con l’uniforme e i pochi tedeschi presenti alloro fianco resistettero anche eroicamente. Alcune postazioni italiane combatterono al grido di ‘fino alla morte’, tenendo alto fino all’ultimo colpo il tricolore che riportava lo stemma sabaudo…

Ma i Savoia, dopo aver ceduto agli americani, ripagarono la Sicilia con ben diversa moneta e si verificarono vari moti siciliani (Palermo via Maqueda ma non solo) contro l’esercito italiano che aveva ‘cobelligerato’ – anche tramite nuove leve militari fra ragazzi ancor più giovani di quelli già non ancora chiamati alle armi nell’ultima parte della guerra– con gli invasori. All’Italia, infatti, gli americani non concessero la qualifica di alleati, ma di ‘cobelligeranti’. Un’analisi ‘diversa’ potrebbe concludere che i Savoia tradirono sia gli alleati tedeschi, sia gli stessi italiani. E ciò non si discosterebbe molto dalla verità. Pagarono il conto al momento del Referendum popolare che aprì le porte alla Repubblica. Questa, tuttavia, è da considerare come la pura e semplice continuazione del regime monarchico. Il che porta ancor oggi a visibili conseguenze nel costume politico, e quindi anche in quello sociale  civile. Il solo ad essere stato ripudiato è il fascismo, come se il re non avesse anche lui appoggiato Mussolini e il suo regime, portandolo inizialmente al governo senza consultare gli italiani alle urne e confermando in quell’organizzazione piena fiducia fino al giorno della sconfitta. Fra le altre cose,così come avvenne in Germania, la repubblica confermò i quadri dell’esercito fascista. E parliamo di ufficiali e sottufficiali, dai semplici marescialli ai generali e colonnelli…

Tutti cantano oggi – con poco garbo e tanto cattivo per quella che fu una fratricida guerra civile – Bella Ciao.

Ma armi e specialità dell’esercito conservano i motti dell’anteguerra e cantano motivi fascisti con le parole appena modificate. Citiamo l’inno dei carristi: “all’armi,all’armi e sian carristi…”. Invece di ‘allarmi, allarmi e siam fascisti…”

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Una memoria di un glorioso ufficiale italiano che combatté in Sicilia contro le cosiddette truppe ‘alleate’. 

“Su Monte Castelluccio ho innalzato un monumento ai miei morti. Ai piedi di esso ho posto una lampada votiva sempre accesa che io solo vedo, come io solo vedo il monumento.  Questa lampada è il mio cuore: io non potrò mai spegnerla finché sarò in vita perché io soltanto so quanto grande e glorioso sia stato il loro sacrificio”(Tenente colonnello Dante Ugo Leonardi, comandante del III°/34° fanteria Livorno)

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Quando le truppe giunte in Mediterraneo dal ‘nemico’ Oceano Atlantico’ (una guerra sorda, iniziata molto prima, continua di fatto ancor oggi) sbarcarono nello Stivale, la guerra era già persa. Pochi non lo capivano e non lo ammisero fino all’ultimo, sperando nell’arma segreta di Hitler.

Pubblichiamo adesso qualcosa che fa luce sugli eventi di quei tristi e lunghi giorni. Tutto ben differente dalle ‘storie’ che ascoltiamo a proposito del 25 aprile.

Se, infatti, nell’immaginario collettivo, la Seconda guerra mondiale e la Lotta di Liberazione in Italia tendono ad essere percepiti come un corpus omogeneo in un succedersi ‘causa-effetto’, tale linearità si altera a contatto con le storie ‘vere’ delle singole città e regioni.

È sicuramente così per la storia della Sicilia dal 1939 alla fine della guerra.

La Jeep fu il simbolo dell'invasione americana nelle città italiane. Oggi la fabbrica appartiene al gruppo Fiat FCA, John Philip Jacob Elkann (New York, 1º aprile 1976) è un imprenditore e dirigente d'azienda italiano. Designato dal nonno Gianni Agnelli come suo successore , è presidente e amministratore delegato della Exor N.V., una holding di investimento controllata dalla famiglia Agnelli, che ha tra i suoi investimenti anche PartnerRe, Ferrari, CNH Industrial, The Economist e Juventus. Attualmente è presidente di Fiat Chrysler Automobiles (FCA), FCA Italy e Ferrari.
La Jeep fu il simbolo dell’invasione americana nelle città italiane. Oggi la fabbrica appartiene al gruppo Fiat FCA, presieduta da John Philip Jacob Elkann (New York, 1º aprile 1976), imprenditore e dirigente d’azienda italiano.
Designato dal nonno Gianni Agnelli come suo successore , è presidente e amministratore delegato della Exor N.V., una holding di investimento controllata dalla famiglia Agnelli, che ha tra i suoi investimenti anche PartnerRe, Ferrari, CNH Industrial, The Economist e Juventus. Attualmente è presidente di Fiat Chrysler Automobiles (FCA), FCA Italy e Ferrari. La Jeep italiana adesso è il simbolo di una evidente rivincita. Altro si prevede grazie al lento ma sicuro procedere del Neo Rinascimento del Mediterraneo il cui segno maggiore  è dato dal primato del canale di Suez che, per il gigantismo navale’ ha esautorato Panama, sottraendo il grande traffico dagli oceani Pacifico e Atlantico.

Per l’isola la Seconda guerra mondiale, soprattutto dal punto di vista militare, finì decisamente prima del 25 aprile 1945, e precisamente con lo sbarco degli Alleati il 9 luglio 1943 che la occuparono interamente solo alla fine del mese di agosto: non sempre applausi e ‘grazie’ per la farina, lo zucchero, il caffè, il cioccolato, ma anche musi duri, imboscate e colpi di fucile…

I siciliani che tradirono il tricolore per disposizione della mafia, indottrinata da Lucky Luciano, fecero un danno enorme all’esercito italiano, ma furono, come oggi i mafiosi, uno sparuto numero rispetto alla popolazione. I più si comportarono con onore o, quanto meno, con dignità

La Sicilia dunque non ha vissuto le stragi compiute dai soldati tedeschi né vi fu una possibilità di collaborazionismo con la Repubblica di Salò.

La Sicilia non ha dato vita ad un proprio movimento di resistenza antitedesca. Visse, invece, un lungo e complesso dopoguerra, un periodo di relativa pace in un contesto nazionale di belligeranza.

Rievocando quegli anni, a livello sia istituzionale, sia storiografico, la tendenza è quella di concentrarsi sulla lotta partigiana o sulle azioni militari che dall’8 settembre ’43, e dopo due anni di resistenza armata e civile, hanno condotto alla sconfitta del nazifascismo.

Si sono così relegati a studi localistici eventi e fenomeni che si ebbero nel sud Italia. È ciò che è avvenuto ad esempio ai moti nel ragusano, all’insurrezione antimilitarista nota come la rivolta dei “Non si parte”.

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Per inciso la storia sintetica ed obiettiva dei fatti anteriori e posteriori al 25 aprile 1945, giorno in cui per l’Italia termina per l’Italia termina ufficialmente la guerra.

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Dal punto di vista formale, il Regno d’Italia (limitato alle regioni occupate dagli Alleati) dichiarò guerra alla Germania nazista il 13 ottobre 1943, ma già dalla sera dell’8 settembre, il Regio Esercito, privo di ordini efficaci da parte del Comando supremo, si disgregava e cedeva le armi nel Nord della Penisola sotto l’attacco tedesco, pur con alcuni rilevanti episodi di resistenza armata dalle truppe in uniforme e nonostante il disturbo provocato dal movimento partigiano

La Domenica del Corriere, settimanale del Corriere della Sera, esalta 'a caldo' la resistenza dell'esercito italiano in Sicilia. I bersaglieri adoperano un piccolo, ma abbastanza moderno, cannone da campagna contro i carri nemici...
La Domenica del Corriere, settimanale del Corriere della Sera, esalta ‘a caldo’ la resistenza dell’esercito italiano in Sicilia. I bersaglieri adoperano un piccolo, ma abbastanza moderno, cannone da campagna contro i carri nemici…

Frattanto, alcuni esponenti dei partiti antifascisti avevano costituito le prime organizzazioni politico-militari per opporsi all’occupante, dando inizio alla Resistenza partigiana, animata – soprattutto nei primi mesi – in larga parte da frange dei militari italiani sfuggiti all’ultima parte della guerra antiamericana e alla cattura da parte tedesca.

Dopo quasi due anni di combattimenti sia sulla linea del fronte che nelle regioni occupate ed amministrate dai tedeschi, con la collaborazione della Repubblica di Salò, il nuovo Stato fascista costituito da Mussolini dopo la liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso, le ostilità cessarono formalmente il 29 aprile 1945 con la resa incondizionata dell’esercito tedesco.

Successivamente a questa data, vi furono ancora alcuni combattimenti su territorio italiano e violenze e rappresaglie contro reparti fascisti ed esponenti politici o militari collaborazionisti.

Le operazioni si svolsero a partire dal settembre 1943 dopo l’armistizio di Cassibile e sino alla fine della seconda guerra mondiale.

Il 25 aprile 1945, anniversario della liberazione d’Italia, è celebrato in Italia come data simbolica della liberazione dell’intero territorio nazionale dalla dittatura e dall’occupazione tedesca.

Dal dicembre 1944 al gennaio 1945 in più zone della Sicilia si ebbero manifestazioni e sommosse per evitare l’arruolamento dei giovani nell’esercito regio, impegnato nella liberazione dell’Italia continentale. Il “Non si partefu un fenomeno largamente incompreso, sia dai partiti del CLN che dal governo Bonomi succeduto a Badoglio, sia dagli Alleati. Il movimento venne infatti etichettato come filo fascista, reazionario e separatista. Di fatto fu espressione di uno spontaneo antimilitarismo da parte di una popolazione stanca, cui era stato chiesto di sacrificare nuovamente i propri figli alla guerra e le proprie fatiche al Paese, cambiando però scopo e nemico, ribaltando ciòo che le era stato detto fino a quel momento. La popolazione aveva totalmente perso la fiducia nei ranghi dirigenti, e l’obbligo di leva venne interpretato come un ulteriore sopruso che privava nuovamente le famiglie dei propri cari e la terra di braccia giovani e forti.

Già nel corso del ’43 e nei primi mesi del ’44 in Sicilia si erano avute manifestazioni contro il caro vita e la miseria, le quali avevano portato allo scontro della popolazione con reparti dell’esercito sabaudo. Decine furono in questo caso i morti, centinaia i feriti e gli arrestati.

Quando, però, nel dicembre 1944 vennero richiamati alle armi i giovani nati nei primi anni ’20, la situazione nell’isola precipitò e si moltiplicarono le manifestazioni, inizialmente pacifiche, contro la leva obbligatoria. Sui muri delle città comparvero le scritte: “Non presentatevi”, “Presentarsi significa servire i Savoia”, e ovunque si improvvisavano comizi antimilitaristi. Ebbero così inizio i moti del “Non si parte”.

La prima mobilitazione contro l’arruolamento obbligatorio si ebbe ad Enna l’11 dicembre 1944, presto seguita da quelle di Palermo, Messina e dei comuni delle province di Agrigento, Caltanisetta, Ragusa, Siracusa e Trapani. Il movimento però divenne sempre più violento in seguito alla rivolta di Catania. Il 14 dicembre per le vie della città i militari aprirono il fuoco contro un gruppo di studenti che stava manifestando, uccidendone uno. La reazione della popolazione fu immediata e la gente di Catania insorse dando fuoco al Municipio e assaltando gli edifici pubblici. L’esercito monarchico, per ripristinare l’ordine, mise sotto assedio la città.

Contemporaneamente a Catania insorsero le località della provincia di Ragusa da dove, nel gennaio 1945, la rivolta esplose con particolare violenza propagandosi in tutto il sud della Sicilia. Il 4 gennaio a Ragusa i militari operarono dei veri e propri rastrellamenti nei quartieri popolari per portare via i giovani in età di leva. Diversi manifestanti tentarono di impedirlo.

Maria Occhipinti, una giovane protagonista della rivolta, si sdraiò incinta di cinque mesi davanti al camion carico di giovani per impedirne la coscrizione. I militari reagirono sparando sulla folla, uccidendo un giovane militante comunista e il sacrestano Giovanni Criscione. La rivolta, invece di arrestarsi, si inasprì e divenne una vera e propria insurrezione. I “Non si parte” presidiarono interi quartieri e costruirono barricate per difenderli.

A Comiso, sempre nel ragusano, fra il 5 e il 6 gennaio i carabinieri vennero fatti prigionieri da circa cinquecento persone che costrinsero anche la polizia ad arrendersi. Proclamarono così la “Repubblica di Comiso” retta da un governo popolare, con tanto di comitato di salute pubblica, squadre per l’ordine interno e distribuzioni di viveri a prezzi di consorzio. L’11 gennaio però, sotto la minaccia di un bombardamento alleato della città, gli insorti trattarono la resa. Nonostante gli accordi, tutti i ribelli, circa 300, vennero arrestati e confinati a Ustica e Lipari, per essere amnistiati solo nel 1946 con la proclamazione della Repubblica italiana. Piccoli fuochi di rivolta continuarono comunque in tutta l’isola fino all’autunno del ’45, ma con la caduta della Repubblica di Comiso la rivolta dei “Non si parte” ebbe di fatto termine e ben presto si tentò di dimenticarla.

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Non si può certo negare infatti che l’analisi dei moti siciliani abbia messo in imbarazzo i partiti antifascisti durante e dopo la Liberazione, e che ancora oggi l’etichetta di rivolta filo fascista, ribadita per decenni dal PCI, pesi sugli eventi, pur essendo stata più volte smentita da studi e dalle testimonianze degli stessi protagonisti.

Se, infatti, inizialmente l’appello alla rivolta venne lanciato soprattutto da studenti – esentati durante il fascismo dal servizio militare fino ai 27 anni – successivamente i manifestanti affluirono da tutte le classi sociali, soprattutto da quelle popolari maggiormente colpite dalla triste realtà economica.

Certamente i fascisti ebbero ogni interesse a sostenere la rivolta, sia per indebolire l’autorità del nuovo governo italiano, sia per far credere che la Sicilia fosse a favore della Repubblica di Salò. Tuttavia non si può ignorare che uno degli slogan dei rivoltosi fosse: “Non si parte, ma indietro non si torna!”. Ma esternazioni del genere non bastarono allora e non bastano ancor oggi: chi non si professa ‘di sinistra’ viene etichettato come ‘fascista’.

Anche gli indipendentisti cavalcarono l’onda della rivolta dato che il movimento ebbe in sé differenti anime, tali da non permettere un’etichetta politica univoca. Solo un elemento fu preponderante: l’antimilitarismo, accanto al carattere popolare, antimonarchico e repubblicano. Certamente tutto ciò indusse il re a concedere lo Statuto speciale alla Sicilia,tuttora in vigore.

Di fatto la rivolta dei Non si parte” fu un movimento – come quello analogo che interessò la Sardegna – largamente incompreso dall’Italia ancora sotto il giogo nazifascista. Se oggi è ancora possibile rimettere in discussione l’indignazione e l’interpretazione che, dal punto di vista politico ed emotivo suscitò la rivolta nel resto d’Italia, solo grazie alla tenacia di alcuni protagonisti dell’epoca, come la già citata Maria Occhipinti e l’anarchico Franco Leggio, i quali fino alla loro morte hanno raccontato, scritto e tenuta viva la memoria di quei giorni, rovesciando luoghi comuni e analisi superficiali, consegnando un ritratto prezioso della vita in Sicilia nella prima metà del ‘900.

È la “microstoria” infatti che permette di cogliere l’essenza dei grandi eventi, mettendo in risalto sfumature fondamentali alla comprensione del tutto.

(E’ stato consultato e utilizzato un articolo a firma Gemma Bigi)

Nota

Lo sbarco in Sicilia e l’incivile discorso del Generale Patton, comandante americano, in Sicilia durante la campagna d’Italia.

Il 27 giugno 1943, durante la preparazione delle truppe statunitensi in vista dello sbarco in Sicilia, il comandante della 7ª Armata statunitense, generale George Smith Patton, tenne un rapporto agli ufficiali della 45ª Divisione di fanteria, nel corso del quale tenne una sorta di orazione per motivare i soldati, che in alcuni passaggi fu molto duro ed esplicito:

“Se si arrendono  – Parole testuali di George Smith Patton – quando tu sei a due o trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano! Nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!” (Parole testuali di George Smith Patton)

Subito dopo lo sbarco in Sicilia le unità statunitensi si diressero verso gli aeroporti siti nella parte meridionale dell’isola. Si segnalarono già alcune stragi di civili, come quella che avvenne il 10 luglio 1943 a Vittoria, dove trovarono la morte dodici italiani, tra cui il podestà fascista di Acate, Giuseppe Mangano, e il figlio diciassettenne Valerio. Quest’ultimo, riuscito a svincolarsi, cercò di soccorrere il padre, ma fu ucciso da un colpo di baionetta al volto.

In particolare, il 180º Reggimento della 45ª Divisione di fanteria si diresse su quello di S. Pietro, identificato sulle carte statunitensi come aeroporto di Biscari Santo Pietro. L’attacco ebbe inizio nel corso della notte fra il 13 e il 14 luglio 1943, e i reparti dei difensori, in massima parte italiani, con nuclei tedeschi, dopo un’accanita resistenza si arresero alle forze statunitensi nel pomeriggio di due giorni dopo.

Le stragi

La prima strage da parte del capitano Compton

L’aeroporto di Santo Pietro era presidiato da una guarnigione di avieri comandati dal capitano Mario Talante, da un battaglione di artiglieri al comando del maggiore Quinti e da un reparto di truppe tedesche

Dopo intensi bombardamenti, l’aeroporto fu accerchiato all’alba del 14 luglio 1943. Gli avieri, la sera prima, furono divisi in due gruppi. Con certezza un gruppo, armato, questo, con i vecchi moschetti 91, fu lasciato in una casamatta nel tentativo di contenere l’avanzata degli americani. Furono presto presi prigionieri e uscirono dal rifugio con le mani alzate, mentre qualcuno sventolava un fazzoletto bianco in segno di resa. Ai prigionieri furono tolti vestiti, scarpe, oggetti di valore e subito furono messi in fila per essere fucilati per ordine del capitano John Compton. Di questo gruppo si salvarono solo due militari italiani – il caporale Virginio De Roit e il soldato Silvio Quaggiotto – che ai primi colpi riuscirono a darsi alla fuga e a nascondersi presso il torrente Ficuzza. In questo frangente perì anche il famoso atleta tedesco di salto in lungo Luz Long amico stretto di Jesse Owens. Come si sa, ambedue aveano partecipato alla Olimpiade di Berlino del 1936, la più grande della storia, superata solo nel 1960 dalla Olimpiade di Roma, quando furono costruite per la prima volta un villaggio olimpico. L’italia,a soli 15 anni dalla sconfitta diede un grande dimostrazione di forze e di benessere. Non si sapeva ma era il’la’agli anni del miracolo economico. Di esso, nonostante stupide illazioni, godiamo ancora: mentre il debito pubblico è pesante, la bilancia commerciale e quella dei pagamenti dell’Italia.

Biscari: Storia del disonore

Il mattino del 15 luglio il tenente colonnello W.E. King, un cappellano della 45ª Divisione, trovò una fila di cadaveri sulla strada che dall’aeroporto portava al paese di Biscari, a pochi metri da una grande quantità di bossoli americani, per un totale di 34 italiani e 2 tedeschi. Il tenente colonnello King trovò altri cadaveri allineati, quindi, presumibilmente, fucilati, prima di giungere all’aeroporto. Qui venne a conoscenza di un ulteriore gruppo di militari italiani fucilati.

La seconda strage: quella del sergente West

Un altro gruppo di prigionieri, incolonnato per essere condotto nelle retrovie e interrogato dagli uomini dell’intelligence, fu affidato al sergente Horace West, con 7 militari. Durante il tragitto si aggiunsero al gruppo altri 37 prigionieri, di cui 2 tedeschi. Dopo circa un chilometro di marcia furono obbligati a fermarsi e disporsi su due file parallele, mentre West, imbracciato un fucile mitragliatore, aprì il fuoco compiendo il massacro[7]. Al centro della prima fila c’era l’aviere Giuseppe Giannola, che fu l’unico superstite. Questi, in una relazione inviata al Comando Aeronautica della Sicilia, ricordò:

Fummo avviati nelle vicinanze di Piano Stella, dove fummo poi raggiunti da un altro contingente di prigionieri italiani del Regio esercito, e questi ultimi in numero circa di 34. Tutti fummo schierati per due di fronte. Un sottufficiale americano, mentre altri 7 ci puntavano con il fucile per non farci muovere, col fucile mitragliatore sparò da solo falciando i circa 50 militari che si trovavano schierati”. Chi narra, rimasto ferito al braccio destro, rimase per circa due ore e mezzo sotto i cadaveri, per sfuggire ad altra scarica di fucileria, dato che i militari anglo americani rimasero sul posto molto tempo per finire di colpire quelli rimasti feriti e agonizzanti”. (Dalla relazione dell’aviere Giuseppe Giannola del 4 marzo 1947 al Comando Aeronautica della Sicilia).

Giannola, quando pensò che gli americani se ne fossero andati via, alzò la testa nel tentativo di allontanarsi, ma da lontano qualcuno gli sparò con un fucile colpendolo di striscio alla testa. Cadde e si finse di nuovo morto. Restò immobile per circa mezz’ora fin quando, strisciando carponi, raggiunse un grosso albero. Vide degli americani con la croce rossa al braccio e si avvicinò. Gli furono tamponate la ferite al polso e alla testa e gli fu fatto capire che da lì a poco sarebbe sopraggiunta un’autoambulanza, che l’avrebbe trasportato al vicino ospedale da campo. Poco dopo vide avvicinarsi una jeep e fece segno di fermarsi. Scesero due soldati, uno con un fucile, che gli domandò se fosse italiano. Alla risposta positiva il soldato statunitense gli sparò, colpendolo al collo con foro d’uscita alla regione cervicale destra, risalì in macchina e si allontanò…

Poco dopo sopraggiunse l’autoambulanza che lo raccolse trasportandolo all’ospedale da campo di Scoglitti. Due giorni dopo fu imbarcato su una nave e portato all’ospedale inglese di Biserta e ad altri del Nord Africa. Rientrò in Italia il 18 marzo 1944 e fu ricoverato all’ospedale militare di Giovinazzo. Al termine del conflitto, in data 4 marzo 1947, presentò al Comando Aeronautica della Sicilia un resoconto di quanto accaduto, ma rimase inascoltato. Negli anni che seguirono continuò inutilmente a far sentire la sua voce, fino a quando, assistito dal figlio Riccardo, raccontò tutto al procuratore militare di Padova, il quale aveva aperto un fascicolo per la storia di un altro sopravvissuto al crimine di guerra consumato negli stessi luoghi, per mano del capitano Compton.

La strage di Biscari ebbe delle conseguenze giuridiche in casa americana…

La procura militare statunitense, infatti, incominciò gli accertamenti sui due episodi su insistenza del cappellano King che aveva interessato il generale Bradley, e rinviò a giudizio due graduati del 180º Reggimento, il sergente Horace West (Compagnia A) e il capitano John Compton (Compagnia C).

Fu accertato che il sergente Horace West aveva ricevuto l’ordine di trasferire al comando di battaglione 37 prigionieri nemici ma, giunti in un uliveto, li aveva personalmente fucilati con la sua arma di ordinanza…

Il sergente West si difese sostenendo che gli ordini dal Comando d’Armata erano di uccidere i militari nemici che non si fossero arresi immediatamente, sulla base del discorso già citato del Generale G.S. Patton, riportato ai gradi inferiori dal comandante del 180º reggimento con le stesse parole. La Corte marziale, comunque, giudicò West colpevole, per aver ucciso militari che ormai avevano già ottenuto lo status di prigionieri, e lo condannò all’ergastolo. Fu incarcerato fino alla fine di novembre del 1944, ma presto fu rimesso in servizio sullo stesso fronte italiano, come soldato semplice. Le notizie riguardo il suo destino sono contraddittorie, ma secondo alcuni degli autori che si sono occupati del caso, è probabile sia sopravvissuto alla guerra ed abbia vissuto fino a tarda età…

Anche il capitano Compton si riferì al discorso del gen. Patton per giustificare le proprie azioni, dato che aveva fucilato i militari italiani, circa quaranta, subito dopo la loro resa. Compton concluse la propria difesa sostenendo di aver agito sulla base di istruzioni del Comandante di Armata, generale con tre stelle e una grande esperienza di combattimento. Tutti i testimoni – tra cui diversi colonnelli – confermarono le frasi di Patton, in particolare il “se si arrendono solo quando gli sei addosso, ammazzali”.

La corte marziale americana riconobbe quindi che Compton aveva agito per seguire gli ordini superiori, ma nessun procedimento venne avviato nei confronti di Patton, che egli venne chiamato a testimoniare… Il capitano Compton fu assolto e mantenne il grado, ma cadde in combattimento l’8 novembre 1943, presso Montecassino. Si insinua il dubbio che ciò fosse per mano del ‘fuoco amico’.

Il generale G.S. Patton, in un colloquio successivo, il 5 aprile 1944, col tenente colonnello C.E. Williams, ispettore del Ministero della Guerra sui fatti di Biscari, ammise di aver tenuto un discorso abbastanza sanguinario (pretty bloody), ma di averlo fatto per stimolare lo spirito combattivo della 45ª Divisione di fanteria, che si trovava per la prima volta sotto il fuoco nemico, negando comunque di aver incitato all’uccisione di prigionieri.

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Non troviamo traccia ‘scritta’ di un eccidio eseguito nel centro dell’isola con il sistema della decimazione, perfettamente analogo alla fucilazione delle Fosse Ardeatine: furono messi al muro ‘a caso’10 siciliani pe ogni americano ucciso: gli amerikani feroci quanto e più dei tedeschi ‘traditi’. (Mi dispiace di non aver annotato luogo e data, quando abbiamo ascoltato la voce di ‘chi ben sapeva’ ed era stato chiaro e dettagliato, perché ritenevo che avrei potuto consultare tracce del delittuoso episodio – GS).

Mentre in Italia, infatti, per motivi di opportunità politica, tutti i crimini di guerra compiuti nel 1943 in Sicilia, sono stati sostanzialmente cancellati dal ricordo (vi dice niente questa parola?), benauguratamente gli eccidi di Biscari e altri ancora vengono spesso riproposti, proprio, negli Stati Uniti…

Nel 1988 da James J. Weingartner, nel 2003 da Stanley Hirshson e sono stati anche citati come giurisprudenza in occasione dei processi sui fatti di Abu Ghraib (violazioni dei diritti umani commesse contro detenuti nella prigione di Abu Ghraib in Iraq da parte di personale dell’Esercito degli Stati Uniti e della Central Intelligence Agency (CIA), durante gli eventi della guerra in Iraq iniziata nel marzo 2003. Queste violazioni inclusero abusi fisici e sessuali, torture, stupri, sodomizzazioni e omicidi, ndr).

No, non fu una ‘passeggiata’!

Le stragi americane in Sicilia – quelle ancora perfettamente testimoniate – non si limitarono ai due episodi di Biscari, ma erano cominciate il 12 luglio a Vittoria con la fucilazione di 12 tra prigionieri e ‘civili’ e continuarono nelle giornate seguenti con la stessa virulenza a Comiso, dove furono messi al muro senza esitazioni, violando la convenzione di Ginevra, 60 soldati tedeschi e 50 soldati italiani. Senza altro motivo che l’essere stati presi prigionieri…

A Piano Stella, città di fondazione in provincia di Agrigento, il 13 luglio fu trucidato un gruppo di contadini.

A Canicattì furono uccisi 8 civili per mano di un ufficiale americano, poi a Butera, e via dicendo, fino ad arrivare fio a Palermo, meta della ‘conquista’.

Per lo più si trattò di stragi rimaste nella memoria delle comunità e confermate da diverse testimonianze oculari di soldati italoamericani, per le quali non è, però, mai stata fatta alcuna inchiesta giudiziaria.

Riconoscimenti

Solo nel settembre 2009 il superstite Giuseppe Giannola fu ricevuto al Quirinale dal Generale Rolando Mosca Moschini, Consigliere Militare del Presidente Giorgio Napolitano, al quale consegnò una lettera appello, a questi rivolta come Presidente della Repubblica, nella quale chiedeva che si facesse di tutto per individuare il luogo ove furono seppelliti i suoi commilitoni, per restituire l’onore ai giovani sterminati quella mattina del 14 luglio 1943, cancellando quindi quei nomi dall’elenco dei dispersi e/o dei disertori.

Il 14 luglio 2012 è stata apposta a Santo Pietro una targa di marmo che ricorda i nomi di tutti i soldati italiani uccisi nella strage insieme a quattro tedeschi. La manifestazione è stata organizzata dai comuni di Acate, Caltagirone, Vittoria e Santa Croce Camerina, in collaborazione con l’Associazione Culturale Storica Lamba Doria.

(Ricostruzione storica a cura di Germano Scargiali)

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  1. Grazie al Direttore della Rivista Palermoparla.news, Professor Germano Scargiali, per questa relazione storica dei fatti occorsi durante la seconda guerra mondiale, durante la occupazione dell’esercito statunitense in Sicilia, negli anni 1943-1945, costellati da eccidi, massacri e violenze, a dispetto della Convenzione di Ginevra, sulla salvaguardia dei prigionieri, e di tutte le altre realtà territoriali da parte della popolazione, nel tentativo di non essere continuamente trattati solo come carne da macello. Questo articolo è un esempio di civiltà ed esempio di cultura democratica. Tutto il contrario di quanto è accaduto ieri, 25 aprile 2020, in Italia ed all’estero, realizzato con una regia del potere PD e 5 stelle, inneggiante alla violenza con il continuo sbandieramento della motivaccio esacerbante ed antistorico detto “bella ciao”, nato, in verità, da una base musicale cantato dalle opraie “mondine”, che lavoravano nelle piantagioni di riso della pianura padana, e da un testo del partito comunista, scritto nei confronti di una minorenne di 14 anni, mentre, i cosiddetti “partigiani” la torturavano, la stupravano per poi ucciderla, facendo poi subite lo stesso massacro a circa 250 mila ragazze italiane, a guerra finita, nell’anno 1945; canzone questa ripetuta ossessivamente tutto il giorno da tutte le emittenti RAI-TV, dalla 7, e da tante altre emittenti di ideologia filo-stalinista. Per parlare di tutti gli assembramenti dell’ANPI, in tante città italiane, a dispetto delle circolari del presidente Conte, anti Covid-19, ma, proprio da esso, tutelate ed osannate; giornata questa, voluta da questo governo all’insegna, del rinnovamento, dopo 75 anni, dell’odio politico più miserabile e becero degno dei tempi del governo del sanguinario Stalin, a cui si sono addebbitati quasi cento milioni di morti del suo paese e dei i vicini paesi dell’est europa, nel secolo scorso.

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