Qualche verità sulla cattedrale di Palermo e sullo stile Arabo normanno bizantino

L’esterno della cattedrale di Palermo: un merletto… E’ il risultato – nel corso di molti anni – del gusto di vari architetti, fra cui il grande Venanzio Marvuglia, palermitano, architetto di fiducia dei Borboni, come il Vanvitelli a Napoli: Marvuglia gestì a livello europeo il passaggio fra il barocco e il neoclassico e si esibì nell’invenzione della “Casina Cinese”, anticipando di molto la moda delle “cineserie”. All’esterno, in prevalenza gotico e gotico fiorito. Marvuglia è il solo a cedere alla tentazione di …ornati arabeggianti. Notiamo la presenza di un timpano (simbolo dello stile classico) e della cupola neoclassico – barocca. Il risultato è decisamente eclettico ma di raffinata eleganza. L’impostazione di base è normanna. Un’originalità è data dal fatto che a fare da facciata è la fiancata della chiesa, che non ha mai avuto assolutamente nulla dell’antica moschea a propria volta ricavata nell’antico duomo. Ovviamente cristiano. (Ph. Salvatore Scargiali)

Riportiamo uno stralcio significativo – da internet – sulla Cattedrale di Palermo, tempio di altissimo valore, con un esterno stupendo che evoca molto nella fantasia, ma – per la sua stratificazione nel tempo – è oggetto di molti fraintendimenti, in parte giustificabili e inevitabili. C’è poco, adesso, e poco c’è sempre stato di arabo nella cattedrale. Val la pena di ricordare che gli arabi sono gli abitanti dell’Arabia, divenuti per primi islamici, mentre erano già civilizzati sin dall’antichità. E’ vero che gli arabi si sono spostati e mischiati nei tempi con varie altre popolazioni specie nel nord Africa, mantenendo – però – di solito molte delle loro caratteristiche. E’ vero anche che nella stessa Africa essi sono ben lungi dal coincidere con i musulmani, per non dire nel resto del mondo. Ma ciò dovrebbe esser già chiaro a molti…

In Nord Africa Arabi, Beduini, Berberi ed altre etnie si distinguono l’un l’altra non si confondono fra loro, pur non essendo affatto rari – specie in virtù del comune Islam – i matrimoni misti. La cultura araba è, di certo, quella predominante in questo “mondo” e ciò è confermato dalla lingua araba che ne costituisce un grande trait d’union. Da qui uno dei motivi delle generalizzazioni… Ad onore della cultura araba è doveroso citare i filosofi Avicenna e Averroè, fioriti in pieno periodo islamico, purché si sottolinei che il loro pensiero si sviluppò lungo il filone classico della filosofia greca.

La “presenza islamica”, non propriamente araba, in Sicilia iniziò a partire dallo sbarco a Capo Granitola a danno dei Bizantini cristianizzati dell’Impero romano d’oriente (che erano stati in Sicilia molto più a lungo e riportarono il loro ricordo con i geco albanesi), esattamente nell’anno 827 e terminò con la caduta di Noto nel 1091 ad opera dei Normanni. Molto meno di 200 anni in migliaia di anni di storia…

Ricordiamo, per inciso, che sono bizantini tutti i mosaici ricchi di tessere dorate di Cefalù, Monreale Cappella Palatina:anche questi non hanno nulla di arabo.

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…La Cattedrale palermitana, la cui storia riflette e sintetizza quella della città, ha subito, attraverso i secoli, continui rimaneggiamenti, restauri, aggiunte e modifiche, di cui talune a volte discutibili. Alla prima metà del XV secolo (400 anni dopo la partenza dei musulmani) risale il prezioso portico della facciata meridionale, mirabile manufatto architettonico-scultoreo del maestro della fabbriceria del Duomo, il “Magister Marammae” Antonio Gambara.

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Tornando indietro nel tempo, fu attorno al 1170 (ad 8o anni dalla completa sconfitta dei musulmani), durante il regno di Guglielmo II, l’arcivescovo di Palermo l’inglese Walter Off the Mill, latinamente Gualtiero Offamilio, iniziò la costruzione di quello che sarebbe diventato, poi, un nuovo Duomo, appunto la “nostra” Cattedrale…. Si trattò in realtà della ricostruzione di una preesistente antica cattedrale gravemente danneggiata dal terremoto del 1169.

Questa “Cattedrale gualteriana” rappresentava, a quel punto, la terza delle chiese succedutesi si quel sito. Già in età paleocristiana (IV secolo), vi sorgeva – infatti – una basilica distrutta a metà del V secolo durante le persecuzioni dei Vandali. Su tali rovine venne costruita dal vescovo Vittore e per volontà di San Gregorio Magno nel 590, la “Sanctae Mariae Basilica”, consacrata nell’anno 604.
Durante l’occupazione musulmana (qualcuno la definisce saracena, nome genericamente attribuito gli arabi per mera tradizione) nel IX secolo, la chiesa venne ristrutturata ed ampliata per essere trasformata in una grande moschea.

Con l’avvento dei Normanni – cristiani osservanti, Ruggero I, Ruggero II, Guglielmo I e II, Costanza d’Altavilla – la chiesa fu restituita all’originale culto cristiano (1072). Non furono utilizzate – come pur talvolta si è raccontato – manovalanze musulmane se non per caso e tanto meno con finalità artistiche.

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Si tenga conto che l’abilità politica di Federico II culminò nel trattato che garantì ai cristiani il pellegrinaggio a Gerusalemme senza la necessità di combattere una nuova crociata, senza – cioè – spargimento di sangue… Federico, che aveva appreso l’arabo, come  anche suo nonno Ruggero II, trattò con il sovrano degli Ayyubidi. 

Gli Ayyubidi furono una dinastia curdo-musulmana fondata dal condottiero curdo Saladino. Fu famosa ma di breve durata: fondata dal celebre condottiero curdo Saladino, dopo la morte nel 1174 di Nur ed-Din (che era stato signore di Ṣalāḥ al-Dīn), finì con la morte dell’ultimo sultano al-Dalih Ayyub e l’assassinio di suo figlio dopo poco più di mezzo secolo. Il loro regno giungeva – per capirci – da Gerusalemme fino alla siriana Aleppo e all’iraquena Mossul… la dinastia finì con la morte dell’ultimo sultano al-Ṣāliḥ e l’uccisione di suo figlio… 

Federico II aveva trattato sempre con i musulmani, ma soprattutto con l’intento non troppo segreto di estendersi verso l’Africa, tanto che tentò invano di prendere Djerba nel 1223. Ottenne un compromesso con gli Hafsidi: il trattato del 20 aprile 1231, che garantì ai siciliani l’accesso ai mari africani e assicurò che Pantelleria restasse siciliana e che come tale giungesse fino ai Borboni e all’Italia.

Federico, facendo tesoro dell’esperienza politica sua e di Ruggero II (il normanno, suo nonno materno)  trattò poi per Gerusalemme  con i nominati Ayyubidi… 

L’accordo fu concluso col sovrano Ayyubida Al-Malik al-Kāmil. Tale trattativa è considerata il culmine dell’abilità politica di Federico II. Essa mandò “in bestia” anche il Papa Gregorio IX che continuava ad “inseguire” una conquista militare totale, per cui indisse addirittura una …crociata contro Federico II, che, però, dopo una prima adesione dei sovrani cristiani nemici di Federico, andò deserta…

Il papato aveva tentato di far propria l’obbedienza di Federico II sin dalla sua educazione, curata – com’è noto – dallo stesso Papa Innocenzo III d’accordo con la mamma Costanza d’Altavilla. Nulla da fare: Federico – paladino assoluto del potere politico –  non si era preoccupato subendo, già in precedenza, una scomunica… Come si vede, però, gli arabi con ciò che avvenne in Sicilia – dopo l’arrivo di Normanni e Svevi –  c’entrano sempre, ma solo “di striscio”. Erano rimasti in Sicilia dei musulmani, pochi, e per lo più – in verità – sempre di altre etnie. I più influenti vennero di regola perseguitati – secondo gli usi di allora – ed anche uccisi dai nuovi arrivati.

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Vedremo ora perché nella Cattedrale di Palermo di arabo oggi non resti – in realtà – proprio nulla di visibile. Rimane una piccola colonna sotto la navata nei pressi dell’altare. Del resto la cattedrale non fu mai concepita architettonicamente come moschea, essendo stata, al contrario, per un periodo una chiesa adibita a moschea…

Un'altro scorcio della grande cattedrale palermitana .Sotto il campanile, un motto ammonisce: "operibus credite", credete alle opere (ai fatti non alle parole).
Un’altro scorcio della grande cattedrale palermitana. Sotto il campanile, un motto latino ammonisce: “operibus credite“, credete alle opere (ai fatti, non alle parole).

Il portico, ritenuto un grande capolavoro dell’arte siciliana, rimarca fortemente i caratteri stilistici dell’architettura catalana in gotico fiorito. Le tre arcate ogivali, di forma “arabeggiante” sono fiancheggiate da due torri laterali e sono sovrastate da un grande timpano (è il triangolo che rappresenta la perfezione divina, emblema dello stile classico che corre dall’antica Grecia al Rinascimento, al Neo classico, ndr), inquadrato da una fascia decorativa di elementi scultorei che raffigurano animali in movimento, figure vegetali e antropomorfe da “l’albero della vita”. Sotto il portico, si trovano bassorilievi di grande interesse storico, che celebrano l’uno l’incoronazione di Vittorio Amedeo II di Savoia, l’altro quella di Carlo III di Borbone, avvenute entrambi nel Duomo palermitano. Nel 1466 l’arcivescovo Nicola Puxades arricchì il duomo di un pregiatissimo coro ligneo intagliato fatto di 78 fastosi stalli corali, in stile gotico catalano.

Dettaglio del famoso portico di Domenico e Antonello Gagini (Palermo, 1478 – Palermo, aprile 1536).
Dettaglio del famoso portico di Domenico e Antonello Gagini (Palermo, 1478 – Palermo, aprile 1536).

Nel XVI secolo si volle ornare l’abside maggiore della chiesa con una grande tribuna marmorea, della cui esecuzione fu incaricato il più grande scultore siciliano del Cinquecento, Antonello Gagini. La famosa tribuna, che richiese più di mezzo secolo di lavoro (la terminarono i figli di Antonello), conteneva in due ordini di nicchie 47 statue di santi ed era sovrastata dalla figura del Padre Eterno tra una gloria di angeli. Opera grandiosa e di grande ricchezza artistica, la tribuna del Gagini pur col suo carattere discordante con quello dell’antica cattedrale gualteriana, era per essa altamente decorativa, anche se mancava di un criterio unificatore. La sua sciagurata distruzione rientra nell’opera di rinnovamento della Cattedrale avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo (la maggior parte delle sue statue furono sistemate fuori dal tempio a coronamento  delle mura esterne).

Il ‘700 e poi l’800 credettero molto, del resto, nelle proprie idee – le idee del tempo – gettando le basi di quella “mentalità ideologica” che ha poi guastato anche il ‘900. Questo, in pratica – pur conquistando sorprendenti, incredibili, traguardi materiali – ne ha celebrato moralmente la decadenza. E’ sorta adesso la convinzione – probabilmente corretta – che nessuna tendenza possa “pretendere” di essere “quella giusta“.

La decorazione esterna della chiesa fu compiuta in tempi diversi, compresa la costruzione degli ordini superiori delle quattro torri angolari scalari, del prospetto occidentale e ancora della torre campanaria attuale (costruita in stile neogotico nel 1805 su progetto di Emanuele Palazzotto).

Nei continui tentativi di adeguare l’antico edificio allo stile architettonico dei tempi, nel 1767 don Ferdinando Fuga, regio ingegnere alla corte dei Borboni, su commissione dell’arcivescovo Filangeri, elaborò un grandioso progetto di totale trasformazione e ammodernamento della chiesa. Accantonato per molti anni, il progetto fu ripreso e  affidato alla direzione degli architetti Giuseppe Venanzio Marvuglia e Salvatore Attinelli, che vi lavorarono dal 1781 al 1801. Questi lavori comportarono la cancellazione di almeno tre quarti della primitiva architettura: gli interni dell’antica fabbrica furono totalmente riconfigurati, vennero smembrati i gruppi di colonne tetrastili, per fare posto ad una severa sequenza di grandi pilastroni intercalati da archeggiature a tutto sesto della più severa concezione neoclassica.  Profonde alterazioni subirono le navate, sia quella centrale che quelle laterali. La trasformazione più evidente riguardò l’area presbiteriale, modificando nelle proporzioni l’originale “titulo” (coro) ed “antititulo” dell’antica basilica gualteriana. Il coro modificato fu prolungato fino all’abside maggiore, si ricostruì il transetto e nel contempo fu innalzata una solenne cupola neoclassica, la cui altezza doveva sovrastare tutte le altre della città. La Basilica normanna venne pesantemente deturpata e si trasformò in un’austera chiesa della controriforma, abolendo così ogni ricordo di quella che fu la più grande delle Cattedrali normanne di Sicilia.

Anche l’esterno subì delle trasformazioni, in analogia alla riconfigurazione dei volumi originari dell’interno, mantenendo comunque sempre una impronta non priva di raffinatezze architettoniche. La decorazione esterna originaria, caratterizzata da una ricca decorazione a tarsie bicrome (in cui la pietra chiara è alternata con pietra lavica) venne in parte occultata: la parte absidale del prospetto orientale, è quella più originale (XII secolo), presenta una decorazione ad intreccio di archi ciechi, a tarsia lavica, con motivi geometrici che si intersecano dando vita al tipico disegno a doppia archeggiatura, analoghi motivi ornamentali si ritrovano parzialmente anche nelle absidi del Duomo di Monreale.

Del suo attuale aspetto, assieme al portico del fronte meridionale, questa è la parte della Cattedrale più suggestiva, di più elevato fascino architettonico e che colpisce più il visitatore…

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Palermoparla e i palermitani “sperano” di certo  che nessuno tocchi, ormai, più la Cattedrale di Palermo ed è probabile che nessuno più lo farà…

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Nota

E’ interessante – anzi avvincente – la storia dei normanni prima e poi degli svevi con la loro presenza  in Sicilia e nell’Italia meridionale (Napoli).  Si tenga presente che i Normanni vennero in pochi e che gli Svevi erano appena una grande famiglia. Si esagera nel ritenere che i siciliani biondi siano i loro genetici eredi… In quel tempo, di certo, grande importanza ebbe Palermo. Essa fu capitale con i due Ruggero, i due Guglielmo, la reggente Costanza,  Federico II (Capitale del Sacro Romano Impero) ed ancora con l’arrivo degli spagnoli aragonesi.

Il grande Federico, lo “Stupor mundi“, un uomo moderno proiettato nel Medio Evo, preferì risiedere con la capitale a Palermo, facendola capitale del Sacro Romano Impero, anziché in Germania, dove la sua famosa famiglia (in cui prevaleva il nome Corrado) era originaria e risiedeva sulle cosiddette “Alpi Sveve” dove aveva sede il castello, appunto di Hohenstaufen. Tale famiglia contò, lui compreso, i seguenti imperatori Corrado II (1138 – 1152), Federico I Barbarossa (1155-1190), Enrico VI (1165 – 1197), Federico II (1194 -1250) e per pochi giorni Corrado III (in Germania) e dopo di lui Corrado IV  (1252-1268) detto Corradino.

Corradino di Svevia, ultimo Hoerstaufen (Corrado IV), sconfitto a Tagliacozzo e proditoriamente consegnato a Carlo d'Angiò che lo decapitò a Napoli. La stessa città ancora lo piange.... La statua è posta a piazza Mercato non lungi dal luogo dell'esecuzione.
Corradino di Svevia, ultimo Hoensthaufen (Corrado IV), sconfitto a Tagliacozzo e proditoriamente consegnato a Carlo d’Angiò che lo decapitò a Napoli. La stessa città ancora lo piange…. La statua è posta a piazza Mercato non lungi dal luogo dell’esecuzione.

La reale durata di questa famosa presenza in Sicilia non fu lunghissima. Possiamo farla iniziare nel 1091 con la caduta dell’ultimo presidio musulmano a Noto e la conquista dei Normanni di Ruggero I detto, per la verità, solo “Gran Conte di Sicilia”. Termina con la decapitazione di Corradino di Svevia (l’ultimo degli Hohenstaufen) a soli 16 anni il 29 ottobre 1268 sul patibolo eretto in Campo Miricino, l’odierna Piazza del Mercato(Napoli), dopo la sconfitta di Tagliacozzo e il tradimento subito da chi lo consegnò al vincitore, Carlo I D’Angiò, fratello del Re di Francia.

Un “personaggio chiave” della presenza sveva (Hohenstaufen) è Costanza d’Altavilla (Palermo, 2 novembre 1154, 27 novembre 1198), madre di Federico II. Era figlia postuma di Ruggero II di Sicilia e della sua terza moglie Beatrice di Rethel: alla nascita non presumibile erede al trono. Secondo la tradizione, trasmessa da Giovanni Villani e ripresa da Dante e da altri, Costanza avrebbe prima manifestato interesse per la vita monastica e sarebbe entrata in convento a Palermo. Venne liberata dai voti e andò in sposa ad un uomo molto famoso e potente: Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa di Svevia, ambedue imperatori del Sacro Romano Impero (in pratica detentori del potere politico in Europa).

In realtà, dopo vicende complicate, Enrico VI aveva strappato la Sicilia ai Normanni che, per la morte del re Tancredi, erano rimasti sul trono con Guglielmo III di soli 8 anni. Enrico VI sposò Costanza che aveva già 40 anni, morendo pochi mesi dopo. Costanza, evidentemente una gran donna, diede alla luce il grande Federico nella piazza di Iesi, nelle Marche (dove venne montato un letto a baldacchino) per dimostrare pubblicamente che il figlio era proprio suo (ed erede al trono),  restandone, poi, reggente in Sicilia fino a che Federico fu adulto. Papa Innocenzo III volle farlo educare lui a Roma da grandi dotti per farsene un alleato, ma Federico conservò, vivo, il sentimento di rappresentante del potere politico in Europa e restò sempre rivale di Roma.

Carlo I d’Angiò – che spodestò gli Svevi, uccidendo Corradino -regnò a Napoli, odiato anche lì. Gli angioini in Sicilia durarono, però, ancor meno – e non certo con altrettanta gloria – perché Carlo I, che vi era giunto appena nel 1268, in seguito rivoluzione dei Vespri (1282), venne cacciato dall’Isola e continuò a regnare sui territori peninsulari del Regno con il titolo di re di Napoli, mentre Palermo fu capitale della Sicilia con gli Aragonesi (spagnoli), che la amarono. In seguito questi conquistarono anche l’Italia meridionale. Palermo perse, dunque, il titolo di capitale, sia pure della “sola” Sicilia definitivamente solo nel 1416 ad opera degli stessi aragonesi. Da allora si accontentò di titolo di capoluogo con grande scoramento, con la breve interruzione del periodo napoleonico in cui i Borboni (re, regina e figli) si rifuggiarono nel suo Palazzo reale (Palazzo dei Normanni) nel grande e stratificato complesso architettonico che comprende Porta Nuova, la Cattedrale e i palazzi arcivescovili… 

Da allora Palermo vive con i sentimenti di un “re senza corona” (De Seta, urbanista), con lo snobismo di un nobile defraudato di quanto, in virtù delle glorie passate e le bellezze naturali, ritiene di meritare senza neppure doversi premurare a chiedere…

(Testo e notizie raccolte, ordinate, commentate da G. Scargiali – Consulenza di sintesi storica di Lydia Gaziano)

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L’intero stile dichiarato patrimonio Unesco (con la definizione abbastanza corretta di arabo, normanno bizantino) è …pseudo arabo normanno: c’è poco dell’arte musulmana a Palermo, se non nei chiostri e nella foggia delle cupolette di San Giovanni degli Eremiti e della Martorana. Le forme sono assolutamente gotico normanne, come si desume già dagli archi a sesto doppio. Il resto è ferutto di inteerpolazioni, aggiornamenti e aggiunte successivi. L’ispirazione è assolutamente cristiana. I mosaici, tutti di soggetto cristiano, sono opera di mosaicisti bizantini, appositamente reclutati dai re Normanni: erano assolutamente cristiani gli uni e gli altri. I bizantini, che furono in Sicilia dopo i romani molto più a lungo dei musulmani (che li scacciarono), avevano certo maturato modi artistici orientaleggianti. (G.S.)

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E adesso un breve interessante filmato rintracciato e inviatoci dal nostro redattore Franco La Valva.

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